Quello del movimento calcistico giovanile italiano e’ un tema molto complesso. Occorre osservarlo da piu’angolazioni, con sguardi differenti, vale sia per quello dilettantistico che per quello professionistico.
Iniziamo da quest’ultimo.
Tempo fa, poco prima della sosta per i campionati del mondo in Qatar, ho visto, trasmessa da Sport Italia che detiene i diritti televisivi del Campionato Primavera 1, una gara tra due squadre del maggiore Campionato dedicato agli under 19.
Entrambe le squadre presentavano , nello schieramento iniziale, molti giocatori stranieri, l’una otto, l’altra undici!
Incuriosito, ho consultato il sito di Transfermarkt ed ho verificato che, alcuni, pochi a dire il vero, avevano la doppia nazionalita’.
Una Societa’ di calcio e’ un’azienda e come tale non possiamo pensare che qualcuno dall’esterno ne detti la governance ossia l’insieme dei principi, delle regole e delle procedure che la guidano.
Tra queste rientra anche la politica di reclutamento o scouting dei giovani calciatori.
Se parliamo di settore giovanile, quello che dovrebbe essere uno dei settori strategici di un Club, le modalita’ e gli strumenti per raggiungere l’obiettivo di produttivita’, inteso come la formazione di giocatori per la propria prima squadra o per il mercato di riferimento, sono, giustamente, a discrezione della dirigenza.
Il quesito che possiamo provare a porci e’ il seguente:
Come mai una Societa’ di calcio professionistico preferisce investire su giovani di 16 anni, l’eta’ in cui secondo le normative internazionali e’ consentito tesserare un giovane calciatore straniero proveniente dall’Unione Europea, e che quindi ha gia’ fatto una parte importante di percorso formativo, anziche’ formarli al proprio interno a partire dall’eta’ in cui ragazzi (ma il problema si porra’, se gia’ non si e’ posto, anche per le ragazze), possono iscriversi alla scuola calcio?
Azzardiamo le risposte:
- il problema e’ di natura economica. A conti fatti, la prima scelta, in termini di costi, e’ piu’ vantaggiosa della seconda.
- – nonostante un percorso fatto all’interno del club il giocatore arriva a 16 anni meno pronto del giocatore proveniente dall’estero.
Concentriamoci sulla seconda risposta.
Spesso le responsabilita’ si scaricano dalla struttura tecnica a quella scouting e viceversa.
Senza entrare nella questione scouting vorrei soffermarmi su quella tecnica e, piu’ precisamente, su quella relativa al percorso di formazione del giovane calciatore.
Siamo sicuri di garantirgli il percorso piu’ adatto? Siamo sicuri di poter garantire tecnici e/o, piu’ in generale professionalita’che abbiano la necessaria competenza, che abbiano ricevuto la necessaria formazione?
Cosa possiamo fare affinche’ i quesiti che ci siamo posti abbiano una risposta, possibilmente affermativa?
Cosa possiamo fare per salvaguardare il movimento calcistico giovanile italiano e garantire ai giovani talenti ma anche ai meno talentuosi, di poter esprimere tutte le loro potenzialita’?
Certamente dovremmo prima di tutto garantire loro di poter essere seguiti da figure professionali che abbiano ricevuto a loro volta un’adeguata formazione. Rispetto ai contenuti che questa formazione dovrebbe avere, non e’ in questo articolo che mi voglio soffermare anche se il nostro punto di vista e’ gia’ stato presentato in altri articoli.
Insieme ad una valida formazione dovremmo pero’ garantire loro una dignita’ lavorativa.
Troppo spesso coloro che lavorano nei settori giovanili lo fanno part-time non potendo dedicarsi all’attivita’ a tempo pieno poiche’ viene riconosciuto loro uno stipendio che non gli permette di dedicarsi unicamente all’impegno calcistico.
A questo punto e’ forse necessario intervenire a livello di sistema calcio. Provare a trovare il modo per cui le societa’, tutte le societa’, siano indotte ad investire sui giovani italiani, nel movimento calcistico giovanile italiano.
Agevolazioni fiscali, “premi di produzione/formazione”ed altre disposizioni ad hoc, sostenute dai dovuti controlli attraverso organi preposti.
Non solo e’ necessario ma e’ doveroso.
Lo e’ da parte delle Istituzioni e degli addetti ai lavori. Se e’ vero che il Calcio in Italia (calcio professionistico, FIGC, Leghe, campionati dilettantistici e giovanili), secondo uno studio riportato su Calcio e Finanza nell’aprile del 2020, fattura 4,7 miliardi di euro, ponendolo tra le 10 principali industrie italiane, non possiamo continuare ad esimerci dal farlo.
Salvaguardati gli investimenti da parte delle proprieta’ occorre poi sensibilizzare i direttori generali, i direttori sportivi e tutte le figure dirigenziali, affinche’ l’interesse per il settore giovanile non sia solo di facciata e non si fermi ai proclami.
Non sara’ facile perche’, sebbene siamo tutti pronti a celebrare i movimenti giovanili stranieri, nessuno, o pochi, hanno la pazienza e la forza di sopportare gli alti e bassi della prima squadra dovuti all’impiego di tanti giovani.
Allo stesso modo non si accetta la destinazione dell’investimento per strutture o servizi nel settore giovanile o su un giovane di prospettiva anziche’ su di un giocatore che garantisca un rendimento alto e continuo nell’immediato.
E’ un salto culturale che deve coinvolgere proprieta’, dirigenti e tutti gli stakeholders (portatori di interesse) del mondo del pallone.
