Ciao Filippo e a tutti gli amici del blog.
A seguito di un tuo post (su Linkedin) che commentava, giustamente, una forzatura del pensiero di Rafael Benítez sulle uscite dal basso, ho fatto alcune riflessioni personali che, se possono essere utili, le condivido volentieri con voi.
Mi sembra evidente di come il dibattito sul calcio nel nostro Paese non riesca ad uscire dal giudizio legato alla vittoria o alla sconfitta. Nonostante ci siano ormai studi, ricerche e anche realtà che, attraverso una certa visione, abbiano cambiato la prospettiva ed il punto di vista su questo sport, da noi il dibatto è fermo a trent’anni fa o forse non è mai seriamente partito. E’ evidente la chiusura totale verso ciò che arriva da esperienze diverse dalle nostre abitudini.
Vediamo, oramai sistematicamente, addetti ai lavori e commentatori arroccati nelle loro trincee a tenere alta la bandiera del “calcio all’italiana”; utilizzano i loro pulpiti privilegiati per fare lo spot a persone ed ambienti a loro congeniali. Ma su questi temi fare il “tifo” per l’una o farlo per l’altra parte non è utile, non è una questione di “tifo” ma una questione di cultura, di conoscenza e, permettetemi, anche di umiltà. Questi atteggiamenti non faranno sicuramente crescere il movimento calcio in Italia, non stupiamoci, dunque, se non produciamo più un numero adeguato di ragazzi di qualità.
Oggi sotto attacco c’è il possesso palla. E’ noioso e sterile bisogna giocare in verticale, dicono. Che poi, basterebbe navigare in rete per trovare Guardiola che spiega ai suoi ragazzi che la prima scelta di passaggio, se si può, deve essere effettuata in avanti, che si devono rompere le linee di pressione per avanzare e portare il gioco nella metà campo avversaria; ed è li che Klopp esercita il famoso gegenpressing. In croce poi, le tanto “temute” uscite dal basso.
Ma questi sono solo strumenti da saper gestire ai fini dell’obbiettivo principale che è dominare il gioco.
Io credo che un giocatore che viene allenato al coraggio di non aver paura nel tenere e giocare la palla sarà sempre migliore di un giocatore a cui la palla tra i piedi scotta.
E noi allenatori, in quel “tenere la palla”, dobbiamo abituare a scegliere, a leggere le situazioni, a conoscere il gioco. Poi, è chiaro che, se ci sono le condizioni di tagliare le linee di pressione potrò uscire basso, ma è altrettanto chiaro che se le condizioni non ci sono, il nostro giocatore, che sa scegliere, sarà in grado di optare probabilmente anche per un’uscita alta, ma se noi al giocatore indichiamo solo una via, di fronte alla difficoltà come reagirà? Andrà in panico e butterà via la palla.
Questa cosa, da allenatore di ragazzi dilettanti, la vedo sui campi anche in squadre blasonate che vincono tutto e che, pressate in modo organizzato, buttano la palla in tribuna e i ragazzi in difficoltà rischiano una crisi di nervi e i mister dalla panchina imprecano senza dare loro un aiuto o un consiglio sensato, una correzione.
Io mi chiedo, perché dobbiamo denigrare o a volte ridicolizzare delle idee che ci possono aiutare a crescere? Secondo Charles Darwin, non è la specie più forte a sopravvivere, nè quella più intelligente, ma quella che reagisce di più al cambiamento. E allora perché essere così ottusi e refrattari al cambiamento? non occorre rinnegare il passato, basta saperlo trasformare in qualcosa di nuovo e di diverso.
Si sottolinea ovunque che i ragazzi non giochino abbastanza e poi scopro, attraverso le parole di un ragazzo che militava nella squadra di un settore giovanile importante, che faceva quattro allenamenti alla settimana, otto ore di allenamento ma solo due e mezzo erano con palla.
Al martedì, nel mese di dicembre, facevano solo distanze e lavoro fisico.
Rendiamoci conto che ci sono ancora allenatori che nei nostri settori giovanili propongono programmi di questo tipo. Io non dico che tutti debbano avere la curiosità, la sensibilità, la voglia di documentarsi e di studiare, di entrare nel mondo dell’approccio sistemico, della fisica quantistica, dell’allenamento nella complessità e del “Tutto”, dove ogni elemento influenza e viene influenzato all’interno del contesto, però, almeno a livello intuitivo, capire che il calcio sta andando verso un’altra direzione.
