MILAN, IL DIFETTO PIÙ GRANDE: LA PERSONALITÀ

Insieme con i mugugni che sconfinano nella rabbia e nei fischi, insieme con le perplessità sulla costruzione della rosa, del reale valore di alcuni giocatori, dei continui turnover in formazione e in particolare (non mi stanco mai di dirlo) della coppia di centrali difensivi, la lacuna più ampia del Milan è da tempo la personalità. Non è più un semplice interrogativo: è un difetto acclarato. 

Giocatori di tempra, di carattere, di testa, riescono a mascherare con l’atteggiamento le mancanze – anche tecniche – molto evidenti in troppe occasioni. Quella rossonera è una squadra con un livello medio-alto di capacità individuali, sia pure con picchi decisamente bassi in alcuni dei suoi interpreti, ma non riesce ad avere una spina dorsale percorsa da un filo elettrico costantemente scintillante. La ferocia agonistica si accende e si spegne come una luminaria natalizia, segno di una carenza di base difficilmente colmabile. 

Già con Stefano Pioli la virtù migliore era la capacità di giocare da squadra. Lo scudetto del 2022 fu vinto non dalla più forte, ma dalla migliore: bene assortita, bene assemblata, bene registrata dal punto di vista della partecipazione, da uno spirito sodale che rendeva il Milan capace di occupare il campo con ordine, disciplina, abnegazione. Parola chiave, quest’ultima, che le riassume un po’ tutte.

Ma già con Stefano Pioli affioravano spesso leziosità, superficialità nelle scelte e nelle giocate, nella capacità di leggere le situazioni, porre rimedio alle difficoltà in corsa. Dall’inizio del 2023 è stata tutta una salita rocciosa affrontata con le scarpe da ginnastica, a mani nude senza moschettoni, senza picconi, senza corde persino. Non pare mai che questa squadra sia attraversata dalla paura di precipitare, di prendere gol, non pare mai che avverta il pericolo, non sale mai dalle elementari alle medie fino al liceo, restando una scolaresca di bambini nel bosco alle 5 di sera, più curiosi di vedere l’orso da vicino che spaventati dall’incontrarlo. Da qui quegli orrori difensivi, di squadra o di linea schierata, che si ripetono da quasi 2 anni. Tonali o non Tonali, Kessie o non Kessie, comunque senza smettere di rimpiangerli.

Ondivaga la partecipazione di Theo Hernandez, Leao, Loftus Cheek – sia pure con incidenze diverse – e la loro predisposizione a stare dentro la partita, dentro le partite, con costanza. Loftus in questa stagione è al di sotto di standard accettabili. Dubbi sulla reale consistenza, sul valore assoluto di Chukwueze, Okafor, Musah. Molte perplessità su Emerson Royal e Pavlovic, deludente il mancato upgrade (casomai l’involuzione) di Tomori dopo le prime ottime stagioni. 

La summa di queste riflessioni è tutta nella partita di Bratislava contro una squadra, palesemente, chiaramente, evidentemente inferiore. Ma molto, inferiore. Quando un avversario è così lontano dai tuoi parametri, devi aggredirlo, colpirlo, mandarlo al tappeto il prima possibile. Il Milan gli danza intorno sulle punte, sembra aspettare quasi che lo Slovan caschi da solo, non affonda. Sbaglia le scelte, non ha coraggio nella giocata, nella verticalizzazione, nel cambio di fronte e di ritmo, non ha fame di segnare, trotterella ad aspettare il gol per grazia ricevuta. Non è così che funziona, né in serie A né in Champions. E a momenti rischi il patatrac, grazie anche a un arbitraggio insufficiente che ti nega un rigore solare sullo 0-0 e non fischia nessuno dei 2 falli nell’azione che genera il secondo gol degli slovacchi. Dettagli, comunque pesanti nel computo del punteggio e della differenza reti che in questa nuova formula ha un peso specifico grande. 

La maturità, il carattere, l’abnegazione, la personalità, non si allenano: crescono (o decrescono) dentro, metabolizzano l’ambiente, riguardano la sensibilità di ciascuno. Se certe molle non scattano nell’intimo e nella mente di ciascuno, è il gruppo che paga. 

BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.

2 risposte

  1. Metafore azzeccatissime Luca!
    L’orso nel bosco è monumentale!
    Ma a mio avviso la palma spetta ad un Diavolo contornato da una corolla di luminarie natalizie dal randomico lampeggio tra l’altro molto di moda in questo periodo! Chapeau!!
    Un affettuoso saluto da chi ti legge e ti stima da una vita.
    Massimo 48

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