UNA PROSPETTIVA A FAVORE DEGLI ARBITRI

Foto copertina via Daily Milan

Eccoci qui a discutere degli episodi di Milan-Udinese, una partita segnata da situazioni controverse che hanno acceso gli animi nei salotti televisivi della nostra epoca. Un match che, più che il gioco espresso dalle due squadre (i rossoneri hanno vinto 1-0 resistendo per oltre un’ora in 10), ha visto protagonista indiscusso il signor Chiffi, arbitro della contesa, bersagliato senza pietà da una critica spesso spocchiosa e miope.

È ormai un’abitudine – potremmo dire quasi un riflesso condizionato – scagliarsi contro l’arbitro non appena ci si trova di fronte a situazioni al limite del regolamento. Lo si fa con una facilità disarmante, dimenticando che il calcio è un gioco, certo, ma è anche una materia viva, stilizzata da mille dettagli che spesso sfuggono all’occhio umano, e persino alle telecamere più avanzate. Quindi, perché condannare aprioristicamente Chiffi? Forse, il vero problema risiede non tanto nell’operato arbitrale, quanto nella smania di trovare un colpevole a tutti i costi.

Prendiamo il caso dell’espulsione di Reijnders. Un intervento impercettibile, da ultimo uomo, su un calciatore dell’Udinese. Qui la questione è molto semplice: se fischi fallo, l’espulsione è inevitabile. Lo impone il regolamento, punto e basta. Criticare l’arbitro per avere applicato la regola è, francamente, un’apologia di superficialità. Reijnders sfiora l’avversario, e se per Chiffi quello è fallo, il cartellino rosso diventa una conseguenza naturale, non un errore. Se a Roma il direttore di gara avesse interrotto il gioco per l’intervento di Cristante su Thuram, sarebbe scattato automaticamente il rosso anche in quel caso. Sono episodi da campo, che afferiscono all’entità del contatto, ragion per cui il VAR non può intervenire.

Passiamo ai due gol annullati per fuorigioco millimetrico all’Udinese. Su tutti, quello di Kabasele. Ekkelenkamp è avanti di un mezzo centimetro, una distanza che sfugge quasi all’occhio di falco. Eppure, qui si tirano in ballo centimetri come fossero metri, e si parla di “ingiustizia”. Ma come si può pretendere che l’arbitro – o il VAR, del resto – possa chiudere un occhio su un dato oggettivo? Anche in questo caso, il fuorigioco c’è. È millimetrico, certo, ma c’è. Il regolamento non lascia spazio a interpretazioni, e se non piace, non è certo colpa di Chiffi.

Arriviamo poi al famoso rosso non comminato a Touré dell’Udinese per step on foot ai danni di Chukwueze. Sì, è vero, siamo ai limiti. Ma è un episodio che sta al confine di quel vasto e nebuloso territorio delle decisioni arbitrali che, in assenza di una chiara infrazione, lasciano spazio al giudizio personale del direttore di gara. C’è stato un fallo, si, nulla però che possa far gridare allo scandalo, e in un contesto del genere è proprio qui che l’arbitro deve essere difeso. È la sua percezione della partita, del momento, del contesto, che guida la decisione. Accusarlo di non aver applicato il regolamento con il bilancino è un’argomentazione povera, che spesso disconosce le altre decisioni simili prese in passato.

E infine, i cosiddetti “rigorini”. Il termine stesso è una velata condanna all’arbitro. Eppure, il regolamento parla chiaro: se c’è contatto e questo influisce sull’azione dell’attaccante, allora è rigore. In caso contrario il discorso cambia. Ad ogni modo, come recita il vecchio adagio, “il rigore è una cosa seria”. Non sono stati ravvisati gli estremi per l’assegnazione della massima punizione per quanto riguarda il contatto tra Pavlovic e Kabasele. Si può discutere sull’intensità, certo, ma anche qui ci si ritrova spesso prigionieri della propria incoerenza: in altre occasioni si pretendono fischi su contatti simili, salvo poi sconfessare il metro di giudizio quando l’episodio non fa comodo.

In conclusione, il mestiere dell’arbitro è spesso un corpo di cavalleria lanciato verso il disprezzo, spalancando un campo troppo vasto per essere compreso dai più. Chiffi ha diretto una partita complicata e il verdetto su alcune decisioni non può essere oggettivo, certo, ma la critica non può ridursi a una condanna sistematica. Il calcio, come la vita, vive di zone grigie, di decisioni che possono sembrare sbagliate se viste dal punto di vista sbagliato. Prima di puntare il dito, sarebbe meglio interrogarsi su quanto ci faccia comodo attaccare l’arbitro. Chiffi, in questo caso, ha condotto in porto una partita complicata senza perdere di vista la luce del regolamento. Di primo acchito, gli episodi cruciali – il rosso a Reijnders e il gol annullato a Kabasele – hanno suscitato clamore e polemiche da bar, ma alla fin fine hanno scandalizzato soltanto chi, per natura, è prevenuto. La giustizia sportiva, per quanto fallibile, deve mantenersi integra e non assecondare i ditirambi di chi cerca scandali ad ogni decisione, quasi per giustificare la propria partigianeria.

BIO: VINCENZO DI MASO

Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.

Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia. 

Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.

Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.

Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.

Una risposta

  1. Bell’articolo trattando concetti regolamentari in maniera superficiale ma “commestibili” a chi non è avvezzo alla conoscenza regolamentare. Al tifoso interessa solamente la vittoria della si
    Ua squadra del cuore, come avvenga poco importa. Peccato che l’unico custode è conoscitore del regolamento dia l’arbitro anziché tutti coloro che hanno a che fare con il calcio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *