LA FALLACIA DEI SONDAGGI SU MESSI E MARADONA

Siamo sommersi da sondaggi di ogni tipo, in ogni angolo dello scibile umano. E l’arte pedatoria, il calcio, non fa certo eccezione. Tra mille classifiche e interminabili dibattiti, si rincorre da sempre la chimera del “migliore di tutti i tempi”. Ma questo gioco, che si nutre di passioni e di emozioni, non si presta a risposte oggettive.

Il dibattito è polarizzato su Messi e Maradona, ma non mancano le opinioni diverse. Pelé, Di Stéfano, Cruijff, CR7, Platini, Gullit: ognuno ha il suo mito, ognuno il suo primo posto da difendere. Ma oggi il nostro viaggio si ferma su due nomi che sembrano danzare sullo stesso filo del destino, vale a dire i due numeri 10 argentini. Perché Messi è l’erede naturale del Pibe de Oro, la Pulga che porta avanti un’eredità che non si pesa con i numeri, ma con il cuore.

Un sondaggio, diciamolo, è un artificio statistico utile quanto fragile: un gioco di numeri e opinioni che spesso riflette più il mondo in cui è condotto che la verità che pretende di rivelare. E se l’argomento è la grandezza calcistica, terreno fertile per passioni e campanilismi, allora le falle si spalancano come difese mal disposte. Quando si tratta di Maradona e Messi, il confronto diventa inevitabilmente un affare di cuore, età e geografia.

Chi ha vissuto gli anni ’80 non può che ricordare il calcio di allora come un’epopea di gladiatori: i falli non erano fischiati con la stessa leggerezza di oggi, e ogni zolla era campo di battaglia. Maradona, il Diez, dominava in un’era dove il genio calcistico era costretto a confrontarsi con le brutalità e sopravvivere ad esse. I meno giovani, inevitabilmente, conferiscono un plebiscito al ricordo di Diego, vedendolo come il baluardo di un calcio più crudo e autentico, dove ogni dribbling sembrava un atto eroico.

I giovani, invece, nati nell’era del VAR e del controllo tattico ossessivo, cresciuti nell’epoca degli highlights su YouTube e delle carriere longeve, si lasciano affascinare dalla continuità di Messi, il quale ha dominato per quasi due decenni, vincendo più titoli di quanti molti calciatori possano sognare. Lì, il “più grande” non è solo questione di spettacolo, ma di numeri: più gol, più trofei, più longevità. E in Argentina, dove l’età media è di soli 30 anni, Messi gode di una sorta di plebiscito post-Mondiale: il 60% della popolazione lo considera superiore a Maradona, forse per quel trofeo che mancava dal 1986 e che, per i più giovani, lo ha finalmente consacrato.

Diego Armando Maradona non è stato soltanto il figlio prediletto di Napoli, ma una leggenda che ha saputo parlare a chiunque creda ancora nel calcio come arte e ribellione. La sua grandezza non si limita ai confini di quella città che lo venera come un’entità mitologica, ma si estende ben oltre, abbracciando l’immaginario degli amanti di quel “calcio romantico” che sembra ormai appartenere a un’epoca perduta.

Per i cultori del vecchio calcio, Maradona rappresenta l’apice di una visione più pura e selvaggia del gioco, dove il talento individuale non veniva sterilizzato da schemi asfissianti o statistiche ossessive. Ogni tocco del Pibe de Oro era un gesto unico, irripetibile, e portava con sé il peso non solo di Napoli, ma di un’intera umanità che lottava per il riscatto.

Non è un caso che molti di questi cultori, nostalgici di un calcio che respirava creatività e imprevedibilità, considerino superiori a Messi non solo Diego, ma anche figure come Pelé, Di Stéfano, Eusebio o Cruyff. Quei giocatori non erano semplici interpreti, ma poeti del pallone, artisti che danzavano sul filo dell’impossibile.

Messi, con il suo talento inumano e la sua costanza quasi robotica, è l’apice del calcio moderno, quello della perfezione sistematica. Maradona, invece, è il simbolo di un’epoca in cui il calcio era ancora imperfetto, e per questo più umano. Ai loro occhi, il confronto non è solo tecnico: è una questione di identità, di visione, di nostalgia. E, forse, anche di cuore.

E alla fine, tutto torna al punto di partenza: la certezza di chi vede Messi come il migliore di sempre è tanto incrollabile quanto quella di chi assegna lo scettro a Maradona. Ma qui sta il paradosso, quasi il fascino segreto di questa eterna diatriba. Le due certezze si annullano a vicenda, rivelando la loro fragilità. Perché il calcio, più di ogni altro sport, non si presta a giudizi definitivi. È questione di cuore, di pelle, di istanti che restano impressi nell’anima più che nel tabellino.

Eppure, la bellezza del calcio risiede proprio in questa eterna disputa. Non c’è verità oggettiva, e ogni epoca ha i suoi miti. I numeri, le statistiche, persino i sondaggi, raccontano solo parte della storia: il resto è emozione, memoria e appartenenza. Maradona e Messi sono due facce della stessa medaglia, il genio reso carne in epoche diverse, e forse è giusto così: perché il calcio non vive di certezze, ma di sogni e discussioni infinite.

BIO: VINCENZO DI MASO

Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.

Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia. 

Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.

Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.

Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.

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