Probabilmente un ritornello sentito piu’ volte ma, una voce che si unisce al coro, male non fa!
Cosa ne pensate?
37 risposte
Carissimo Direttore, la sua ulteriore riflessione sul caso ed in generale sui settori giovanili italiani, trovano terreno fertile alla base(tecnici/addetti) ma roccia durissima nei dirigenti/proprietari. Non so risponderle in breve ma potrei la domanda a chi adotta tale scelta, sarebbe curioso ed utile conoscerne i contenuti e magari promuovere incontri e confronti con dati alla mano. Io nello specifico ho fatto la mia ricerca per dare forza al mio pensiero che non sto qui a dire. Rimango convinto che, nel calcio si è voluto adottare il principio delleconomicita’, maggiore profitto con meno sforzi e questo non è applicabile al S.G. in quanto è un investimento cosiddetto in ricerca e sviluppo. Grazie per avermi letto, a presto.
Buongiorno Umberto,
grazie per il suo contributo, ho chiaro cosa intende, e le do ragione.Ai dibattiti sul tema manca sempre qualche attore e quindi non si riesce a ragionare come sistema.Rispetto al suo pensiero questo blog da’ spazio a chi vuole esprimerlo con le giuste modalita’per cui se ritiene di voler fare un intervento e’ il benvenuto.
Filippo (perdonami sempre il tu), il sentiero da te tracciato è da condividere. Intanto, anche a livello professionistico (C,B,A) ci sono differenze enormi di budget, per cui molto dipende dal livello in cui si sta o si vuole stare che è collegato al budget complessivo disponibile.
Ma, a me interessa, ancora una volta, mettere l’accento sulla volontà/capacità delle singole società di puntare sui giovani; io dico che già dai 16 anni si può pensare di poter inserire un ragazzo nella rosa ampia. Ovviamente, deve essere di grandi prospettive (per il livello tecnico di quella società) oppure c’è un buco di organico da coprire con un proprio giovane o (non grande scelta) con un calciatore che non ha trovato mercato.
Come ho già detto, in altro argomento, io credo che dai 18 anni in poi i ragazzi devono essere considerati (valutati) per far parte della rosa primaria della prima squadra.
Ovviamente mi rendo conto che è un rischio, ma a parte la massima “chi non rischia non rosica”, c’è il fatto che, il ragazzo che scende in campo debba essere sfruttato (nel senso buono) per le sue migliori qualità e coperto nei suoi difetti dal resto della quadra.
Ma questo richiede anche un allenatore (Beppe Chiappella , Zeman, ma credo anche Murino o Gasperini ed tanti altri) che sappia lavorare con i giovani e per i giovani.
Quindi, il punto centrale, per me, nella politica dei giovanile quello di programmare una loro crescita nella prima squadra propria o anche altrui. Non credo si cresca molto nel giocare in “Primavera”.
Io la penso esattamente come hai descritto, ed è già importante, fondamentale che persone del tuo calibro e della tua esperienza ne parlino ed evidenzianola cosa. Come riportato in un paragrafo della riflessione, credo si debba intervenire a livello di sistema calcio, fare in modo cioè che le società siano stimolate e salvaguardate nel puntare su tecnici preparati, adeguatamente stipendiati, e nel puntare nella formazione del giovane calciatore
Ciao Giuseppe, il tu e’ d’obbligo!Il Campionato Primavera dovrebbe consentire di aggiungere un ulteriore step nel percorso formativo del giocatore, fermo restando che , come detto in un altro articolo, tale percorso continua anche in eta’ adulta… Non solo un allenatore ma unita’ d’intenti tra tutte le componenti del club! Grazie come sempre per il tuo contributo.
… per concludere, col fine ultimo di puntare sui giovani ragazzi italiani. Ovviamente, nel momento in cui sono garantite agevolazioni e sgravi per le società e scuole calcio, monitorare e verificare che i patti vengano rispettati. Grazie per lo spazio.
Grazie a te Andrea.Ti aspetto anche in futuro!
Caro Direttore, sono d’accordo con quello che scrivi. Ma penso che bisogna guardare prima alla nostra politica.
Lo ius soli. Tanti ragazzi stranieri nati e cresciuti in Italia purtroppo non sono italiani e questo gioca a nostro svantaggio nello sport in generale.
Il secondo problema è l’educazione fisica. Abbiamo bisogno di insegnanti laureati in scienze motorie sin dalla prima elementare così da formare i bambini a livello cognitivo e coordinativo.
Poi viene il discorso calcistico. Possiamo disporre di un numero maggiore di ragazzi (ius soli) e soprattutto questi ragazzi arrivano da esperienze sportive vissute già a scuola.
Poi via le classifiche fino all’u13. Giocare e formare attraverso il gioco e non attraverso il risultato.
E poi avrei tante altre idee ma non voglio annoiarti.
Grazie della possibilità di poter esporre le nostre idee sul blog.
Buona Giornata
Buongiorno Piero, grazie per il commento.Certamente l’attivita’ motoria in tutti i gradi della nostra scuola dovrebbe avere uno spazio maggiore. Detto questo credo che si possa diventare bravi calciatori senza necessariamente partire dalla coordinazione generale per arrivare a quella specifica, propria del gioco del calcio. Te lo dico da ex ginnasta! Rispetto alle classifiche non sono convinto che serva toglierle. I bambini o le bambine hanno innata la competizione, sono i primi a voler vincere, perche’ togliere loro questo obiettivo? Il problema non e’ nello stilare una classifica ma e’ nel come la classifica, il risultato, sono vissuti dalle figure adulte, da noi allenatori, dirigenti, genitori…Condivido pero’ il tuo pensiero: formare attraverso il gioco!
