“IL NUMERO 10”: LA POESIA DEL CALCIO IN ITALIA, EUROPA, SUDAMERICA E…3^ PARTE.

Conclusa l’epoca di Zico il calcio brasiliano, stanco di ricevere complimenti durante la fase finale dei campionati del mondo che vedevano trionfare regolarmente altre compagini, vivrà stagioni in cui il 10 avrà meno impatto. Le nazionali di Lazaroni e Parreira saranno intente a cercare il risultato più che il gioco.

Riuscirà comunque a distinguersi Valdo, per la qualità del passaggio e l’innata eleganza. Il fatto di giocare nel Benfica di Eriksson farà di lui un 10 piuttosto razionale, amante del gioco palla a terra, più paragonabile ad un centrocampista avanzato che ad un sottopunta.

VALDO FILHO

Ma è dalla seconda metà degli anni 90 che i brasiliani torneranno a far sognare gli appassionati. Da Rivaldo a Ronaldinho, con sprazzi di Denilson e Leonardo, sino ad arrivare a Kakà.

RIVALDO

Il primo della lista è un mancino di razza da cui non si sa mai cosa aspettarsi. Nella prima parte di carriera è in grado di alternare tranquillamente la giocata da fermo o in corsa.

Il tiro (o il passaggio) assume i connotati di una frustata e, circostanza rara per un mancino, è in grado di puntare l’avversario su ambo i lati. Nonostante le lunghe leve porta in dote una buona velocità. In occasione dei piazzati regala maliziose e perfide traiettorie. Pallone d’oro 1999 e campione del mondo nel 2002, merita un posto di rilievo tra gli artisti del calcio nonostante la carriera ad alto livello non risulti tra le più longeve.

Caratteristica, quest’ultima, in comune con Riccardo Izecson Dos Santos Leite, detto Kakà. Un “unicum” nel suo genere, tanto da essere inserito nell’elite dei numeri 10 benché solito scendere in campo con il 22.

Alla linda tecnica addiziona un intuito che gli consente di capire prima d’altri come si svilupperà l’azione. Il pallone d’oro vinto nel 2007 lo introduce di diritto nell’elenco delle stelle rossonere. Ama partire palla al piede quando la porta è ancora lontana e, anche se l’avversario è consapevole che di lì a poco cambierà direzione, quando accelera non solo non lo prende ma, il più delle volte, nemmeno lo vede.

Riccardo Izecson Dos Santos Leite, detto KAKA’

Capace di saltare l’uomo sia aggirandolo con il controllo a seguire che dribblandolo secco, è maestro nel creare superiorità numerica e nel giocare con ambo i piedi. Si diverte a freddare i portieri avversari tanto dalla breve quanto dalla lunga distanza. Anche nelle situazioni più complicate dal punto di vista atletico, che gestisce grazie ad un invidiabile controllo del corpo, incarna sempre il concetto di leggerezza.

Come le colombe volano zigzagando confondendosi con l’orizzonte, Kakà ondeggia sul terreno verde. Il merito non sta nel non perdere palla; il merito risiede nel non perderla pur cercando costantemente la giocata determinante. Dopo aver fatto sognare i supporter milanisti per sei stagioni, dai 27 anni in poi la sua carriera subirà un brusco rallentamento.

Tra Rivaldo e Kakà, dev’essere riservato uno spazio speciale a Ronaldinho.  

Ronaldo de assis Moreira detto RONALDINHO

Di giocolieri, nel corso della storia del calcio se ne sono visti molti. Questo è un giocoliere diverso perché, oltre ad essere tremendamente efficace, porta concetti nuovi partendo spesso dalla zona sinistra del versante offensivo.

Non è inusuale che, una volta in possesso della sfera, si fermi completamente. Per un difensore, nel calcio moderno, dovrebbe essere agevole affrontare un avversario fermo sul terreno di gioco. Non contro di lui perché possiede l’innata capacità di spostare il contendente, se non tutta la difesa, sfruttando un movimento di anca e bacino che disorienta gli avversari senza toccar palla.

