BRESCIA CALCIO FEMMINILE: IL NOSTRO APPROCCIO METODOLOGICO

Avendo l’opportunità di frequentare presso l’Università Cattolica di Milano alcune lezioni del Corso di “Teoria, Tecnica e Didattica degli sport individuali e di squadra”, dedicato al GIOCO DEL CALCIO, tenuto dal Prof. Antonello Bolis, coordinato da Edgardo Zanoli , assistiti da Elena Vagni, all’interno del Corso di Scienze motorie e dello sport, proporrò, in una serie di articoli, le note raccolte in aula. Saranno appunti, come mi piace definire…sparsi.

La terza lezione a cui ho assistito è stata quella con Clara Gorno, Presidente del Brescia Calcio Femminile, Giovanni Valenti e Michele Cavalli, rispettivamente allenatore e vice-allenatore della 1^ squadra.

Dopo l’introduzione di Clara Gorno riguardo la scelta di operare nel calcio femminile, la parola passa a Mister Giovanni Valenti.

Giovanni presenta Michele Cavalli ponendo l’attenzione sul fatto che entrambi non siano stati calciatori professionisti, non hanno una laurea in Scienze Motorie o in Psicologia ma, rispettivamente, in Economia e Commercio e Matematica. L’ultima esperienza lavorativa vissuta insieme è stata in Macedonia allo Strumica la società di Goran Pandev, coincisa con il primo esonero.

Viene proposto un video che serve ad introdurre il loro approccio metodologico.

FAVORIRE E SVILUPPARE LA PERCEZIONE

La richiesta che viene fatta al giocatore che riceve palla è di prendere informazioni durante il controllo per poi calciare e fare goal nella porta in cui si illumina la luce di colore blu. È un esercizio tecnico e cognitivo. Il Mister chiede un parere agli studenti che rispondono: “bello ma difficile da realizzare, con 15 bambini dovremmo avere tantissime porticine, comprare un software per l’accensione delle luci, le luci e un computer. Qualcuno dice che si potrebbe utilizzare per dei test.

Valenti commenta poi la seconda parte del video in cui la squadra del Brescia Femminile svolge un gioco di possesso 4 vs 4 + 3 jolly (in verticale) ponendo l’attenzione sul vertice basso (uno dei jolly) la cui posizione ed il cui compito è assimilabile a quello del ragazzo visto nell’esercitazione tecnico-cognitiva. Il vertice basso (sostegno), che potrebbe essere il portiere, deve scegliere a chi passare la palla, senza le lucine ma con delle compagne e delle avversarie.

L’esercitazione con le luci non è inutile, è certamente qualcosa che colpisce, ha una componente cognitiva ma proviamo a riflettere: questo tipo di richiesta cognitiva è la stessa che avranno durante la partita?

Affinchè ci sia un transfer tra il mezzo di allenamento e la partita la presa di informazioni dovrebbe essere uguale a quella che si fa in gara . Quando ci allontaniamo dalla gara e facciamo delle esercitazioni pensando che queste trasferiscano l’abilità dei calciatori/calciatrici nella partita devo tener presente che più siamo lontani dalla realtà della gara più il transfer si realizzerà difficilmente. È chiaro che questa esercitazione sia preferibile al gioco della playstation o allo stare nel web per ore, attività tra le preferite dai ragazzi e dalle ragazze.

È nostro dovere porci il quesito se sia possibile, in allenamento, utilizzare dei mezzi che implichino la presa di informazioni senza allontanarci dal gioco, rimanendo nella specificità del calcio. Ogni volta che il giocatore gioca in un contesto uguale a quello della partita è sollecitato a prendere informazioni.

Zanoli interviene puntualizzando il tema dei test, toccato precedentemente da uno studente, ricordando come, a suo tempo, nel contesto del Settore Giovanile del Milan erani stati fatti degli studi interni relativi ad una esercitazione simile a quella mostrata nel filmato e il risultato aveva portato a concludere che non vi fosse alcuna correlazione tra il miglioramento in gara ed il miglioramento nel test. Venne riscontrato invece ciò che spesso accade nei test: l’ADATTAMENTO AL TEST – il giocatore diventa bravo a fare il test ma ciò non significa che migliori nel gioco.

Si affrontano ora i temi della SPECIFICITÀ e della RELAZIONE

Cosa intendiamo per specificità? Cercare di fare in modo che le abilità individuali dei giocatori migliorino restando dentro al gioco.

