MARCO OSIO: SINDACO DI PARMA E DO BRASIL

La legge n.81 del 25 marzo 1993 ha cambiato la modalità di elezione dei sindaci e dei consigli comunali. Fino ad allora il sindaco era nominato dal consiglio comunale insediatosi dopo le elezioni, ma da quel momento sono i cittadini ad eleggere i primi cittadini: se la città ha meno di 15mila abitanti, è eletto sindaco il candidato più votato mentre se la città ha più di 15mila abitanti è previsto un turno di ballottaggio se un candidato non ha raggiunto la maggioranza assoluta dei voti. Due settimane dopo il primo turno, al turno di ballottaggio, andranno i candidati più votati e di questi vincerà quello che otterrà più voti.

Marco Osio non ha mai svolto il lavoro di sindaco, ma di calciatore. È stato un amatissimo e quando i tifosi ti amano, ti eleggono loro “sindaco” e “sindaco” è stato il nick che ha accompagnato il giocatore marchigiano durante tutta la sua carriera.

Il nome di Marco Osio, classe 1966 di Ancona, è legato indissolubilmente alla storia del Parma: il centrocampista ha militato con la maglia dei ducali per sei stagioni, giocando 209 partite, segnando trentacinque reti e vincendo i primi due trofei degli emiliani, la Coppa Italia e la Coppa delle Coppe nel tempio di Wembley nel biennio 1992-1993.

Osio è un “ragazzo del Fila” che a 10 anni viene portato da Sergio Vatta sotto la Mole e lo farà diventare un giocatore professionista. Il giovane centrocampista debutta in Serie A il 19 febbraio 1984 con la maglia del Torino contro l’Avellino al vecchio “Comunale”. È il “sergente di ferro” Eugenio Bersellini a gettarlo nella mischia quel giorno al posto di Franco Selvaggi. Marco Osio cresce con il mito di Renato Zaccarelli, bandiera del Torino e anconetana come lui.

Nella stagione 1984/1985 (quella che vede la miglior posizione del Torino in campionato dopo la vittoria dello scudetto del torneo 1975/1976), la “Primavera” del Toro fa il double Campionato-Torneo di Viareggio: Osio è in campo nella finale del torneo giovanile.

Osio rimane in granata fino al termine del torneo 1985/1986: la stagione successiva va in prestito all’Empoli, club promosso in massima serie per la prima volta nella sua storia. La squadra toscana si salva e Osio mette a referto diciassette partite e due reti.

La sua prima rete in Serie A è un qualcosa di mistico: segna il suo primo gol in Serie A nella prima partita dell’Empoli in Serie A nel suo stadio, il “Castellani”. Osio segna il gol vittoria (su assist di Zennaro) niente meno che all’Inter del nuovo tecnico Giovanni Trapattoni che schiera in campo quattro Campioni del Mondo (Bergomi, Passarella, Tardelli, Altobelli) ed un campione d’Europa con due Palloni d’oro in bacheca (Rummenigge). Era domenica 14 settembre 1986, una data epica per tutti: per Osio, per l’Empoli, per i suoi tifosi…e per l’Inter.

Il club del presidente Grazzini si salva e Osio segna il suo secondo gol in massima serie contro il Como all’ultima giornata, quella che sancisce la salvezza dei toscani. Nonostante la salvezza, Osio non rimane in Toscana ma si sposta di duecento chilometri firmando con il Parma. Un passo indietro? Sì a livello di categoria, ma con i gialloblu Marco Osio diventerà una leggenda.

Gli emiliani, anche grazie ad Osio, disputano campionati importanti e Osio è allenato da due mister che per lui avranno un peso specifico importante: Zdenek Zeman e Nevio Scala. Con il tecnico di Lozzo Atestino, il Parma compirà una grande impresa: stagione 1989/1990, quarto posto e promozione in Serie A per la prima volta nella sua storia.