Dal doppio passo all’elastico, detiene la maggior percentuale di riuscita nelle giocate ad effetto che, nel suo caso, rivelano una musicalità intrinseca. Quando parte col pallone, predilige tanti piccoli tocchi ma, se decide di accelerare, è in grado di slalomeggiare come un gigantista.

Il “no look pass” con cui manda in visibilio il pubblico del Camp Nou è una manna dal cielo per molti suoi compagni, pescati grazie a linee di passaggio per loro impossibili da immaginare. Utilizza l’esterno destro per  aperture e lanci dalla precisione goniometrica quale volesse omaggiare chi, come Crujff, in quello stadio è stato mattatore.

Con l’interno, invece, se la sposta a piacimento. Un prestigiatore come lui potrebbe sembrare non possedere doti atletiche: nulla di più inveritiero!  A differenza di altri artisti del calcio, ha fibre muscolari da decatleta che, combinate con un terzo tempo da cestista, lo rendono letale nell’inserimento (almeno sino a quando la condizione sarà accettabile). Prima che l’epoca di Messi e Cristiano Ronaldo prenda il via, le chiavi del calcio mondiale sono in mano al pallone d’oro 2005, Ronaldo de Assis Moreira detto Ronaldinho.

Il viaggio tra i 10 simbolo del calcio brasiliano non può che terminare con una citazione in favore di  Neymar, ovvero il compendio tra le caratteristiche dei suddetti, rivisitate in chiave moderna.

Doha (Qatar) 05/12/2022 – Mondiali di calcio Qatar 2022 / Brasile-Corea del Sud / foto Imago/Image Sport nella foto: esultanza gol Neymar ONLY ITALY

La tecnica da funambolo non si discute così come la capacità di tenere la palla incollata al piede anche durante le azioni più confuse. Abilissimo nel saltare l’uomo ed in grado di ergersi ad assist man, ha nel controllo di palla il suo marchio di fabbrica. Uno stop sbagliato da Neymar non è immaginabile. La padronanza del corpo da acrobata lo fa sembrare snodabile durante i continui cambi di direzione. Out a causa di un infortunio durante il mondiale brasiliano, non è ancora riuscito ad imporsi del tutto con la propria nazionale.

Anche fuori dai confini brasiliani il calcio latino americano sforna esemplari di arte calcistica, capaci di far sognare il pubblico pur se poco inclini alla fase di non possesso. 

CARLOS VALDERRAMA

Appartiene a questa cerchia Carlos Valderrama, il più famoso 10 nella storia dei “Cafeteros”, dal portamento regale e dai tratti distintivi, abituato a  “telecomandare” i compagni di nazionale di un paese, la Colombia, che lo idolatra. Il carisma di cui gode è tale da indurre anche un teorico dell’organizzazione come il CT Maturana a consentirgli licenze poetiche ad altri precluse.

“Con la palla ai piedi sei il più forte giocatore al mondo, ma quando la palla ce l’hanno gli altri, con te in campo, giochiamo con un uomo in meno”. In questa affermazione (che dovremmo definire  sentenza) di Louis Van Gaal c’è tutta la rappresentazione di Juan Roman Riquelme.

JUAN ROMAN RIQUELME

Con lui il calcio sudamericano, ripropone la figura del trequartista “enganche”. Ovvero l’anello che lega il gioco. Il passo, felpato quasi a non voler calpestare l’erba, è armonia pura. Anche se la nazionalità farebbe pensare al tango, i movimenti sono quelli di un valzer.

Un play avanzato che agisce sulla trequarti con un obiettivo primario: la ricerca del filtrante per gli attaccanti. Il rapporto con la sfera è “amorevole” tant’è che il cuoio, quando viene toccato dai piedi di Riquelme, sembra ripulirsi dalle impurità del terreno. Tende a partire e fermarsi, ripartire sullo stretto e fermarsi nuovamente sin tanto che il difensore, esasperato dal suo gioco di gambe (ma forse dovremmo scrivere “gioco di piedi”) si trova superato quasi senza accorgersene. Se Francescoli è stato ribattezzato “El Principe” per l’eleganza, l’atteggiamento di Riquelme più che principesco tende al ribaldo; un Hidalgo del pallone: nobile e aristocratico ma conscio di esserlo! Non propriamente a suo agio nella fase di non possesso, preferirà essere primo in Gallia (Villareal) che uno dei tanti a Roma (Barcellona).