Questo spazio e’ per accogliere idee per cui, Piero, non farti problemi! A presto.
Troppe informazioni in contesti di lavoro competitivi, poca specificità legata al desiderio di escalation degli allenatori, poca fiducia nella mission individuale, e potrei trovare molteplici problemi che sommati stanno portando alla deriva….ma tutto si può sintetizzare cosi: “ … una ricchezza di informazioni crea una povertà di attenzione”
I nostri ragazzi vanno in Overloading…per parlare della tecnologia
Ciao Elvis, parto dalla tua sintesi con la speranza di aver compreso : piu’ che di ricchezza di informazioni parlerei di eccesso di informazioni.Quello che posso dire e’ che a volte si utilizzano esercitazioni “sovrastrutturate”, con vincoli, regole che, nelle intenzioni, dovrebbero fare emergere determinati comportamenti ma che di fatto confondono perche’ allontanano dal gioco. Mi viene in aiuto una frase di Guglielmo di Occam che ogni tanto utilizza il mio collega Edgardo Zanoli << e' futile fare con piu' mezzi cio' che si puo' fare con meno>>!
Grazie per il commento, ti aspetto anche in futuro.
Premetto che non sono ne’ un esperto di calcio qualificato, nemmeno un esperto di calcio da bar, mancando dall’Italia da quasi 15 anni. Seguo parzialmente il calcio giocato e di piu’ quello di varie societa’ cercando di aiutarle a portare la metodologia all’estero con camp/clinic/academy.
Vista la partita U19 sopradescritta (che riflette la serie A soprattutto, con giocatori stranieri in maggioranza rispetto a quelli italiani) la mia domanda e’ un altra: quanti ragazzi italiani hanno la possibilita’ o la volonta’ di andare all’estero? Se da una parte chi sta dietro la scrivania (sia dirigente / allenatore) non e’ adeguatamente qualificato per l’investimento nelle risorse giovanile, come possiamo trasmettere al giovane la passione di soffrire per emergere?
Ricordando il Suo lavoro, Filippo, al Milan giovanile penso sia stata effettuata una politica ottima sia di investimento che di RoI (con i vari giovani che giocano titolare in serie A), perche’ la societa’ ha voluto cambiare? Capisco che i cicli non sono infiniti ma De Rossi (padre) non penso sia di un altro pianeta.
Grazie cmq per il blog (che ho scoperto da poco)
Buonasera Danilo e grazie per il contributo alla discussione.Interessante la sua domanda, non facile, almeno per me, la risposta!
Forse qualcosa inizia a muoversi, qualche giocatore si e’ trasferito all’estero mettendosi in gioco e altri potrebbero seguirne l’esempio. Certo, culturalmente e come abitudini, i nostri ragazzi, rispetto ai coetanei europei, sono piu’ restii a lasciare il Paese, la famiglia, gli amici. In ogni caso approfondiro’ le mie conoscenze in proposito per poter argomentare meglio il tema. L’apertura del blog mi ha comunque permesso di venire a conoscenza di giovani e meno giovani, a cui tra l’altro ho dato e daro’ spazio per raccontarsi, che hanno avuto il coraggio di cercare la propria strada, nel “mondo del pallone”, all’estero, diventando per lo piu’ allenatori di settore giovanile.
La ringrazio per l’elogio rivoltomi relativo all’attivita’ svolta nel Settore giovanile del Milan insieme ai miei colleghi di lavoro.Il rapporto e’ terminato l’anno successivo al passaggio di proprieta’ a causa di visioni differenti con il management.
Un’ultima cosa: se per lei va bene, la prossima volta diamoci del tu!
Ciao Filippo,
Prima di tutto complimenti per le tue riflessioni che seguo sempre con grande interesse.
Con questa hai aperto un mondo ci sterebbe da scrivere, argomentare per giorni.
Anche se allenano fuori dall’Italia seguo con grande interesse il calcio giovanile Italiano, Primavera; U18 su tutte perche sono le età che alleno qua (qui non c’è U18 ma da U17 si salta subito U19, quella che alleno quindi doppio anno 2005 con qualche 2004).
Seguendo il Campionato Primavera quello che vedo, purtroppo, è una ricerca del risultato come uno fine quindi ne va della qualità del gioco, della qualità nell’esperienza partita del ragazzo, nella qualità della fase finale della sua formazione come Calciatore, che quindi rende sempre più difficile questo passaggio da Primavera a Prima squadra.
Poi mi chiedo anche “ma quante Società Professionistiche in Italia seguono un percorso di Periodizzazione che va dai più piccoli i più grandi, fino alla Prima squadra?”
Mi spiego meglio quante Società Professionistiche hanno chiaro quale deve essere il Player Profile per ogni posizione della Squadra maggiore, e quale modello di gioco dovrà saper interpretare? Chiedo forse tutte lo hanno, non lo so.
No credo nella maniera più assoluta che in Italia non ci sia più talento, c’è e tanto io credo, quello che mi chiedo è:
Diamo ai ragazzi tutti gli strumenti, tutte le conoscenze per rendere questo “salto” Primavera, Prima squadra possibile? (Chiaro poi non tutti saranno in grado ma penso che siano molti di più di quello che abbiamo attualmente).
Grazie ancora Filippo per i tuoi contributi sempre interessanti e di grande ispirazione.
