Mica tutte le squadre possono vantare i colori del titolo di uno dei romanzi più incisivi dell’Ottocento francese: Le Rouge et le Noir, insomma, “Il rosso e il nero”, uscito tra il 1830 e il 1831, a firma Stendhal, nom de plume di Marie-Henry Beyle. Legare il romanzo storico al Milan – e alla fantasia della sua maglia – è qualcosa che, in semiotica, forse potrebbe attenere al concetto di decodifica aberrante di cui parlava Umberto Eco: mancata comprensione o stravolgimento del messaggio per una serie di ragioni che riguardano la non condivisione del codice e/o il rapporto fallato tra emittente e destinatario (semplificazione estrema, eh!).
Sì, ovvio, sono due ambiti inconciliabili, il Milan e la critica alla restaurazione borbonica che fa Stendhal attraverso la storia di Julian Sorel, eppure, rimanendo dentro l’ambiguità del titolo – il rosso e il nero riguardano la dicotomia tra la carriera militare e quella ecclesiastica, tra arbitrio e rigidità di classe, tra passione e repressione ecc. – qualcosa potrebbe perfino risuonarci: una dimensione non chiara, dove un colore si compenetra con l’altro e, come in una roulette, ogni puntata corrisponde a un giro/rischio imponderabile.
Il Milan ha ospitato a San Siro – due partite in casa consecutive, prima dell’insidiosa trasferta di Bergamo – la Juventus e l’Empoli di Roberto D’Aversa. La prestazione di campionato contro i bianconeri aveva destato più di una perplessità, nei tifosi, nei commentatori e nello stesso Paulo Fonseca, per un approccio lassista, quasi impaurito, senz’altro privo dell’efficacia sia fisica – con un buon pressing alto, per esempio – sia mentale necessaria per affrontare una partita cruciale, dal punto di vista della scalata alla classifica, com’era quella. I due elementi, quello fisico e quello mentale, riguardano, in un approccio olistico al gioco e ai suoi interpreti, una stessa prospettiva di analisi: se l’uno non funziona è verosimile che anche l’altro possa subire dei contraccolpi o incepparsi del tutto, nei casi peggiori. Al contrario, se si trova il modo di armonizzare questi due ambiti – che sono profondamente correlati, altroché se lo sono – si può arrivare a prestazioni talmente ben riuscite da sembrare “naturali”, persino facili, cioè raggiunte senza sforzo. La realtà è un’altra: non c’è nessun risultato che possa essere conseguito senza lavoro e la performance di ieri ne è una valida prova. Non abbiamo visto, contro l’Empoli, automatismi, ma organizzazione meticolosa e coerenza tra i reparti – infatti le due fasi hanno funzionato a memoria, senza sbavature di sorta e con generosità di tutti – merito soprattutto di una cerniera che, quando funziona, funziona davvero a meraviglia (parlo di Fofana e di Reijnders, giocatori di gamba e di molta testa).
Meno impegnativo, probabilmente, ma non meno importante, per l’esito che ne doveva per forza di cose scaturire, è stato il match di Champions League contro lo Slovan Bratislava. Senz’altro squadra meno strutturata e meno abile di quella allenata da Thiago Motta, non si può tuttavia, a posteriori, liquidare la partita come una “trasferta facile”. Non troppo raffinati, da un punto di vista tecnico – il gol di Tammy Abraham è stato, di fatto, un regalo da parte degli avversari, altrimenti forse non sarebbe arrivato – gli slovacchi hanno saputo usare la rapidità e l’efficacia nelle ripartenze in contropiede per mettere in difficoltà la nostra difesa, sovente troppo alta e lenta a rientrare, spesso – troppo spesso – goffa nelle chiusure. Anche la magagne in attacco sono state più o meno quelle di cui ogni volta si è parlato: inutile provare a costruire l’imbucata, se poi non c’è chi la mette dentro. L’indiscrezione del giorno dopo aveva fatto sapere di un interessamento – anzi, secondo l’agente del giocatore, Juraj Venglos, di un ritorno di fiamma, dopo contatti già avuti in passato – della società rossonera nei confronti di Nino Marcelli, giocatore dal nome italianissimo, ma che italiano non è. Si è visto poco, ma quel poco è sembrato ben promettere.