Nella città di sant’Ilario diventa per tutti il “sindaco”: niente politica attiva, ma discorsi da leader e i tifosi che credono più nell’Osio “sindaco” che nell’allora primo cittadino di Parma, con cui ci fu tensione per l’allargamento del “Tardini”: lo striscione “Osio sindaco” è la dimostrazione d’affetto della curva nei suoi confronti.

Il primo anno del Parma in Serie A supera tutte le aspettative: non solo salvezza raggiunta molto prima di quanto sperato, ma la squadra chiude al sesto posto. “Sesto posto” in quella Serie A significava qualificazione alla Coppa UEFA l’anno successivo. Il club del patron Calisto Tanzi (presidente anche della Parmalat) sorprende tutti e si qualifica al primo colpo per l’Europa. Era un Parma mitico con in campo gente del calibro di Grun, Apolloni, capitan Minotti, Melli, Cuoghi, due portieri come Ballotta e Taffarel ed il “sindaco” Osio.

A distanza di quattro anni, è ancora Osio a stabilire il primo gol vittoria del club in cui gioca in Serie A: il 14 settembre 1986 contro l’Inter alla prima giornata, il 23 settembre 1990, alla terza giornata, contro il Napoli campione d’Italia.

La stagione successiva Marco Osio, maglia numero 9 sulla schiena (ma senza essere un vero numero 9), contribuisce a portare il club addirittura in finale di Coppa Italia. E la squadra vince la coppa nazionale sconfiggendo in finale la Juventus: i bianconeri vinsero il match di andata, ma è il Parma ad alzare la coppa grazie alle reti, nel match di ritorno, di Melli e di Osio.

In due stagioni in Serie A il Parma aveva giù vinto un trofeo. E la vittoria della coppa nazionale portava quel club a giocare ancora in Europa, in Coppa delle Coppe, la coppa europea un tempo dedicata a chi vinceva le coppe nazionale la stagione precedente. E alla prima partecipazione, Osio e soci vinceranno la Coppa delle Coppe niente meno che a Wembley contro l’Anversa per 3-1 (con assist di Osio a Melli per il gol del momentaneo 2-1). In campionato i ducali arrivano addirittura terzi, dietro di nove punti rispetto al Milan di Capello. I tifosi parmensi non ci credono come non ci crede quella squadra che in tre anni stava scrivendo una grande pagina di calcio. Allora era una grande Serie A con grandi campioni e grandi squadre: il Parma di Nevio Scala in quella grande Serie A con grandi campioni e grandi squadre ci stava. Eccome.

Marco Osio in tutti quei risultati incredibili c’è sempre: capello lungo d’ordinanza, barba altrettanto lunga, calzettoni abbassati da vero bad boy e un talento che a 27 anni era veramente sbocciato.

Nel 1993 il Parma decide di alzare l’asticella: vuole già lottare per lo scudetto anche se è al quarto campionato di A. Arriva Gianfranco Zola, quello che a Napoli giocava con la 10 di Maradona e Osio capisce che, nonostante le 209 partite e i trentacinque gol segnati, la sua storia a Parma è finita. Si parlava di un interessamento per lui da parte di Samp, Milan e Juventus, ma Osio torna dove tutto era iniziato firmando con il Torino.

Sono due annate negative per colpa di troppi infortuni, se nonché l’unica nota positiva è il suo primo gol con la maglia del Torino in Serie A: era il 20 novembre del 1994 e segnò al “Ferraris” contro la Sampdoria. Peccato che in questi anni non sia mai arrivata per lui una convocazione in Nazionale, il coronamento di un qualcosa incredibile anche solo pochi anni prima. Ma “un qualcosa di incredibile” bussa alla porta di Marco Osio nell’estate 1995. Lo contatta un club storico che non è né italiano né europeo, ma bensì sudamericano: il Palmeiras di San Paolo. Il Verdão, uno dei club più famosi e forti del calcio verde-oro, era sponsorizzato dalla Parmalat (lo stesso sponsor del Parma), e Osio viene contattato per giocare nel Campeonato Brasileiro Série A, diventando così il primo calciatore italiano ad andare a giocare in Brasile.