Un cordiale e caloroso saluto
Giuseppe (Pepito)
Ciao Giuseppe, grazie per il contributo. L’introduzione dei livelli e quindi di promozioni e retrocessioni nei campionati Primavera ha certamente accentuato l’importanza del risultato.Di per se’ non e’ sbagliato e il cambiamento aveva l’obiettivo di abituare i giovani calciatori alle tensioni che avrebbero trovato nel calcio adulti.Purtroppo, come spesso accade, una volta dato lo strumento (le nuove regole) e’ il suo utilizzo che ne determina la validita’. Oggi e’ ancora troppo radicata l’idea che lasciando l’iniziativa all’avversario e giocare in maniera speculativa consenta di ottenere risultati migliori (ho semplificato come potrai dedurre). Quando parli di percorso di periodizzazione e di player profile credo tu intenda chiedere se nei settori giovanili ci sia uno stile di gioco condiviso e quindi una metodologia condivisa tra le squadre. Correggimi se ho frainteso.Provo a risponderti:per quello che mi e’ dato a sapere, molto spesso viene lasciata autonomia all’allenatore e, generalmente, e’ l’Area Atletica o, come viene definita oggi, l’Area Performance a dare indicazioni comuni sul lavoro da svolgere.Dal mio punto di vista l’Area Performance dovrebbe essere all’interno di un’area metodologica ma questo e’ un temo che toccheremo in un altro momento. Rispetto al talento concordo con te.Spero di averti chiarito qualcosa. In ogni caso ti aspetto sul blog per i tuoi contributi e magari, se lo volessi, per raccontare il tuo percorso all’estero.
A presto!
Buonasera Direttore
non conoscevo dell’esistenza del suo blog fino a ieri, l’ho scoperto su Facebook, dato che seguo la sua pagina.Mi permetto di aggiungere al suo titolo “spunti di riflessione sul calcio giovanile in Italia e del fallimento del sistema Italia”.
Non so se già ne avete parlato all’interno del suo blog,spero di non fare delle ripetizioni.
Probabilmente , 10 anni fa avrei dato una risposta generica((sono nato nel 1972)imputando la colpa ai troppi stranieri presenti ,questa può essere secondo me solo una piccola causa, ma da quando seguo anche il calcio dilettantistico nel Lazio e con il passar degli anni seguendo il percorso calcistico di mio figlio . mi sono fatto una mia idea.
Le ragioni sono molteplici. ma le principali secondo me sono tre: 1) tempo dedicato al pallone 2)scuole calcio 3) Settore agonistico
1)Questa secondo me è la causa principale,io da bambino ho praticato sia il calcio da strada e con la squadra locale del Lipari, sia il calcio da oratorio che a livello dilettantistico essendomi trasferito a Parma all’età di 14 anni.
La media del tempo che dedicavamo noi al pallone, a secondo del percorso scolastico del bambino/ragazzino ,era circa dalle 3 alle 6 ore al giorno( poi c’erano quelli che giocavano dalla mattina alla sera che non andavano a scuola e specialmente al sud erano tanti….).
Nella scuola calcio mio figlio lo portavo 2 volte a settimana, più la partita la domenica.Praticamente il tempo che mio figlio dedicava al calcio in una settimana, noi lo facevamo in un giorno ,moltiplica tale tempo per x anni e questi sono i risultati.
In qualsiasi sport lei mi insegna, più ci si allena e piu si migliora,come d’altronde anche in altri ambiti della vita
2) I genitori pagano e quindi la maggior parte delle società danno lo stesso minutaggio ai ragazzi nella partita domenicale
La maggior parte degli istruttori non pensa alla crescita del bambino ma a vincere,e molti non sono qualificati
Spesso le squadre non sono omogenee e quindi si perde molto più tempo ad insegnare gli stessi principi a tutti i ragazzi.
Vengono trattati tutti alla stessa maniera, come delle marionette e non si lascia più la libertà di fare calcio,di sprigionare la fantasia.Franco Scoglio ,che divideva il campo in maniera geometrica e ne analizzava ogni singolo centrimetro quando faceva la tattica della partita diceva a Schillaci che poteva andare a farsi la doccia,un attaccante come lui con le sue doti e i suoi limiti, non poteva essere ingabbiato con schemi e diktat ,ma doveva sprigionare il suo estro.
Manca la competizione “vera” ,quando si giocava in strada o oratorio si giocava tra svariate fasce di età, il bambino di 10/11 anni si trovava spesso contro quello di 14/15 ,o ti svegliavi oppure venivi mangiato,si diventava più grintosi, e si sviluppavano una grande capacità di sopravvivenza e fantasia,e se scartavi più di 2 giocatori era a tuo rischio e pericolo perchè il terzo ti sdraiava,e se non ti sdraiava era perchè a forza di calci avevi imparato a stare in piedi o divincolarti e sapevi quando era il momento di passare la palla o meno.
3) settore agonistico dilettantistico: la prima cosa guardano al fisico e altezza(capisco per il portiere,difensore centrale e forse punta) ma la prima cosa guarderei la tecnica e la testa,la personalità,il carattere,la capacità di stare in gruppo e poi tutto il resto.