Noi, nella nostra piccola realtà, cerchiamo di dare ai nostri ragazzi una visione aperta del mondo, cerchiamo di stimolare la libertà di pensiero, utilizziamo cultura e qualità umane nella speranza di contribuire a creare quell’humus sul quale possano germogliare frutti (le persone) che abbiano il coraggio di andare oltre. Che siano in grado di non farsi ingabbiare in abitudini e stereotipi.
La base del nostro pensiero parte dalla terzina del canto XXVI dell’Inferno di Dante che recita: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.
Il messaggio che ci fornisce Dante è legato al fatto che, come esseri umani, dobbiamo cercare ricchezza nelle virtù e nella conoscenza. Anche facendo sport e calcio nello specifico. Un altro aspetto interessante è che, questo, possiamo considerarlo il primo discorso motivazionale della storia! Per l’Ulisse di Dante, infatti, è il desiderio del sapere che lo spinge ad andare avanti e superare i limiti; Ulisse dimostra di saper motivare i suoi uomini quando, utilizzando queste parole, li esorta a superare le colonne d’Ercole ed andare verso l’ignoto.
Ecco, auguro a tutti di trovare il coraggio di lasciarsi alle spalle le varie confort zone, di essere curiosi, di abbandonare il concetto così sicuro del “si è sempre fatto così, perché cambiare?” e di lasciare dietro di noi ciò che già conosciamo per andare verso l’ignoto, verso nuove scoperte, con coraggio e senza paura.
Luca Contiero
Bio
Consulente creativo nel campo della comunicazione. Allenatore Uefa B.
Autore con Mirko Melis del libro “Il Modello Anima” persone migliori fanno sportivi migliori.
Appassionato del modello spagnolo, ha seguito e filmato per una settimana gli allenamenti del Bayern di Pep Guardiola ad Arco di Trento. Ha partecipato come relatore al convegno “Lo sport coaching: dall’educazione di base alla preparazione di alto livello” Organizzato dalla scuola di Gestalt Coaching di Torino e su invito del direttore Franco Gnudi ha portato l’esperienza del Modello Anima agli allievi del Master in Gestalt Sport Coaching.
10 risposte
. capire che è la complessità ha creare il giusto apprendimento… e che apprendimento e risultato non vanno di pari passo…
Tutte le metodologie sono utili, ma bisogna capire che non possiamo separare il contesto. Il contesto nel nostro caso è la partita…
Giocare per imparare a giocare. Possiamo fare tanta tecnica analitica, tanta forza,, ma se poi non siamo capaci ha leggere le situazioni di gioco… Tempo/spazio… Diventa assai difficile essere efficaci…
La metodologia giusta! è quella che rispetta la realtà…
Grazie Fabio per il tuo commento e per le tue considerazioni che trovo molto pertinenti.grazie ancora.
Bellissimo contributo che chiarisce, se ce ne fosse bisogno, che senza motivare e dare i mezzi per crescere saremo sempre arroccati al passato e non riusciremo mai ad evolvere a livello calcistico. Più gioco e meno fisicità, più tecnica e meno prestazioni fisiche per evitare una deriva che ci sta portando verso la piattezza totale con la conseguente limitazione della fantasia… bravissimo Luca tieni duro
Grazie Simone per il tuo commento.
Mi piace, perdonami il tu (credo che in un blog dovrebbe essere la regola), condivido il tuo contributo, ma questo non significa bocciatura di altre sistematiche di lavoro e di pensiero.
Ti faccio un esempio, se io voglio affondare una corazzata e non ho un’altra corrazzata di pari o maggior valore, abbandono lo scontro frontale e faccio ricorso alle incursioni, con i “Mas” (due corazzate austriache affondate da Rizzo). Oppure mi metto sott’acqua con un maiale e seguendo una nave inglese entro nel porto di Alessandria e unitamente ad altri due equipaggi di maiali affondo due navi da guerra e una petroliera (De La Penne e altri 5).
I Mas e i maiali in mare aperto sarebbero stati degli stuzzichini per le navi affondate.