Nel tempo si sono sperimentate metodologie diverse. Molti anni fa andava per la maggiore la convinzione che la tecnica fosse l’obiettivo dell’allenamento (per molti lo è ancora oggi). Pensiamo invece che, fin da piccoli, dovremmo cercare di aiutare i nostri giocatori favorendo la loro capacità di apprendimento mentre giocano a calcio. La tecnica diventa pertanto uno strumento e non un obiettivo. È una prospettiva totalmente diversa. Non vuol dire che i bambini non debbano essere bravi tecnicamente ma che mil miglioramento tecnico avviene mentre imparano a giocare a calcio. In passato si utilizzava la metodologia per fasi: se l’obiettivo dell’allenamento era la trasmissione, bisognava fare un gioco iniziale, la parte coordinativa, la parte tecnica, la parte tattica nella situazione di gioco, la partita finale tenendo il focus unicamente sul gesto del passaggio. È una proposta che abbiamo adottato un po’ tutti ma che oggi troviamo superata.

Definiamo la coordinazione come IL GRADO DI EFFICACIA DI UN SOGGETTO NEL SUO AMBIENTE IN FUNZIONE DELLO SCOPO.

Non ha nulla a che vedere con l’estetica dei movimenti. Non siamo più a: “Guarda quel giocatore com’è coordinato, come si muove bene”. Un giocatore è coordinato quando riesce ad essere efficace nel suo ambiente (la partita) in funzione dello scopo che ha, non in funzione del fatto che sia più o meno armonico nel muoversi. La coordinazione potrebbe essere la nostra EFFICACIA TECNICA.

L’obiettivo, pertanto, è di migliorare i singoli giocatori con l’idea che possano migliorare soltanto se rimangono in RELAZIONE COLLABORATIVA continua con i compagni ed in RELAZIONE OPPOSITIVA con gli avversari, durante l’utilizzo di mezzi di allenamento che replicano il gioco.

Per quanto concerne la SPECIFICITÀ è difficile trovare una definizione che possa valere per tutti. Ad esempio, per alcuni Sport Scientist, i cambi di direzione tra i coni sono un lavoro specifico; chiaramente se li compariamo alla corsa più o meno rettilinea dei 1000 metri, i cambi di direzione tra i coni sono più specifici perchè nella partita i giocatori eseguono cambi di direzione. E allora proviamo a definire cosa renda un mezzo d’allenamento un mezzo specifico.

Dobbiamo partire dal definire la realtà del gioco. Quali sono gli elementi che la definiscono?

Eccoli indicati qui sotto

Ciò che rende particolare il gioco del calcio è l’imprevedibilità (sport open skills). Ciò che lo rende imprevedibile è la presenza dei compagni e degli avversari che si muovono e interagiscono tra loro. Un mezzo di allenamento è, dunque, specifico quando prevede l’utilizzo della palla, dei compagni, degli avversari ed uno spazio direzionato preferibilmente con delle porte.

Tutti coloro che studiano l’apprendimento sono giunti alla conclusione che esso avvenga nella specificità del contesto.

Sembra tutto scontato ma se andassimo a vedere le nostre esperienze da giocatore o se andassimo a vedere delle squadre che si allenano non è che così comune che nei mezzi di allenamento ci siano tutti gli elementi che ne definiscono la specificità: palla, compagni e avversari. “Generalmente – dice uno studente che gioca a livello dilettantistico – facciamo attivazione senza palla, tecnica in analitico e 11 vs 0”. Prof Valenti riprende quanto detto dallo studente dicendo che spesso il 70% dell’allenamento non prevede la presenza dell’avversario e il 30%, molto spesso, non prevede la presenza della palla.

Direzione e porte rendono l’allenamento ancora più specifico.

Prof Bolis provoca con una domanda mister Valenti: “Cosa si intende quando diciamo che l’apprendimento è specifico?”

Valenti riprende le affermazioni fatte recentemente da Velasco al Festival di Trento: “per imparare ad andare in bicicletta bisogna andare in bicicletta, chi è esperto di equilibrio perchè cammina sulla fune non trasferisce la sua abilità di stare in equilibrio per andare in bicicletta. Non c’è transfer. Deve sperimentare l’equilibrio sulla bici. Quando pensiamo che l’equilibrio sia fondamentale per il tiro in porta perchè quando calciamo siamo in equilibrio monopodalico e alleniamo il nostro giocatore all’equilibrio monopodalico su una trave non realizziamo che non vi è alcun transfer di apprendimento. In altre parole miglioro l’equilibrio che serve per calciare in porta soltanto calciando in porta…con l’avversario.

La presenza dell’avversario è importante perchè lo scopo è ciò che determina tutte le attivazioni neuromuscolari necessarie all’esecuzione di un determinato gesto. Quando facciamo dei lavori analitici, stiamo facendo percepire al giocatore dei movimenti, stiamo facendo una parte coordinativa che però non è così legata alla realtà del gioco poichè ciò che sta per succedere è prevedibile mentre, come detto, ciò che accade nel gioco è imprevedibile.

