THE OUT-SKIRT OF FOOTBALL – 8 – : L’ALLENAMENTO COME STRUMENTO DI RIAPPROPRIAZIONE CORPOREA E SOCIALE

Nel corso della storia, il corpo delle donne è stato raccontato e studiato attraverso una lente biologica che ha privilegiato tre tappe: mestruazioni, maternità e menopausa. Queste tre “M”, apparentemente neutre, sono in realtà costrutti culturali che limitano la fisicità a una prospettiva biologica e riproduttiva, spesso vissuta con dolore e disagio, nella quale le donne subiscono passivamente un cambiamento del proprio fisico.

A questo livello biologico si sovrappongono, e si intrecciano, le altre “3 M” (moglie, madre e massaia) che storicamente hanno assegnato alle donne ruoli precisi all’interno della società, tutti collocati nella sfera del privato, del domestico, della cura verso l’altro.

In questo doppio vincolo, biologico e sociale, la donna è chiamata a subire il corpo e a servire con esso, mai a possederlo pienamente.

È in questo contesto che entra in gioco il potenziale dirompente del calcio: attraverso l’allenamento offre infatti un’opportunità di risignificazione e riconquista del proprio corpo in un’ottica di prestazione, funzionalità e divertimento permettendo di liberare il fisico femminile dalle sole funzioni biologiche per riscoprirlo come spazio di forza, abilità e autonomia. Grazie all’allenamento le donne hanno la possibilità di porsi attivamente in un processo di cambiamento corporeo che non viene più subito ma che diventa agito in un’esperienza di divertimento collettivo, fatica e piacere. Il corpo passa così dall’essere assoggettato a una narrazione biologica passiva all’essere soggetto di un’azione trasformativa della quale è il protagonista principale.  

Il passaggio da “corpo subito” a “corpo agito” è cruciale: a fronte di un corpo che cambia secondo leggi naturali e cicli ormonali da subire passivamente, l’allenamento offre una possibilità di cambiamento consapevole, deciso, costante. Il corpo non viene più gestito, ma scelto. Non si limita a sopportare, ma reagisce, si rafforza e si diverte. Le donne che si allenano si riappropriano di una temporalità diversa da quella biologica: una temporalità fatta di obiettivi, miglioramenti, stagioni, partite, cicli di allenamento.

Allenarsi, dunque, non è solo allenare i muscoli. È allenare una nuova identità corporea, nella quale la fisicità non è più inquadrabile come oggetto di desiderio ma diventa soggetto che desidera.  È un corpo che si plasma non per piacere a uno sguardo esterno, ma per esprimere una volontà interna, una passione. Si allena per giocare, per competere, per divertirsi, non per conformarsi a uno standard estetico o per assolvere a un dovere riproduttivo.

Il calcio inoltre, con la sua componente collettiva, introduce anche la dimensione della relazione in una dimensione che esce da quella privata. Mediante la cooperazione, il conflitto e il senso di appartenenza vissuti con le compagne e le avversarie, il campo sportivo si configura quindi come un luogo di riappropriazione dello spazio pubblico rompendo l’isolamento domestico delle 3 M sociali.

Allenarsi insieme si configura dunque come un’esperienza trasformativa che va oltre la forma fisica: è un’azione culturale che consente alle donne di ridefinire il proprio rapporto con il corpo e con la società, promuovendo un cambiamento più ampio nel quale non sono più subordinate alle 3M ma sono protagoniste consapevoli della propria narrazione, sia dentro che fuori dal campo.

BIO: LAURA ZUCCHETTI

Gen Z di nascita ma vintage nei modi, parlerei per ore di sport e questioni di genere. Vivo il calcio femminile da tifosa ma con lo sguardo da psicologa sociale per riflettere sulle sue contraddizioni e opportunità figlie della realtà nella quale siamo immersi.

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