Purtoppo mi sono reso conto lo scorso anno con i miei occhi della piaga del settore agonistico professionista.Qualche anno fa quando sentivo i genitori che avevavano il figlio più grande del mio, lamentarsi che si doveva pagare per entrare nel professionismo, tra me e me pensavo ma guarda questi genitori frustrati che scuse che trovano per giustificare il fatto che il figlio non abbia fatto strada nel calcio.La scorsa estate mio figlio è stato in due società per fare due”provini” e mi sono reso conto di persona come il livello sia veramente basso, l’amara verità è che se non sei un fenomeno,anche se sei superiore a chi già c’è,ti dicono ci sei piaciuto ,ti vogliamo rivedere, ma poi vieni scavalcato puntualmente o da chi è raccomandato ,o da chi paga o da chi ha il procuratore.
Poi quando questi ragazzi arrivano al secondo anno di primavera la maggior parte di loro o smettono o non vanno neanche a giocare in serie D,e cosi i genitori non capiscono che sono stati la rovina per i propri figli ,dato che hanno alimentato per anni l’illusione che il proprio figlio potesse giocare un giorno in serie A e invece si ritrovano un ragazzo di 18/19anni ,ignorante,depresso , che non sa cosa deve fare della propria vita.
.Ed è qui che poi ,parlo per le società di serie A,B.C ,che entrano in ballo gli altri procuratori che infestano i campionati di stranieri di seconda e terza fascia , perchè appunto non si è lavorato bene sui settori giovanili e “”fanno accordi”” con i direttori sportivi,e il livello del campionato si abbassa inevitabilmente
Negli anni 80 e 90 avevamo 2/3 stranieri per squadra che miglioravano veramente la competizione( la vera Champions League era la serie A ,non la Coppa dei Campioni,era molto più difficile vincere il campionato a mio parere ,specialmente dal 1987 al 1991….)
Ma le sembra normale che una società come la Lazio ,dove il presidente è molto attento ai soldi ,e che si piazza da anni abitualmente nei primi 6/7 posti in classifica della serie A ,abbia la seconda squadra da qualche anno in Primavera 2?
O di società professionistiche che sono nel basso fondo della classifica under 17 professionista se incontrano i pari età di società ai vertici del dilettantismo laziale perdono sonoramente?
Queste cose che io le ho scritto, non ci credo che non le sappiano anche gli addetti ai lavori e i giornalisti sportivi ,ma purtoppo il sistema calcio,come il sistema Italia è marcio e sono poche le persone che hanno la spina dorsale di denunciare il problema e sopratutto di volerle cambiare.
Dopo non prendiamocela con Mancini o Ventura se non andiamo ai mondiali o con Prandelli o Lippi se usciamo al primo turno.
Cordialmente
Fabrizio Del Bono
Buonasera Fabrizio, grazie per il suo intervento articolato ed accorato.E’ vero il contatto con il pallone rispetto a quando io ero un ragazzino (ahime’ 45/50 anni fa) e’ andato via via diminuendo e siamo distanti rispetto a tante realta’ europee.Il tema del risultato in parte, ma solo in parte, e’ legato alla precarieta’ degli allenatori che spesso, senza una chiara dichiarazione degli obiettivi da parte dei responsabili considerano le vittorie l’unico viatico per la riconferma.A cio’ aggiungiamo che, spesso, nelle scuole calcio, non tutte ovviamente, si fanno esercitazioni lontane dal gioco, che rendono, frequentemente, il percorso di formazione non adeguato.
Come conclude anche lei il problema deve essere affrontato da tutto il sistema con un confronto vero, sull’oggetto, sui temi, non certo affinche’ sia solo uno scontro tra ruoli o tra persone.
L’aspetto ancora per ulteriori discussioni e/o approfondimenti.
Buongiorno Filippo,
Ti ringrazio come sempre per il contributo meraviglioso che dai, mi spiace solo di essere venuto a conoscenza solo da poche settimane di questo tuo bellissimo sito.
Anche io sottoscrivo in pieno ogni virgola di quanto da te espresso, sono anni che sentiamo ripetere dagli addetti ai lavori che esiste un “problema” generale di gestione ed organizzazione strutturale dei settori giovanili, ma come spesso accade in questo paese, non c’è mai seguito alle parole.
Sai cosa mi rende ancora più triste e sono cose che vivo ormai di persona da tanti anni, in quanto appassionato ed in parte “addetto ai lavori”, che i ragazzi/giovani italiani vengono selezionati già all’età di 7/8 anni nelle società professionistiche, pur inseguendo un sogno e spinti dalla grandissima passione, iniziano a fare dei sacrifici enormi tra allenamenti e doppi impegni nei weekend già in un età davvero piccola, sono spesso sottoposti a pressioni non da poco, che in parte condivido perché nessun regala nulla, però poi guardiamo i numeri dei ragazzi italiani che riescono a venir fuori dai settori giovanili e fai fatica a non pensare che siano stati “spremuti” nell’età pre adolescenziale per poi finire nel calderone di quello che poteva essere ma non è stato, perché arrivati intorno ai 15/16 anni le società si rivolgono all’estero per reclutare i giocatori da provare a lanciare nel calcio vero.
Spero che le difficoltà economiche ed ancora di più, i risultati negativi legati alla non partecipazione ai mondiali per due edizione consecutive, possano davvero portare ad un cambiamento concreto.
Grazie ancora per quello che fai
A presto Jacopo
Buonasera Jacopo, grazie del tuo intervento.Cosa intendi per “spremuti”? Sottoposti a pressioni, a richieste eccessive dal punto di vista della competizione? Il problema e’vasto, complesso! Spesso, il calcio sin da subito viene inteso come sport individuale, si perde di vista la rilevanza, il valore della collaborazione tra i compagni di squadra, l’importanza di sostenere l’anello piu’ debole della squadra a vantaggio del prevalere sul tuo stesso compagno durante l’esercitazione cosicche’ la competizione si sposta all’interno della squadra anziche’ nei confronti della squadra avversaria!
