“Ed è gol”. Gol(le). Impossibile dimenticare quella parola, un’eco onomatopeica, pronunciata con quel leggero riverbero a raddoppiare la L e a chiudere il suono con una E involontaria, quasi impercettibile.
Il calcio del secolo scorso aveva tutto un altro sapore, autentico, vibrante, gioioso. Il gusto analogico dell’epoca era dispensato dal contatto materiale con le cose, le più semplici e normali: l’ingresso allo stadio, il cuscinetto apribile e imbottito a scaldare il seggiolino, il giornaletto sulla propria squadra distribuito all’ingresso, lo speaker ad annunciare le formazioni e la radiolina sintonizzata su “Tutto il calcio minuto per minuto” per aggiornamenti dagli altri campi d’Italia.
Tutto era romantico, l’intenzione dello sport e la sua ricezione, il fascino totale degli spalti, le coreografie pittoresche, i fumogeni, i cori esaltanti. Persino il profumo dei baracchini fuori dagli stadi, con i paninari pronti a sfamare gli spettatori accorsi in massa per vivere la partita.
Era tutto diverso. Tutto, ma proprio tutto. Perché il calcio era un momento solenne, luogo e tempo, aggregazione, partecipazione, socialità. Quella fatta di battute, di parole con il vicino, di “ciao, come la vedi?” o “oggi vinciamo, dai!”.
Tutto era a misura d’uomo, più vicino ai tifosi e alla gente. Esattamente come sosteneva – e sostiene ancora oggi – “El Loco” Marcelo Bielsa: “il calcio è di proprietà del popolo”.
Perché una volta era “Tutto molto bello”, esclamazione introdotta nel linguaggio quotidiano grazie a Bruno Pizzul, solito a utilizzare quasi in ogni gara quell’espressione (ripresa persino da Paolo Ruffini come titolo della sua commedia del 2014), anche nel Mondiale Italia ’90 durante la telecronaca Rai di Italia-Austria: “Vialli, finta, tiro. Fuori! Tutto molto bello”.
STILE ELEGANTE E SOBRIO
E poi le sventole da fuori, lo sciabordìo, il grappolo di uomini, il cincischiare e molto altro: Pizzul amava il calcio e lo raccontava a modo suo, con rigoroso rispetto, senza esalazioni di ego o virtuosismi fumantini ma con tatto, decoro, eleganza e sensibilità. Una comunicazione asciutta, ma punteggiata da un glossario esclusivo con formule inserite in pianta stabile nel gergo comune.
Un calcio narrato dal punto di vista di chi il calcio lo aveva toccato in prima persona, da centromediano metodista, a partire dai campi parrocchiali di Cormons alla Cormonese fino a indossare da professionista le maglie di Catania, Ischia e Udinese. Un brutto infortunio al ginocchio mise fine alla sua carriera da giocatore ma il calcio rimase per sempre nella sua vita, in altra veste e in forma nuova. Senza casacche ma con le cuffie e il microfono, in “trincea” a spiegare le partite, con postille e annotazioni, nel modo più naturale e diretto possibile, evitando schiamazzi e protagonismi di sorta. Perché il protagonista assoluto era il calcio, coi suoi gesti tecnici, le giocate, le invenzioni, le magie degli atleti, i gol.
Lo spettacolo si ammirava in campo, lo storytelling era basato sul garbo e la sobrietà, un’arte discreta che lasciava spazio all’evento e non agli attori; nessun mezzo di esaltazione personale (come spesso accade oggi) ma solo fine, nudo e puro. E in questo Bruno Pizzul era un fuoriclasse, una colonna della cronaca sportiva, narratore composto e cantore della storia del nostro Paese. Un Paese fatto di rituali e orazioni, vizi e virtù, spirito solidale e folcloristico, passione, senso di condivisione, appartenenza.
L’essenza, il timbro, lo stile inconfondibile: Pizzul è entrato nelle case degli italiani, in tv e in radio, diventando il faro unico e identificativo del meccanismo sport-commento. Un privilegio per pochi eletti, ma anche un merito per chi, come lui, riusciva a stare sempre un passo indietro dando risalto al calcio e arrivando a tutte le platee. E nel farlo, con equilibrio ed enfasi, in modalità costanziana, era sempre un passo avanti.
CANTORE, NARRATORE, MAESTRO
Perché se è vero che non era domenica senza Roberto Baggio (“attenzione, la palla è per Roberto Baggio e goooollll di Roberto Baggio al 43esimo del secondo tempo”, Nigeria-Italia 1-2, Mondiali USA 1994) è altrettanto vero che le domeniche erano più povere e vuote senza la sua voce iconica. La voce del calcio, della Nazionale Italiana dal 1986 al 2002, di pagine mondiali e europee, della nostra cultura e del nostro tempo.
E anche se non ha avuto la fortuna di pronunciare, come il suo predecessore Nando Martellini, il liberatorio “Campioni del Mondo” (“Non l’ho mai sentita come una cosa che mi mancasse; mi è dispiaciuto che non l’Italia non abbia vinto a Italia ’90 perché lo avrebbe meritato, quello sì, ma le altre volte no…”, dirà in un’intervista), Bruno Pizzul dal Friuli ha fatto sognare gli italiani raccontando magnificamente in presa diretta le epopee azzurre.
Proprio Martellini, altro pilastro del giornalismo italico, lo aveva definito “un gentiluomo che fa parte di una razza in via d’estinzione”. Un gentiluomo vero, l’ultimo di una generazione che ha fatto scuola lasciando molti spunti ma pochissimi eredi.
Addio Bruno Pizzul, maestro e aedo del pallone (Udine, 8 marzo 1938 – Gorizia, 5 marzo 2025).

BIO: Andrea Rurali
Brianzolo Doc, classe 1988. Nato lo stesso giorno di Bobby Charlton, cresciuto con il mito di Johan Cruijff e le magie di Alessandro Del Piero. Da sempre appassionato di cinema, tv, calcio, sport e viaggi.
- Lavoro a Mediaset dal 2008 e attualmente mi occupo del palinsesto editoriale di Cine34.
- Sono autore del programma di approfondimento cinematografico “Vi racconto” con Enrico Vanzina e co-regista dei documentari “Noi siamo Cinema”; “Vanzina: una famiglia per il cinema”; “Noi che…le vacanze di Natale” e “Cult in campo: L’allenatore nel pallone…40 anni dopo”.
- Dal 2014 dirigo la rivista web CineAvatar.it (http://cineavatar.it/)
- Nell’autunno 2022 ho fondato la community Pagine Mondiali e nell’estate 2023 la piattaforma sportiva Monza Cuore Biancorosso.
- Da agosto 2023 collaboro con la testata giornalistica Monza-News, scrivendo le analisi delle partite dei biancorossi e partecipando alla trasmissione Binario Sport.
- Dal 2019 collaboro con la casa editrice Bietti, in particolare per la realizzazione di saggi sul cinema inseriti nelle monografie di William Lustig, Manetti Bros, Dario Argento e Mike Flanagan.
- Tra le mie pubblicazioni, il saggio “Il mio nome è western italiano” nel volume Quando cantavano le Colt. Enciclopedia cine-musicale del western all’italiana (F. Biella-M. Privitera, Casa Musicale Eco, 2017) e il saggio “Nel segno del doppio” nel libro “Mediaset e il cinema italiano. Film, personaggi, avventure” di Gianni Canova e Rocco Moccagatta.