Il Palmeiras era un club nato nel 1914 grazie ad alcuni italiani emigrati in quella parte di Mondo: nato come “Palestra Italia”, aveva giocato i primi anni contro Torino e Pro Vercelli impegnate in quel periodo in una serie di partite in Brasile. Il club divenne “Palmeiras” nel 1942 per volere del dittatore brasiliano Getullio Vargas che aveva fatto alleare il Paese con gli Alleati nella Seconda guerra mondiale e non poteva esserci un club in Brasile con il nome di un suo avversario di guerra. Fino all’approdo di Osio, il Palmeiras aveva vinto otto campionati brasiliani e venti campionati paulisti. Obiettivo: vincere la Copa Libertadores, la Coppa dei Campioni sudamericana che permetteva a chi la vinceva di giocarsi la Coppa Intercontinentale a Tokyo contro la squadra campione d’Europa. Fino ad allora si era spinto due volte in finale, perdendo in entrambi i casi.

Peccato che l’allora mister del Palmeiras, Carlos Alberto Silva, non sapeva chi fosse Marco Osio: lui voleva Dino Baggio e si parlava anche di Apolloni e Benarrivo, tutti nel giro della Nazionale italiana, non il “sindaco”.

L’impatto di Osio con il Brasile è difficile: paese diverso, lingua diversa, cibi e tradizioni diverse, ma è il calcio (pardon, futebol) ad unire Italia, Brasile e Osio che, dall’altra parte del Mondo, voleva dimostrare di essere un giocatore all’altezza della situazione. Gioca con gente del calibro di Cafù, Rivaldo, Zago, Flavio Conceiçao, Djalminha e Muller (già ex Torino): tutti giocatori che verranno anni dopo in Europa a vincere titoli nazionali, coppe nonché Mondiali. Il Palmeiras lo coccola e gli fa sentire l’Italia meno lontana.

Per Osio si realizzava un sogno: non solo andare a giocare nella terra del futebol, ma vestire la maglia di una squadra che lui sceglieva quando era ragazzino e giocava al Subbuteo. Ora però giocava sul manto erboso dell’”Estádio Parque Antárctica”, il campo dove giocava già il vecchio Palestra Italia, non sul tavolo del celebre gioco.

Osio debutta nel Palmeiras il 12 ottobre 1995: il 12 ottobre 1492 un genovese era diventato il primo uomo a mettere piede nel “Nuovo Mondo” e lui diventava il primo italiano a giocare in Brasile.

Con mister Silva non c’è feeling: è scettico sia verso la società sia verso il giocatore perché voleva un centrocampista meno offensivo e, soprattutto, come detto, non Osio che non sapeva nemmeno chi fosse. Fortunatamente (per Osio), Silva viene esonerato e al suo posto arriva dal Flamengo Vanderlei Luxemburgo. L’arrivo del futuro allenatore della Seleçao fa cambiare passo sia al Palmeiras che a Osio: la squadra vince il campionato paulista nel 1996 con diciotto punti sul San Paolo secondo classificato segnando 102 gol fatti e subendone solo diciannove in trenta partite.

Nel mentre che era in Brasile, il “sindaco” scopre che la moglie Federica è in attesa di Edoardo. “Che si fa? Si rimane qua o si torna a casa?” chiede alla moglie. “Si torna in Italia”, dice Federica e gli Osio tornano a casa. Siamo nella seconda metà del 1996 ed il sogno brasileiro del “sindaco” è finito: chiuderà l’esperienza brasiliana con 20 presenze ed una rete segnata al Clube Atlético Juventus.

Il ritorno in Italia per Osio è negativo: non trova accordi con nessuna squadra di Serie A o di Serie B e firma con il Saronno in Serie C1 dove gioca un solo anno (stagione 1996/1997). L’anno successivo è ancora in terza serie ma a Pistoia e chiude con il professionismo a Faenza dove in due stagione gioca in Serie C2 e Serie C1.