Spero di aver dato un contributo al tuo pensiero.Ti aspetto ancora sul blog!
Buongiorno Filippo,
Grazie a Te per la risposta.
Per “spremuti” intendo che sicuramente per l’età che hanno gli si chiede moltissimo ed i sacrifici che fanno sono davvero enormi e sarebbero anche comprensibili se poi la programmazione delle società professionistiche(e non), lavorassero a lungo termine dimostrando di puntare sui ragazzi del proprio vivaio e non illudendoli quando sono così piccoli perché serve avere squadre competitive in tutte le categorie ecc…ecc…
Poi appena si esce dall’attività di base, per passare a quella agonistica, se rimarrà il 20% dei ragazzi selezionati da “bambini” è già una fortuna.
Come giustamente spiegato molto bene da Te, gli aspetti da migliorare sono tantissimi e mi auguro che questo possa avvenire, anche un punto alla volta, ma che si muova qualcosa perché siamo già lanciati verso una generazione che ha perso la spensieratezza dei cortili, oratori e parchi dove poter condividere gioie ed aggregazione, oltre a migliorarsi anche tecnicamente, e tu lo sai meglio di me sicuramente, quindi se le società calcistiche non riusciranno a colmare queste enormi perdite, con programmazioni più mirate, le difficoltà cresceranno ancor di più.
Un saluto affettuoso Jacopo C.
Chiaro! Grazie Jacopo.
Buongiorno Mister Filippo,
la passione per questo STRA-ordinario gioco è purtroppo la “subdola” strategia che molti presunti dirigenti manipolano ad arte nei confronti di tanti anzi tantissimi giovani promettenti allenatori convincendoli che lavorare “gratis” nei settori giovanili professionistici garantisce un ottimo curriculum per il futuro…e tutti ci cascano poi quando si comprende il raggiro chi può scappa all’estero gli altri si arrendono mettono su famiglia e si cercano un lavoro VERO per sbarcare il lunario…poi però ci meravigliato che da 8 anni non andiamo ai mondiali per non parlare delle figuracce del 2010 e 2016 . Scusa Mister la polemica ma se pur il lavoro del ct Mancini è commovente ed ammirevole faccio molta molta molta fatica ad essere ottimista per il futuro del nostro caro Belpaese pallonaro.
Grazie Ottorino!
Scusami Filippo se intervengo ancora. Ma ho 77 anni e di questi 67 sono stati, in vario modo, dedicati al calcio.
La prima grande causa della discesa del livello generale dei calciatori italiani è nel numero di praticanti. Se la memoria non mi difetta si parlava di almeno 5 milioni di iscritti alla FIGC, ma c’era anche il CSI. C’erano anche i campionati interni all’oratorio. Come ha detto brillantemente Fabrizio ci si scontrava in diverse età.
Quindi, la prima grande causa non è di sistema, ma di evoluzione del bambino verso la sport. Oggi nel tennis e nel nuoto siamo molto importanti. Anche in atletica stiano diventando una nazione importante, non tanto pe le punte, ma per l’insieme. Quindi, ogi il calcio non è il solo sport praticato a livello di massa dai bambini.
Quanto alle scuole calcio, queste non devono sfornare calciatori professionisti ma far divertire i bambini/ragazzi (certo migliorandoli nei fondamentali) e, soprattutto, aiutare la formazione del ragazzo nel convivere e coordinare la propria vita con altri nel raggiungere un traguardo.
Sugli stranieri non sono d’accordo: oggi il mondo è aperto, soprattutto dal lato calcistico ed i calciatori bravi li si vanno a prendere dove stanno. Poi, anche noi, dopo l’epoca dell’impero romano, abbiamo riavviato il “multirazzismo” come elemento positivo di crescita nazionale.
Quindi, come ho detto nel mio primo intervento, terrei fortemente distinti i problemi del calcio professionistico da quello dilettantistico e ancor di più da quello amatoriale dei ragazzi.
Apprezzo sempre più questo blog.
E’ un piacere Giuseppe.forse mi sono spiegato male : Non sono contrario allo straniero in quanto tale, lungi da me, quello che mi chiedo e’ se non ci siano giovani italiani da poter formare e, tra l’altro valorizzare il rapporto con il territorio.Nell’articolo, all’inizio sottolineo che ogni Societa’ ha il diritto di selezionare i calciatori in ogni parte del mondo, chiaramente attenendosi alle regole.
Non farei pero’ una cosi’ netta distinzione tra professioniste, dilettanti e amatoriali, tutte dovrebbero ricercare produttivita’ e sostenibilita’ ma e’ un argomento che affronteremo. Grazie come sempre.
Per gli stranieri facevo un discorso generale, che non era rivolto a te, in quanto mi era ben chiara e condividevo la tua idea.
Quanto alle scuole calcio, devo dirti che io sono stato cofondatore di una scuola calcio, che nel periodo migliore ha fatto 5 finali regionali Figc (perdendole tutte), una delle squadre che si erano fuse con noi aveva vinto il giovanissimi nazionale con i 1974-75. Ma noi non avevamo solo quelli bravi, quindi più che una scuola calcio eravamo un qualcosa di più sociale. Facevamo in modo di fare divertire tutti, pur badando a far crescere i più forti.
Tieni presente che fin quando non abbiamo avuto in gestione il campo comunale, ci dividevamo il campo di calcio con un’altra società e per 2 volte la settimana.