Oltre che in campo Riquelme è stato enganche anche nella storia dell’Argentina, considerato come sia stato il Caronte dei fantasisti dell’Albiceleste nel tragitto che (con mete intermedie Aimar e Ortega) ha legato i due predestinati alla gloria.

PABLO AIMAR

Se in Sud America fantasia e arte balistica hanno caratterizzato la maglia dei sogni, l’evoluzione del 10 in Europa non è stata altrettanto unidirezionale in considerazione delle diverse scuole calcistiche presenti nel vecchio continente.

L’epoca del 10 alla Platini è in procinto di lasciare il passo, nella seconda parte degli anni 80,  a tipologie di calciatori diversi. I sistemi di riferimento 1442 e 1532 cominciano ad invadere il panorama calcistico. L’unico contesto che rimane fedele al 10 classico è quello balcanico.

Abbiamo già avuto modo di disquisire dei fantasisti e dei 10 jugoslavi in un precedente contributo pubblicato in questo blog.

Non possiamo in questa sede esimerci dal riportarne alcuni estratti atti ad omaggiare le gesta di quegli artisti.

“La Jugoslavia  come detto, non solo mantiene inalterato il ruolo della mezzala tradizionale, ma alla vigilia del mondiale del 1990 è in procinto di schierarne addirittura due che, una volta approdate nei campionati più evoluti (ove per l’appunto la mezzala risulta in disuso), verranno impiegate da trequartista tanta è la classe che trasuda dai loro piedi.

La prima si chiama Dragan Stojkovic, detto “Pixie”. E’ serbo e gioca nella Stella Rossa. Non fa mai nulla che non abbia un valore estetico. Detesta la banalità; tra una giocata semplice e una complicata preferisce di gran lunga la seconda e ne ha ben donde perché spesso gli riesce. Abilissimo nel giocare il “filtrante”, si diverte a nascondere il pallone agli avversari. Quando la palla gli staziona sui piedi pare che l’azione stia per assopirsi sin tanto che imprime accelerazioni impensabili. Vede il gioco come un regista, dribbla come un’ala, rifinisce come un trequarti. La sua rete alla Spagna risulterà per molti la più bella del mondiale.

DRAGAN STOJKOVIC

La seconda, all’epoca giovanissima, risponde al nome di Zvonimir Boban. Falcata elegante e testa alta, si muove con l’armonia del predestinato e la sapienza del veterano. A 21 anni è già capitano della Dinamo Zagabria. Gioca con ambo i piedi e sa cosa fare prima di ricevere palla. Rispetto a Stojkovic è meno abile sullo stretto ma ha un raggio d’azione più ampio. Il proseguo della carriera lo vedrà vestire di rossonero, non prima di un passaggio a Bari, in una squadra che riuscirà nell’impresa di retrocedere nonostante la presenza sua e di David Platt a conferma che il calcio, talvolta, è davvero un mistero agonistico.

ZVONOMIR BOBAN

Si adeguerà, con Capello in panchina, a stazionare sulla fascia. Vivrà da comprimario i primi anni in rossonero ma quando l’epopea degli olandesi volgerà al termine saprà prendere per mano la squadra. Il carisma che lo contraddistingue farà si che Alberto Zaccheroni modifichi i suoi principi basilari per trovargli spazio dietro alle punte. La testa tenuta sempre alta non lo contraddistinguerà solo in campo ma anche in altri settori della vita.

In ogni altra squadra dei primi anni 90 due così giocherebbero trequartisti e, soprattutto, faticherebbero a convivere.