Nel calcio vale la stessa regola. Ovvero, il problema è “situazionista”, nel senso che a secondo delle risultanze di gioco, delle forze messe in campo, dei moduli adottati, è preferibile il possesso palla al non possesso palla o viceversa.
Ti faccio un altro esempio: è l’ultima di campionato sto vincendo e mancano 5 minuti alla fine, se mantengo la vittoria vinco il campionato o mi salvo, recupero palla in area di rigore, la gioco nella logica del possesso palla o se mi stanno arrivando due avversari con il coltello tra i denti la sparacchio in diagonale oltre in centro campo per donare un fallo laterale lontano dall’area di rigore?
C’è una frase che mi convince e mi avvicina molto alla tua logica. Se hai la palla la prima cosa che devi guardare è la possibilità di darla in avanti a un tuo compagno, se non è possibile scegli altre alternative (passaggio laterale o indietro).
Ancor meglio, se intravedo un corridoio che può portar alla rete, rischio di perdere il possesso palla, altrimenti faccio altre scelte.
Quanto alla cura dei ragazzi da abituare al possesso palla, va bene ma come integrazione alla tecnica individuale, non solo di trattamento del pallone, ma di sapere attaccare e marcare.
Condivido, in tal senso, il fatto che nella tecnica individuale va messa anche la capacità di saper “torellare”, possibilmente con intelligenza.
Un saluto.
Ciao Giuseppe, grazie per il tuo contributo. Parto dalla fine del tuo articolato commento, quando dici di essere d’accordo rispetto all’ abituare al possesso palla ma come integrazione alla tecnica individuale…le due cose per noi sono inscindibili, la tecnica la migliori nel gioco. Sul tema attaccare e marcare (fase di possesso e fase di non possesso) ne parleremo prossimamente in alcuni articoli sulla QUALITA’ NEL GIOCO DEL CALCIO. All’inizio del commento, perdonami se sbaglio, mi parli di aspetti strategici, che posso anche condividere ma quello che a me preme e’ il pensiero che sta dietro al percorso formativo dei nostri giovani calciatori (che poi saranno adulti) e l’esempio che mi porti dei due avversari che arrivano con il coltello tra i denti non significa necessariamente che il nostro giocatore debba calciare in diagonale oltre il centrocampo ma, proprio in virtu’ del percorso fatto, potra’ scegliere tra il provare ad uscire dalla pressione con l’aiuto dei compagni e, appunto, la pallonata in avanti. A presto.
Dimenticavo la cosa piu’ importante:non voglio significare bocciatura di altre sistematiche di lavoro o di pensiero. Come ho detto all’apertura, il blog nasce per avvicinare e non per dividere, separare. Ho sperimentato alcune modalita’ di lavoro in passato, sostenute da determinate teorie, oggi dopo ulteriori sperimentazioni ho cambiato il pensiero. Nulla vieta che in futuro ci possa essere un altro cambio.
Ciao a tutti, prima di ogni cosa, il mio ringraziamento, al quale si uniscono Federico e Mirko va a Filippo per lo spazio che ci è stato concesso all’interno di un contenitore di idee, relazioni e confronto tra i più interessanti del panorama calcistico. Grazie per i vostri preziosi incoraggiamenti. Ma anche dei vostri suggerimenti. Siamo qui per esplorare. Riteniamo, infatti, che quello dello sport, sia un mondo aperto dove non esistono regole universali inconfutabili proprio come Filippo con Edy e Paolo ci hanno e ci stanno insegnando con il loro percorso.
Gent.mo Filippo Galli, perdonami se uso il tu (nella logica dello “you” inglese). Credo che tutto sommato siamo molto d’accordo, gli esempi che ho portato (uomo contro corazzata) erano riferiti al discorso generale e non all’addestramento dei ragazzi.
Lì, chiaramente, le logiche cambiano in funzione di tante situazioni.
Per lavoro, nel mio campo, ho fatto tantissimi gruppi di lavoro interni all’azienda e nazionali, per cui ho l’abitudine all’ascolto e soprattutto a comprendere, che basta un “nulla” per accendere una buona idea nell’ascoltatore. Idea poi da dibattere e sviscerare.
Luca ti ringrazio ancora per il tuo contributo interessante e per l’apertura ( quale capacità di suscitare dibattito e idee) che hai dato al tema.
Un saluto
Grazie Giuseppe.