Quindi, puoi capire, ma non mi rivolgo a te in particolare, ma ne faccio un discorso generale, che non ci sono quasi mai le condizioni ideali per lavorare, se sei neanche un dilettante ma una scuola amatoriale.
Quando noi siamo diventati dilettanti (con i nostri ragazzi siamo arrivati fino all’eccellenza), abbiamo avuto il comunale in gestione e per dare spazio alle altre società locali, non abbiamo fatto più giovanili, ma allestivamo una juniores.
Io credo fermamente che se vogliamo rilanciare il calcio giovanile è fondamentale affiancare alle scuole calcio, un campionato studentesco come avviene negli Usa per gli altri sport nazionali. Cosa da fare anche per gli altri sport. Cosa difficilissima ma necessaria.
In questo modo si darebbe il giusto spazio agli studenti italiani o residenti in Italia, alimentando le scuole calcio di eccellenza e le squadre dilettanti e professionistiche. Poi, dai 16 anni in poi, la scelta si estenderebbe anche agli stranieri veri, quelli calcisticamente cresciuti all’estero.
Ciao Giuseppe, interessante l’idea del campionato studentesco. Per quanto riguarda la mancanza di strutture dove potersi allenare, come e’ accaduto a voi, anche alcune scuole calcio affiliate al Milan diversi anni fa, hanno saputo far fronte alle difficolta’ svolgendo un ottimo lavoro di formazione ed abbracciando il cambiamento metodologico proposto.
A presto
Buongiorno ritengo che quanto scrive sia sacrosanto il problema poi si ripercuote sulla nazionale. Dovrebbero proibire il tesseramento di stranieri sino alla primavera in modo di avere un bacino di giovani italiani , inoltre eliminare l’utilizzo dell’under in D e in C perché questo penalizza in alcuni posizioni giocatori capaci e pronti ma che non sono Under a dispetto di giocatori under mediocri ma che provabilmente alle società e procuratori fruttano soldi
Ciao Gianluca e grazie per il commento. Non credo che proibire il tesseramento degli stranieri sia una soluzione.Sono per l’apertura delle frontiere e la libera circolazione. Il tema e’ invece che, probabilmente, qualche giocatore italiano in piu’, con un lavoro metodologico adatto, si possa educere (tirar fuori) dal punto di vista del talento.Rispetto all’obbligo degli under sono d’accordo con te.
A presto.
Ho letto l’articolo, ho letto i vari commenti e le risposte fino ad ora giunte. Il movimento giovanile italiano, non solo è un argomento complesso ma è anche un terreno in cui non si riesce ad incidere purtroppo con progetti e programmi di qualità.
Manca completamente una Vision, ed ogni “azienda” che si rispetti deve sapere dove vuole andare.
La questione è politica, chi fa le regole, chi decide lo fa accontentando i vari gruppi di potere, attenzione, questo capita nei professionisti così come nei dilettanti, la politica, che dovrebbe essere garanzia di pari opportunità e di bene comune e soprattutto di visione si auto-mantiene mantenendo lo status quo appoggiando le necessità delle parti più influenti.
La vision non interessa a nessuno. Come migliorare il movimento calcio in Italia interessa a pochi e non sicuramente a quelli che ne hanno potere per farlo.
Con questa premessa è chiaro che sembra che ci sia poco da fare, perche le regole e i progetti ben fatti indirizzano le scelte, non c’è nessuna scelta strategico-tecnica-umana che vada verso la formazione di qualità del calciatore.
Lo dico in altre parole, ancora una volta si premia chi vince e non chi si impegna in percorsi formativi, non c’è merito, le squadre o le società attenzionate dai media e dalle varie federazioni, non sono quelle che lavorano meglio ma quelle che vincono di più.
Il risultato è sempre lo stesso, vincere non vuol dire formare bene e spesso i giocatori di queste squadre carenti di un percorso adeguato sia a livello sportivo e tecnico, ma anche a livello mentale e culturale si sciolgono come neve al sole alla prima difficoltà.
Nelle dilettanti così come nei professionisti, è il nostro modello formativo che non funziona, noi stiamo creando “bambini” viziati, capricciosi e senza il senso della realtà, che come si trovano in un contesto adulto, dove nessuno gli risolve i problemi si deprimono e vanno in crisi. Dilettanti che fanno questa fine ne vedo ogni anno, e oggi a proposito di bambini viziati credo che ne abbiamo un bel esempio anche a Roma.
Cosa fare, non so. Io sono un ottimista per natura e spero sempre che prima o poi qualcosa possa cambiare e cercherò di dare, nel mio piccolo, un contributo concreto affinché questo accada.
Intanto è necessario FORMARE CHI FORMA troppi allenatori sono inadeguati per far fare certi percorsi ai ragazzi, la chiave sta qua.
Come tutte le rivoluzioni io penso che anche questa debba partire dal basso, è nei dilettanti che bisogna iniziare a cambiare il paradigma, perché è da li che partiamo tutti ed è li che andrebbero sostenute, aiutate e sorrette le società che scelgono di FORMARE rispetto a quelle che scelgo solo di VINCERE.
Vogliamo parlare dell’utilità di essere punto “squadra professionista” metteteci il nome che volete, queste sono grandi operazioni di marketing che portano soldi alle squadre professioniste e li tolgono a quelle dilettantistiche e purtroppo spesso il ritorno tecnico-formativo è pari a zero. Vogliamo parlare dei centri federali? In Italia siamo bravi a creare l’evento, fare la scatola, peccato che poi ci dimentichiamo di metterci i contenuti.