Due partite non esaltanti – ma, ricordiamolo, finite con un pareggio e una vittoria, ché a volte è davvero difficile comprendere le logiche dietro a certe indiscrezioni – che paiono aver portato a nuove voci di esonero per Fonseca. Questo emerge dalle parole di Ravezzani, fatte ascoltare dal sempre ottimo Rinaldo Morelli: è davvero necessario… ma, no, mettiamola sul pragmatismo spicciolo. Allora chiediamoci: è utile porre di continuo sulla graticola proprio colui che può e che dovrebbe dare stabilità ai giocatori? La risposta è retorica quanto la domanda. A meno di non dover considerare il calcio come un mezzo e non come un fine. Allora, stabilità, performance ecc. ecc. diventerebbero rilevanti in ambiti che non lambiscono neppure il campo; così i titoli, più espressione di prestazioni finanziarie in crescita (si spera!) che agognati trofei da esporre in bacheca. Sembra insomma che, prendendo in prestito e volutamente travisando l’assunto di quel tale di Firenze, spessissimo misconosciuto, nella sua potenza analitica, il fine – plusvalenze, stadio, dividendi e chi più ne ha più ne metta – giustifichi i mezzi.
Ovvero giustifichi l’avere una squadra che serve come motore di qualcosa che non è – o non è in stretta accezione – il gioco del pallone. Impressioni, riflessioni a voce alta, ma da qualche parte bisogna pur andare a scovare dei perché che ci confondono. La partita contro l’Empoli – una partita salda, e non tanto per il risultato che la sancisce, ma per l’equilibrio complessivo degli undici – testimonia che il tempo porta buoni frutti, oltre che buoni consigli. Vogliamo lasciarlo lavorare con la giusta pressione, che è quella agonistica e pedagogica, a latere, e non quella della spada di Damocle, sospesa a settimane alterne sopra la testa? Il rispetto del percorso e del lavoro altrui è indice di serietà.
Insomma, finché si trattava dello Slovan Bratislava, un modo per spuntarla, anche quando non tutto fila liscio, si doveva trovare. Più difficile farlo, almeno sulla carta, con una formazione organizzata e salda come quella di D’Aversa. L’Empoli, una piccola città, una squadra lineare, senza ambizioni internazionali, ma con il proponimento di restare in serie A (quest’anno ci sta riuscendo), è infatti denotata da una precisa identità. Viene da chiedersi, a prescindere dall’utilizzo che se ne fa in prima squadra, se ciò sia legato anche alla connessione con l’ottimo vivaio di cui può fare vanto. Empoli, città del vetro verde, della manifattura tessile – la famiglia Corsi, esempio di gestione virtuosa, come quella dei Percassi, è imprenditrice in questo settore – e del gelato Sammontana, è situata nell’area vasta intorno a Firenze tanto che, a volte, finisce per esservi inglobata. Sottovalutarla, però, sarebbe stato un errore, nonostante le statistiche nettamente favorevoli ai rossoneri (soltanto tre vittorie, negli scontri diretti, per i toscani). Anche perché, in ogni caso, si stava parlando di una squadra che è arrivata al Meazza con soli undici gol subiti, rigori contro compresi: davvero non male. Il Milan ne conta quattordici, ma con una partita in meno. Appena inferiore invece la capacità realizzativa, che si attestava al 13% rispetto al nostro 15%. Diverse ambizioni, d’accordo, ma un ospite che poteva essere più che insidioso, se non si fosse stati capaci di valutare e prendere le opportune contromisure.
Contromisure che tuttavia, anche un po’ a sorpresa – i nostri bias di conferma avevano già identificato un’altra prestazione svogliata e storta – sono state prese, e bene, riuscendo ad arginare, specie nel primo tempo, una squadra che è apparsa a tratti finanche disorganica, nella manovra, quando uno dei suoi principali pregi – si veda, a questo proposito, la partita contro il Napoli, sofferta dai partenopei e vinta poi su rigore – era stato fino a ieri sera la compattezza, quello stoicismo che spesso fa più del talento in senso stretto. Lecito dubitare che una struttura che ha retto fin qui si sia sgretolata all’improvviso per ragioni misteriose. Più onesto ammettere che sia stato il Milan a saper imbrigliare ogni punto di forza degli avversari, garantendo loro l’utilizzo poche lance spuntate, alcune delle quali si sono intraviste nel secondo tempo, quando è arrivata anche una traversa provvidenziale (per noi!). Nella compagine empolese, va sottolineata la notevole gara del georgiano Goglichidze, capace di arginare danni peggiori alla sua squadra.
