Il Milan è trascinato in uno scialbo 0-0 contro il Genoa, un risultato che suona come un mesto rintocco di campana. La classifica piange, e quei maledetti otto punti di distanza dall’ultimo posto utile per la Champions sono un grido d’allarme che riecheggia tra i vuoti di gioco. Senza Pulisic, il Diavolo perde mordente, incapace di graffiare. La manovra offensiva è sterile, come un fiume in secca: tante promesse, ma pochi sbocchi. E intanto, i giorni passano, e con loro svaniscono anche i sogni di grandezza.
Un lampo di luce in un periodo buio. Il Milan, un tempo officina di campioni fatti e finiti, oggi prova a rifarsi l’anima puntando sui giovani. Domenica sera, sul prato di San Siro, si è consumata una scena che sa di futuro: Liberali, trequartista classe 2007, ha ceduto il posto a Camarda, centravanti nato nel 2008. Due teenager, ancora sbarbatelli, che illuminano una serata grigia. E c’è di più: il terzino Jimenez, preferito a un Theo Hernandez nuovamente escluso per scelta tecnica, ha giocato tutta la gara con personalità.
Non è la prima volta che il Milan lancia minorenni nella mischia. Gli esempi si sprecano: Donnarumma, che a 16 anni sembrava già fatto d’acciaio e pronto per le grandi battaglie, e poi Mohammed Aliyu Datti, che a 15 anni calcava i campi del Padova e a 17 vestiva il rossonero. La differenza, però, è spesso crudele. Donnarumma è volato in alto, Aliyu Datti si è perso, svanendo tra poche stagioni dignitose in Belgio e rimpianti.
Oggi il Milan sembra guardare al modello Barcellona, che con coraggio ha lanciato Lamine Yamal e Cubarsì. Il talento c’è, ma sarà sufficiente il coraggio? In un calcio che brucia i giovani troppo presto, il rischio di rivedere altre meteore è alto. Ai posteri, e al campo, l’ardua sentenza.
E allora, come giudicare la prestazione dei ragazzini rossoneri contro il Genoa? Direi in linea con la squadra: né luci abbaglianti, né ombre inquietanti. Non hanno brillato sopra i veterani, ma neppure si sono rivelati un peso. Lo 0-0, sia chiaro, non porta la loro firma come colpa. Gli errori ci sono stati, sì, ma sono quelli che ogni giovane paga in anticipo sul biglietto della crescita. Non si può certo accanirsi su chi sta muovendo i primi passi in una maglia così pesante come quella del Milan.
Liberali, protagonista involontario di due episodi controversi in area, entrambi con Miretti: il primo da attaccante, il secondo da difendente. In entrambi i casi, l’arbitro Guida non ha ritenuto ci fossero gli estremi per il rigore, liquidando i contatti come “contattini”, troppo lievi per il VAR. Episodi di campo, direbbe un vecchio maestro, che possono trasformarti in eroe o condannarti al pubblico ludibrio: un rigore fischiato nel primo caso avrebbe portato Liberali sugli altari; uno contro, nel secondo, l’avrebbe scaraventato nella polvere.
Il classe 2007, schierato titolare a sorpresa, ha iniziato soffrendo il “miedo” scenico di San Siro. Qualche errore tecnico, un pallone sanguinoso perso, il peso di un debutto che si faceva sentire. Eppure, dopo quell’inizio zoppicante, ha trovato coraggio. Ha sfiorato il gol con un colpo di testa, ha corso, si è fatto vedere. Una prestazione in crescendo, da ragazzo che impara in fretta e promette ancora di più.