Chiudo con una boutade, ma non troppo, Filippo dopo il blog che ci permette di far circolare le idee, dovresti pensare di creare una sorta di Task-Force fatta di professionisti che si proponga nelle società dilettantistiche e sia in grado di offrire un percorso tecnico, organizzativo e manageriale, al termine del quale queste siano in grado di offrire un progetto formativo di qualità e di poterlo poi proseguire in autonomia, monitorate a distanza. Ecco che allora così, i soldi spesi da queste società sarebbero soldi ben spesi, e questo processo un po’ per volta potrebbe anche portare un contributo al cambiamento culturale dei propietari, dei dirigenti, degli allenatori e anche dei genitori, un miglioramento generale del contesto calcio che non potrebbe che fare bene al calcio. E’ utopia? Forse. Ma se ci tolgono i sogni che viviamo a fare? Grazie a tutti e grazie a Filippo per quello che stai facendo per il calcio in Italia è veramente tanto.
Buongiorno Luca,come dici tu i cambiamenti devono iniziare dal basso perche’ quando vengono imposti dall’alto rischiano di naufragare, anzi, naufragano. Imporre non prevede il verbo comprendere.La Federazione ha certamente le sue responsabilita’ ma quanto, noi allenatori, siamo pronti al cambiamento in una certa direzione, nella direzione, chiamiamola, per semplificare,del gioco? Gioco inteso come ambiente di apprendimento.C’e’la necessita’ che coloro che tengono i vari corsi di abilitazione, in particolare quelli rivolti a tecnici di settore giovanile, abbia una visione differente, come dici tu, vengano formati secondo una visione differente. Per far cio’ e’ necessario innanzitutto organizzare il “famoso” tavolo di lavoro in cui discutere ed uscire con un’idea condivisa e, per quanto ci riguarda, anche differente.Se al tavolo si siedono coloro che hanno lo stesso pensiero diventa difficile cambiare! Ad oggi credo che si debba provare a cambiare ognuno per il “pezzettino” che puo’! Grazie per il tuo commento. A presto.
Assolutamente! io ci credo. Con un “pezzettino” alla volta e un “pezzettino” per ognuno, stiamo già cambiando qualcosa, sopratutto nei ragazzi e nelle famiglie con cui interagiamo, loro escono dall’eseprienza vissuta già con un visione diversa. E alla fine chissà che unendo tutti i pezzettini non si arrivi veramente a qualcosa di buono per tutti.
Ciao Filippo, a presto.
E’ proprio questo che intendevo Luca! Grazie e a presto.
Luca, in generale, hai ragione su tutta la linea. Ma, la struttura portante del calcio è più complessa. Infatti, oltre alle società professionistiche (A,B,C) e dilettanti (da terza categoria a interregionale, esistono società amatoriali (la stragrande maggioranza delle società esistenti con campionati zonali o provinciali FIGC o CSI ) e qualche scuola calcio d’elite dedita a formare calciatori da piazzare in giro per l’Italia.
I nostri discorsi di miglioramento e formazione del calciatore devono tenere conto di questa situazione. Quindi, concordo con i processi di formazione dei calciatori da applicare alle società dilettantistiche e professionistiche e alle scuole private di elite.
Quindi, io mi concentrerei sui dilettanti e professionisti e le scuole calcio di eccellenza. Lì si che ci vuole professionalità organizzativa e tecnica. Ma, poi, c’è un discorso economico, in quanto i tecnici professionisti costano; le strutture costano; mantenere una squadra professionistica o dilettante costa.
Quindi, condivido la logica di quello che tu dici , che non può essere universale, ma rivolta a chi intende costruire una catena che dal basso (per il livello di età minimo prescelto) vada verso l’alto (prima squadra). Alla lunga questo processo, se fatto bene, paga anche economicamente.
Ho seguito come socio (allenatore prima e accompagnatore poi) fino al 2002, la mia società. All’epoca per i dilettanti un calciatore dilettante non poteva liberarsi dal vincolo senza il consenso della società. Questa norma ci ha permesso di crescere, entrare nei dilettanti, arrivare in eccellenza (sempre con i nostri ragazzi di scuola calcio) e rimanerci per tre anni. Poi, abbiamo cedute le redini della società, poichè costava oltre le nostre possibilità economiche.
Ora, credo (non ne sono sicuro), che è stato abolito il vincolo “a vita” anche per le società dilettantistiche, per cui non dovrebbe rendere più la convenienza ad avere una scuola calcio ben fatto ed un percorso prestabilito per arrivare alla prima squadra.
Quindi, concordo sull’idea di sviscerare l’argomento in tanti sottocapitoli per definire un minimo di linee guida in materia, senza presunzione (io ero e sono naif), ma potendo contare sull’esperienza di tanti frequentatori del blog.
Personalmente credo che il calco vada rifondato, ricalibrato ed ogni ambito presenta delle problematiche multiple che vanno giocoforza a toccare interessenze che per alcuni devono restare invece intoccabili. Avendo una formazione economica manageriale, unita alla mia passione per il calcio, ho elaborato una mia idea riformista. Per quanto bella e valida, parlando con vari addetti ai lavori, riscontro come le buone idee sbattano contro un muro per il timore che il cambiamento danneggi qualche orticello, ma se non si agisce tutti gli orticelli d’Italia presto non avranno più acqua.
Buongiorno Lorenzo e grazie per il tuo contributo. Su questo blog puoi trovare spazio per esporre la tua idea.
Buona giornata.