Nessun particolare stravolgimento tattico, dato che si è partiti da un 1-4-2-3-1, ferma restando la solita raccomandazione – repetita iuvant sed continuata secat! – di non indulgere in semplificazioni: lo schema non è un monolite, ma una nuvola di storni. Dunque Rafa, come già si era visto, per esempio, contro la Juventus, ma con maggiore fluidità, direi anche maggiore padronanza di mezzi tecnico-tattici, per almeno un tempo si è lasciato contagiare dalla forza centripeta e di rado si è avvicinato alla linea laterale. Non ne ha perso in efficacia – e questa è la buona notizia – riuscendo a valorizzare l’uno contro uno, che tanto gli si addice, e al contempo privando la difesa empolese di punti di riferimento stabili. L’utilizzo di Musah alla Saelemaekers, non identico, per profondità di intervento, ma concettualmente simile a quello visto contro il Real Madrid, ha avuto la funzione di scambio e raddoppio con Emerson Royal, bloccando l’avanzata del quinto e consentendo, come in un piano inclinato, di costruire trasversalmente a partire sulla fascia sinistra, ovvero sull’asse Theo – Reijnders – Leão, con Morata come vertice finale. Anche in questo caso, mi pare che l’intento sia stato quello di confondere e di imbrigliare le possibili ripartenze empolesi che si sono infatti mostrate lente e imprecise, nella maggioranza dei casi, come se non ci fossero gli spazi che si presumeva si dovessero creare con i movimenti usuali dei rossoneri. Centralmente, Thiaw sembra un giocatore molto più maturo e riflessivo rispetto alla stagione scorsa e Matteo Gabbia, che ha appena rinnovato il suo contratto fino al 2029, garantisce sicurezza difensiva e un discreto ordine (termine che ha contraddistinto le prove di tutti).
In un clima a banchi di nebbia, che ricordava l’incontro profetico e stregato nel Dramma scozzese – Fair is foul and foul is fair. Hover through the fog and filthy air – ogni tassello è andato al proprio posto, con il bello e il brutto riconoscibili, così come il rosso e il nero: lo spagnolo, che ha segnato un gol tecnicamente da campione, non ha dovuto fare una sorta di mediano aggiunto e Francesco Camarda si è persino potuto concedere, con l’irruenza generosa della giovinezza, una rovesciata che, con un pizzico di fortuna in più, sarebbe culminata in una rete memorabile. Sarà per la prossima volta: l’istinto c’è e ci piace!
MILAN (1-4-2-3-1): Maignan; E. Royal, Gabbia (dal 75’, Pavlović), Thiaw, Hernández; Fofana (dal 75’, Loftus-Cheek), Reijnders; Musah (dal 75’, Chukwueze), Pulisic, Leão (dall’84’, Camarda); Morata (dall’81’, Abraham). A disp.: Sportiello, Torriani; Calabria, Pavlović, Terracciano, Tomori; Loftus-Cheek; Abraham, Camarda, Chukwueze. All.: Fonseca.
EMPOLI (1-3-5-2): Vásquez; Goglichidze (dal 71’, Marianucci), Ismajli, Viti; Gyasi, Anjorin (dal 66’, Esposito), Henderson, Maleh, Pezzella (dal 46’, Cacace); Colombo (dal 46’, Solbakken), Pellegri (dal 75’, Ekong). A disp.: Perisan, Seghetti; Bembnista, Cacace, Marianucci, Sambia, Tosto; Bacci, Belardinelli; Ekong, Esposito, Konaté, Solbakken. All.: D’Aversa.
Arbitro: Dionisi di L’Aquila.
BIO: ILARIA MAINARDI
Nasco e risiedo a Pisa anche se, per viaggi mentali, mi sento cosmopolita.
Mi nutro da sempre di calcio, grande passione di origine paterna, e di cinema.
Ho pubblicato alcuni volumi di narrativa, anche per bambini, e saggistica. Gli ultimi lavori, in ordine di tempo, sono il romanzo distopico La gestazione degli elefanti, per Les Flaneurs Edizioni, e Milù, la gallina blu, per PubMe – Gli scrittori della porta accanto.
Un sogno (anzi due)? Vincere la Palma d’oro a Cannes per un film sceneggiato a quattro mani con Quentin Tarantino e una chiacchierata con Pep Guardiola!
3 risposte
Ottimo e come sempre ricco di belle suggestioni culturali l’articolo di Ilaria! Analisi tecnica con cui mi trovo perfettamente d’accordo. Giusta la soddisfazione per una buona partita e la necessità di dare tempo. Mi tengo un po’ di preoccupazione per il valore dei nostri interpreti e della rosa soprattutto, che non mi sembrano comunque a livello delle migliori squadre europee. In Italia forse il divario è meno evidente anche se a parere mio reale. Con l’atalanta ci sarà un bel test. Speriamo!
Grazie mille, Mirko! Trovare una continuità ormai è essenziale: queste prestazioni devono diventare la norma.
L’accostamento metaforico dei colori del Milan al romanziere Stendhal è semplicemente una chicca dell’inizio di un articolo tassonomico e perfettamente condivisibile. Chapeau e felice giornata.
Massimo 48