Crediamo comunque che il giocatore che prova delle gestualità in analitico possa, proprio perchè le sta allenando, sentirsi più forte, più coraggioso e quindi sentirsi sufficientemente abile per provarle nel gioco. A questo punto interviene Mister Cavalli portando alla classe le discussioni in seno allo staff e alla squadra rispetto all’utilizzo di mezzi analitici. Le discussioni sono nate perchè una delle evidenze che sono state riscontrate, almeno inizialmente, erano legate ad un limite tecnico della squadra e hanno convenuto che il modo più veloce per ottenere un miglioramento passava dall’agire sul senso di autoefficacia delle giocatrici. Questa modalità determinava nelle giocatrici un senso di autoefficacia e sicurezza e, pur consapevoli che nella realtà del gioco non è “quella cosa lì”, non sono quei gesti che servono, perchè non svolgerli?

“La percezione di autoefficacia è vera”, interviene Zanoli, “e il giocatore o la giocatrice si sentono più bravi”.

Valenti sottolinea poi come il tempo sia spesso tiranno in ogni contesto e pertanto è importante saper scegliere quali siano i mezzi di allenamento più ricchi di opportunità di apprendimento per le ragazze.

Se inseriamo un mezzo di allenamento analitico in sostituzione di un mezzo situazionale è diverso dall’aggiungerlo. A questo proposito Valenti porta l’esempio di un giocatore avuto al Parma, un terzino destro che quando riceveva pressione sterzava verso l’interno del campo e, non avendo mai, o quasi mai, usato il piede sinistro, conduceva con il destro esponendo la palla all’intervento dell’avversario che spesso la intercettava o comunque lo costringeva ad un passaggio arretrato con il piede “forte”. Qual’è stato l’intervento con il giocatore? La possibilità di avere dei video di Kimmich terzino del Bayern che mostravano lo stesso movimento a cui poi però seguiva un’imbucata di sinistro hanno permesso di aiutare il giocatore:

  • primo step — Gabriele osserva le sue immagini in gara e poi osserva Kimmich in gara
  • secondo step — al termine di un allenamento Gabriele esegue dieci ripetizioni di conduzione per arrivare in prossimità di un cono quindi sterza e calcia di sx in una delle due porte presenti, quella lasciata libera (scelta) dal movimento del mister.

Non sono quelle dieci ripetizioni che gli hanno permesso di apprendere. La cosa più importante è stata fargli capire la sua necessità e l’opportunità di apprendere qualcosa. Successivamente Gabriele, nei mezzi situazionali, ha cominciato ad usare il piede sinistro fino ad arrivare, e bisogna anche “aver fortuna”, a fare goal. Fargli sperimentare e accompagnarlo facendogli capire il suo campo di miglioramento è stato fondamentale.

Veniamo ora all’importanza del rispetto del ciclo del gioco affinchè si possa considerare un mezzo di allenamento formativo

La sfida è quella di saper cogliere il particolare nel globale e l’individuale nel collettivo. Facciamo allenamenti globali dove domina il gioco, con tanti giocatori con l’obiettivo di migliorare il singolo cercando di saper cogliere il particolare nel mezzo di allenamento globale (nel gioco). È necessaria una maggiore attenzione perchè va da sè comprendere come sia più difficile intervenire rispetto alle correzioni che vengono fatte nel lavoro analitico.

VIDEO ESERCITAZIONE SITUAZIONALE 5 VS 5 + 3 JOLLY

Valenti ribadisce che l’apprendimento ha bisogno della relazione, una relazione che coinvolga tutti, dallo staff tecnico al magazziniere, tutte le figure che sono in qualche modo coinvolte nel processo di formazione delle ragazze o dei ragazzi. Sono le relazioni che ci formano.

È chiaro che ognuno di noi debba metterci impegno, è chiaro che dipenda anche dal giocatore stesso, da ciò che è in grado di offrire.

La relazione ha bisogno di fiducia. La fiducia facilita la relazione, facilita i processi.

Spesso ci lasciamo andare in affermazioni tipo: “questo giocatore/giocatrice non ci sta nel gruppo”…con questi presupposti, è difficile pensare che si pongano le necessarie attenzioni su di lui/lei durante l’allenamento. Dobbiamo avere fiducia in loro e loro devono avere fiducia in noi allenatori. Come guadagnare la loro fiducia? Facendo in modo che riconoscano la nostra competenza, la nostra onestà e coerenza non intesa come rigidità ma come continuità tra dichiarato ed agito.

