“LE ROI”…MICHEL PLATINI

Piemonte. È alba.

Leggiadra, a suo modo inebriante, regale, sabauda atmosfera. Cornici di monti all’orizzonte che si stagliano imperiose. Luce fioca, velata, a tratteggiarli. Sono le sei del mattino. Michel è a letto, nella sua villa sui fianchi delle colline torinesi: “pronto Platini, stava dormendo?”. “Non ancora”.

Irriverente, geniale, intelligente, raffinato. Francese. Sin dalle prime luci dell’alba. Gianni Agnelli se ne innamora subito, lo adotta, lo coccola, lo eleva a simbolo di juventinitá e lo riveste di suprema regalità. Anche perché, dirà Boniperti: “se l’avvocato fosse stato un calciatore, avrebbe voluto giocare come Platini”.

Da bambino, per via della bassa statura, era “le nain”. Il nano. Un epiteto non propriamente profetico. Veritiero dal punto di vista semantico se circoscritto all’infantile configurazione corporea ma tutt’altro che icastico. L’idolo di infanzia era Pelé e, a primordiale conclamazione della capacità di irriverente giocoliere anche nelle vesti dialettiche, si autoproclamava “Peleatini”. Fatale l’origine familiare: radici fra Agrate Conturbia, nei territori che lo avrebbero consacrato fra le espressioni più pure del football, e Belluno.

Già all’imbrunire degli anni settanta Platini era stato vicino all’approdo nel campionato italiano. È il febbraio del 1978. Michel è a Milano con Sandro Mazzola per porre la firma su un contratto che lo legherà all’Inter. Il blocco agli ingaggi verso gli stranieri ne impedirà, però, l’arrivo. L’Inter lo lascia libero di trasferirsi nel frattempo al Saint-Étienne, la piú prestigiosa società francese,la cui maglia “le roi” indosserà fino al 1982. In scadenza di contratto con les Verts, tuttavia, Platini si accorda con la Juventus.  “Avevo firmato ma le frontiere, dopo, sono rimaste chiuse. Quando le hanno riaperte, prima di andare alla Juventus, per onestà ho chiamato l’Inter”. “Ho dato la mia parola quattro anni fa a voi, se mi volete sono sempre disposto”. “Mi hanno detto che avevano già preso due giocatori e che, dunque, ero libero di fare quello che volevo”.

In quegli straordinari anni ottanta che consacrano la “Vecchia Signora” a compagine più importante del continente nel primo lustro del suddetto decennio, Michel vince tutto, riuscendo altresì ad incastonare, fra essi, l’ulteriore gemma dell’Europeo con la Francia. Da capocannoniere, benché regista, trequartista, centrocampista offensivo. Titolo individuale che conquista per ben tre volte, consecutivamente, anche in bianconero, a sublimare supremazia e trionfi di squadra. E, in soggiorno, tre palloni d’oro. “L’ho preso per un pezzo di pane, diciamo che ci abbiamo aggiunto molto caviale, ma se l’è meritato”. Disse l’Avvocato. Che per lui cede Brady, decisivo a Catanzaro per la conquista del ventesimo scudetto.

Più tardi Michel lo onorerà del pallone d’oro ma solo perché, ca va sans dire, non era d’oro. Alla domanda di Gianni Agnelli, alla conclusione della prima frazione di un incontro: “Ma come Michel? Un atleta come lei fuma durante l’intervallo?”. “Avvocato, l’importante è che non fumi Bonini, è lui quello che deve correre. Io sono Platini”.

Un rapporto speciale, unico. “L’Avvocato, il grande Gianni Agnelli, mi ha insegnato a vivere; da Boniperti ho imparato a spendere i soldi; Trapattoni, invece, mi ha insegnato ad attaccare e Prandelli…Beh, il mio amico Cesare mi ha insegnato a giocare a carte”. “Ho giocato nel Nancy perché era la mia città, nel Saint-Étienne perché era la migliore in Francia e nella Juventus perché è la migliore al mondo”, disse durante l’ultima intervista da calciatore nel giorno del ritiro, a soli 32 anni.

Siede sulla panchina della Francia dal novembre del 1988 al giugno del 1992, dopo essere stato eliminato durante la fase a gironi della rassegna continentale. Ma, la panchina, non sarà il suo mondo. Diviene presidente del comitato organizzatore del campionato del mondo del 1998 e, dopo altri incarichi all’interno della federcalcio francese e nell’esecutivo della FIFA, diviene presidente dell’UEFA nel 2007, assurgendo per tre mandati a volto principe del calcio europeo. Si batterà per rendere più democratica l’organizzazione delle competizioni internazionali, con il dichiarato intento di tutelare i Paesi economicamente più penalizzati al fin di consentire la partecipazione alla Coppa dei Campioni alle società minori detentrici del titolo nazionale.

Fu decisivo per l’instaurazione del fair-play finanziario in chiave moderna: “è una cosa importantissima. In un momento economico così difficile per tutti non capisco come possano esserci società di calcio che producono 1,4 miliardi di debiti all’anno in Europa. Le squadre non devono spendere più soldi di quanto incassano. C’è la volontà di dire basta su quello che succede oggi alle finanze del calcio. Non possiamo continuare così, le banche non possono continuare a prestare soldi a milionari quando la gente muore di fame. Dobbiamo essere un esempio per tutti”.

Relativamente all’instaurazione del supporto tecnologico ai fini arbitrali decretò: “Sono assolutamente contrario, la moviola in campo uccide il calcio. Ma la mia sarà una battaglia persa. Siamo destinati alla minoranza, e sarà la fine. I droni sostituiranno l’arbitro. Pensate a una gara in cui il gioco venga fermato ogni 10’. Andremo a rivedere tutte le azioni e gli arbitri non si prenderanno più responsabilità”.

Sontuoso, altezzoso. Grandeur tipicamente transalpina. llluminante. Come Luigi XIV, Re Sole, per l’appunto.ll quale alla reggia di Versailles impiegò i più grandi artisti francesi del tempo: Le Vau per l’architettura, Le Brun per le pitture e Le Notre per i giardini, al fin di creare la reggia più prestigiosa d’Europa, che diventerà il modello assoluto della residenza reale in tutto il continente durante il Settecento. Amplió di collezioni autorevoli il museo del Louvre.

Un dipinto di Michel, iconicamente adagiato sull’erba di Tokyo, quasi posasse su un triclinium romano, elegantemente in protesta per un’opera d’arte resa vana, prima di issarsi in cima al mondo con la sua Juve, sarebbe stato certamente da lui avallato. Un’istantanea che ritrae tutto di “le roi”, una delle più qualitativamente eminenti figure della storia del calcio.

BIO: ANDREA FIORE

Teoreta, assertore della speculazione del pensiero quale sublimazione qualitativa e approdo eminentemente più aulico della rivelazione dell’essenza di sé e dello scibile, oltre qualsivoglia conoscenza, competenza ed erudizione quali esclusive basi preliminari della più pura attuazione di riflessione ed indagine. Calciofilo, per trasposizione critico analitico di ogni sfaccettatura dell’universo calcistico, dall’ambito  tecnico-tattico all’apparato storico, dalla valutazione individuale e collettiva ai sapori geografici e culturali di una passione unica. La bellezza suprema del calcio è anche il suo aspetto più controverso: è per antonomasia di tutti e tutti pensano di poterne disquisire.

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