Appesi gli scarpini al chiodo, passa dal campo alla panchina: tanta provincia tra Serie C2, Lega Pro Seconda Divisione, Serie D ed Eccellenza ma pochissime gioie, se non un campionato di sesta serie nazionale (la Eccellenza parmense) con il Crociati Noceto nel 2006/2007 ed un passaggio “a casa” all’Ancona.

Marco Osio oggi è fuori dal mondo del calcio, abita a Parma, è il direttore sportivo di una squadra di Parma che gioca in Seconda categoria e gestisce una società che opera nel campo delle app per telefoni. Ha tentato anni fa la carriera politica, venendo eletto consigliere comunale di maggioranza a Parma: sindaco divenne Pietro Vignali, mentre lui si sedette sui banchi di Palazzo del Comune, ma sempre con il soprannome di “sindaco”.

È difficile dimenticarsi di Marco Osio: è stato uno dei grandi del “Parma dei miracoli”, l’uomo delle prime volte, l’uomo che ha fatto del look un marchio di fabbrica.

Quando giocava nel Parma andava in onda “Mai dire gol” ed una delle sue “rubriche” era “Un uomo, un perché”: questa rubrica prendeva in giro alcuni allenatori e calciatori, forse non ha mai preso di mira Marco Osio, ma Marco Osio è “un uomo, un perché” per due motivi: è “un uomo” che per il calcio ha dato tutto, diventando un beniamino ovunque ha giocato ed “un perché” perché un giocatore come lui, con il suo look, il suo essere scanzonato ma il suo essere leader lo ha fatto entrare nel cuore di tutti. Anche dei brasiliani, che mai più dal 1996 hanno visto calciatori italiani giocare alle loro latitudini.

BIO Simone Balocco: Novarese del 1981, Simone è laureato in scienze politiche con una tesi sullo sport e le colonie elioterapiche nel Novarese durante il Ventennio. Da oltre dieci anni scrive per siti di carattere sportivo, storico e “varie ed eventuali”. Tifoso del Novara Calcio prima e del Novara Football Club dopo, adora la sua città e non la cambierebbe con nessun altro posto al Mondo. Collabora da tempo con la redazione sportiva di una radio privata locale e ha scritto tre libri, di cui due sul calcio. I suoi fari sono Indro Montanelli e Gianni Brera, ma a lui interessa raccontare storie che possano suscitare interesse (e stupore) tra i lettori. Non invitatelo a teatro ma portatelo in qualunque stadio del Mondo e lo farete felice.

Una risposta

  1. Doveroso tributo ad uno dei giocatori più qualitativi tra quelli che non hanno vestito l’azzurro.
    Come giustamente ricordato nel pezzo, indossava la 9 ma non era un centravanti.
    Rappresentava, nel Parma di Scala, la riproduzione del concetto di “enganche” secondo il calcio latino-americano. Ovvero un “trequarti” che agiva alle spalle delle due punte, che a loro volta giocavano larghe. Non ali o attaccanti esterni secondo moderna concezione bensì punte che stazionavano una sul centro-destra ed una sul centro-sinistra (anche Galeone a Pescara per qualche anno lo fece). Dietro di lui un centrocampo a tre con un play e due mezze ali a cui, in alcune porzioni di gara, si aggiungeva fungendo da vertice alto del rombo di centrocampo e/o vertice basso del triangolo che si formava con i due attacccanti.
    Marco Osio giocava spesso di prima e con ambo i piedi il che gli garantirebbe la presenza anche nel calcio odierno in cui l’importanza di non perdere tempi di gioco è basilare.
    Prima di ricevere la sfera aveva già presente lo scenario in cui si sarebbe sviluppata l’azione.
    Più che dribblare l’avversario tendeva ad aggirarlo grazie ad un’innata capacità di coordinarsi.
    Memorabile la giocata che porta al goal del 2-1 nella finale di Coppa delle Coppe contro l’Anversa nel 1993…
    Grazie all’autore per aver scritto di lui.

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