La relazione deve essere umanizzante. Quando chiediamo ad un nostro giocatore/giocatrice come sta dobbiamo farlo in modo sincero, non come se si trattasse di una procedura. In particolare quando una giocatrice è infortunata ed è costretta a stare lontano dal campo, dal gruppo.

Se ad una giocatrice di 34 anni che ha vinto uno scudetto a cui facciamo delle richieste dal punto di vista tecnico-tattico differenti da quelle a cui era abituata, non possiamo pensare che all’aspetto tecnico non sia legato un aspetto emotivo.

Quando chiedi alle giocatrici “come stai?”, dopo aver risposto, subito dopo, lo chiedono a te allenatore! Più difficile che accada nel contesto maschile.

Interviene ancora Mister Cavalli dicendo come sia importante convincerle che siano adatte a quanto richiesto difficoltà riscontrata, in particolare, dopo gli esiti iniziali negativi. Fare la calciatrici è difficile.

È un mondo completamente isolato che ha bisogno di riconoscibilità.

Se siamo in grado di dargliela ci possono restituire tanto

Ancora Valenti sottolinea come la richiesta sia alta: viene richiesto loro di prendersi dei rischi, chiediamo coraggio, consapevolezza, fatica…Sono in pochi a farlo perchè la richiesta, chiamiamola, tecnico-tattico-cognitiva ed emotiva è faticosa. Proseguiamo nella richiesta perchè abbiamo tanta fiducia in loro.

L’incontro è praticamente terminato. Arriva una domanda dagli studenti: “Se dopo diverse giornate di campionato non arrivano i risultati cosa fate?”.

La risposta di Valenti: “Se perdiamo sempre dobbiamo capire se la richiesta non sia troppo alta…siamo qui per aiutare le giocatrici non per metterle in dificoltà”. “Stiamo allenando, generalmente e dal punto di vista metodologico, come facevamo nei contesti maschili. Dobbiamo tener conto del fatto che le ragazze soffrano di più l’errore, abbiano più paura di sbagliare e quando sbagliano si portano l’errore nell’esecuzione successiva, ma abbiamo fiducia in loro e nel processo”.

Grazie

BIO: GIOVANNI VALENTI è Laureato in Economia e Commercio ed ha conseguito la licenza di allenatore UEFA A. È appassionato di lettura, corsa e cucina.

BIO: Michele Cavalli (29/09/1966)

Allenatore UEFA A. Dal ‘94 al 2010 al settore giovanile del Lumezzane, come allenatore prima, come responsabile del sett giovanile poi; dalla stagione 10-11 al 14-15 al settore giovanile del Milan, come responsabile del progetto squadre prof, osservatore della squadra primavera e al coordinamento tecnico del sett giovanile agonistico; nelle successive tre stagioni al coordinamento tecnico del sett giovanile della Juventus; poi, quattro stagioni come collaboratore tecnico nello staff di R. De Zerbi (tre al Sassuolo, in serie A, una allo Shakhtar,in Ucraina, purtroppo interrotta con l’inizio della guerra); la stagione scorsa come vice allenatore di G. Valenti, in Macedonia, al Brera Strumica (serie A macedone).

5 risposte

  1. Buonasera, pienamente d?accordo su tutto. Se il gioco del calcio è un sistema di complesso , se il calciatore è un sistema complesso , per sviluppare una metodologia di allenamento dobbiamo tenere conto della teoria dei sistemi dinamici,Da qui possiamo introdurre la differenza tra approccio sistemico e approccio riduzionistico.

  2. Posso testimoniare l’apporto didattico e pratico sul campo che settimanalmente danno Giovanni Valenti e Michele Cavalli al nostro Settore Giovanile.

  3. Come sempre ricco di spunti e riflessioni, mi ha colpito moltissimo l’ultimo pensiero relativo alle richieste che gli staff fanno al gruppo squadra e al singolo giocatore, anche per esperienza diretta e sbagli personali fatti, purtroppo l’ego personale porta a commettere degli sbagli di gestione e di richieste alla squadra o al singolo. Avevo una curiosità, la figura del preparatore atletico tradizionale si sta evolvendo sempre più, la direzione è quella di un analista dati che fornisce report sulle esercitazioni e sulle sue evoluzioni o di una sorta di allenatore individuale che agisce su aspetti specifici del singolo atleta durante la settimana, una sorta di riequilibratore della performance……sempre senza dimenticare l’articolo precedente dove si faceva riferimento alla prevenzione con mezzi mirati a tale obiettivo, ma che inevitabilmente esulano dalla specificità come si cita nell’articolo e come giustamente diceva Velasco nel suo intervento in quel di Trento

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