Jimenez, classe 2005, poco più che maggiorenne. La cantera del Real Madrid lo ha svezzato e ora, al Milan, già si parla di lui come dell’erede di Theo Hernandez. Un paragone pesante, da maneggiare con cura. Fonseca, uno che non ama i titoli facili, lo ha fatto partire davanti al francese, ma per ragioni che sembrano andare oltre il talento puro. Il ragazzo spagnolo ha qualità: una falcata che pare uscita da un manuale, coraggio nel coprire tutta la fascia e quella sfacciataggine che non guasta, soprattutto quando osa la giocata personale. La vera domanda è perché questa chance dal primo minuto sia arrivata solo ora. Forse Fonseca voleva testarne la maturità nelle letture più delicate. Di certo, Jimenez non ha deluso: ha provocato due ammonizioni, offerto un assist d’oro a Chukwueze (sprecato) e mostrato una personalità sopra la media, oltre a una sorprendente intesa con i compagni. L’erede di Theo? Troppo presto per dirlo, ma il futuro, per il momento, è dalla sua parte.
E Camarda? Il classe 2008 è la stella nascente più chiacchierata della rosa rossonera, forse il teenager italiano più precoce e atteso. In Champions, il VAR gli ha negato la gioia del gol, strozzandogliela in gola. A soli 16 anni, il milanese ha già raccolto sette spezzoni in prima squadra, spaziando tra campionato, coppe e quell’altalena tra Milan “dei grandi” e Milan Futuro che ricorda certi casi del passato, come Liberali. Un percorso che rischia di confondergli le idee, visto che finora, in Serie C, ha segnato solo un gol. Eppure Camarda non sta semplicemente assaggiando il grande calcio. Giocare mezz’ora in una partita di campionato in bilico non è da tutti. A Cagliari non ha brillato, ma in Champions ha sfiorato il gol di testa, un’azione poi chiusa dalla rete decisiva di Abraham. Fonseca, a Camarda, non regala minuti a partita chiusa, quello che gli americani chiamano “garbage time”. Ogni istante in campo è un’occasione per crescere, e a 16 anni è già un traguardo di rilievo.
La volontà non manca al bomberino rossonero, né tantomeno l’edonismo calcistico che lo spinge a osare. Prendiamo quello scatto sulla sinistra: ha provato a bruciare in velocità due genoani, quasi a cercare ditirambi per il coraggio, se non per il risultato. Scelta temeraria, certo, ma rivedibile, perché quello spazio era una trappola ben presidiata. Camarda, del resto, è uno che ci dà dentro, lotta su ogni pallone, ma i duelli fisici, nonostante la struttura, lo vedono spesso in difficoltà.
Contro il Genoa ha avuto poche palle giocabili e non ha trovato l’alchimia giusta con Morata per presidiare l’area. Eppure, contro la Stella Rossa, il gol di Abraham è nato da un lampo del ragazzo, che ha sfiorato la rete come a dire: “Io ci sono.” Perché la differenza tra le giovanili e la prima squadra sta tutta nell’aumento del coefficiente di difficoltà: leggere lo spaziotempo diventa un esercizio per strizzacervelli. Fonseca, però, non ha fretta. La pazienza è una virtù che coltiva come un giardiniere zen, e Camarda avrà altre chance. Il talento c’è, il tempo pure. Basta saper aspettare.
I tifosi rossoneri si augurano che i tre giovanissimi scelti da Fonseca seguano le orme di Donnarumma, ma con un epilogo diverso: crescere a Milano, brillare a Milano, senza ombre di addii a costo zero. Certo, il nome di Aliyu aleggia, evocando parallelismi con l’enigmatica parabola di Johnnier Montaño. Ma qui le premesse sembrano decisamente migliori. Jimenez appare il più pronto, ma il talento di Camarda e Liberali è evidente. Fonseca ha scelto il sentiero più rischioso, puntando su un trio di baby talenti in una stagione già carica di tensioni. I due italiani stanno scalando le gerarchie, passo dopo passo, dimostrando che a volte la calma è più importante dello scintillio immediato. Alcuni criticano il fatto che non abbiano rubato l’occhio, ma forse il vero merito è un altro: non hanno sfigurato accanto a compagni più esperti. Ora si tratta di capire come risponderanno ai primi gol, ma anche ai primi schiaffi, perché è lì che si forgia davvero il futuro. A Milano lo sanno bene: il talento va nutrito, ma è la tempra a fare la differenza.
BIO: VINCENZO DI MASO
Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.
Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia.
Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.
Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.
Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.