Nella “Jugo”, no. Sono destinati a giocare insieme

.Purtroppo, però, il mondiale del 1990 non se li potrà godere entrambi in quanto Boban, durante gli scontri di Zagabria, è stato coinvolto in una colluttazione con un poliziotto mentre difendeva la sua gente. I nove mesi di squalifica che ne sono succeduti hanno rappresentato per lui l’epitaffio della coppa del mondo.

Poco male. Di giocatori di classe e fantasia gli slavi ne hanno in abbondanza. Safet Susic, ad esempio.

SAFET SUSIC

Una carriera trascorsa tra Sarajevo e Parigi a dipingere calcio, dominando in mezzo al campo. Altro esempio di mezzala che non vuole arrendersi ai cambiamenti tattici. Gli difetta il dinamismo ma, si sa, nella testa degli artisti (anche del pallone) l’aspetto pratico non è il pensiero dominante. Sarà lui il riferimento in mezzo al campo. Da lui si andrà nei momenti di difficoltà. La malizia non gli manca, la capacità di vedere il gioco ancora meno.

Schierare due giocatori così tecnici in mezzo al campo può rappresentare un azzardo. Ma com’è che in un calcio in cui si comincia a discutere se vi sia posto per il fantasista gli slavi ne schierano addirittura due?

No, signori!  Ne schierano quattro.

Perché al serbo Stojkovic e al bosniaco Susic, si uniscono alla festa il croato Prosinecki ed il montenegrino Savicevic. 

ROBERT PROSINECKI

Il primo, per essere un calciatore balcanico degli anni 80-90, porta con sé un aspetto di atipicità considerato come alla tecnica sopraffina unisca una capacità aerobica di prim’ordine. Non ha paura di nulla, è sfacciato e, con meno infortuni in carriera, avrebbe insediato il podio dei più quotati calciatori box to box.

Il montenegrino è molto più umorale. Ha un solo piede ma quando decide di giocare (il che per fortuna degli avversari non avviene sempre) non lo si prende. Ha uno stile tutto suo. Più che correre sembra saltellare, dondolando in avanti, in una danza continua. L’aria da perenne sbadato non gli impedisce di risultare geniale palla al piede.

DEJAN SAVICEVIC

Possiede la capacità di indirizzare le partite con poche giocate.

A riprova della funzionalita’ del gesto, se avessero istituito una competizione per stabilire quale giocatore abbia vinto più rimpalli in carriera ne sarebbe risultato trionfatore assoluto! (cfr. “Le nazionali che non hanno vinto il mondiale ma sono entrate nella storia del calcio”La complessità del Calcio www.filippogalli.com;   16 dicembre 2022)…..CONTINUA

DI ALESSIO RUI, ALBERTO FERRARESE E FILIPPO GALLI

ALBERTO FERRARESE

BIO: “Alberto Ferrarese,  nato a San Donà di Piave il 5 settembre 1988,  è protagonista del calcio dilettantistico veneto da oltre 18 anni con preziosismi e giocate di alta scuola a riprova del fatto che la “poesia del numero 10″ si lascia ammirare in qualsiasi campo e categoria.”

7 risposte

  1. Buongiorno.
    A parte Maradona, Messi, Pele’ e Cruiff, secondo me i più grandi all time, bisognerebbe fare un distinguo: i vari Rivaldo, Ronaldinho, Savicevic e simili, sono stati eccezionali giocatori dotati di estro e fantasia capaci di numeri eccezionali ma spesso poco continui e umorali. I miei top 10 sono stati Platini e Kaka che oltre alle succitate caratteristiche classiche dei numeri 10, avevano in più forza fisica, continuità, senso tattico e disponibilità al sacrificio che consentivano loro di essere utili alla squadra anche in giornate non particolarmente brillanti.

  2. Ciao Filippo , secondo te chi è stato il 10 più forte ….o quale dei numeri 10 ti ha messo più in difficoltà !?!?!?
    Ovviamente mettendo da parte Diego che era di un’altro pianeta !!!!!
    Grazie ❤️🖤

    1. Ciao Luigi, di Maradona hai gia’ detto tutto tu! Tra i “10” che ho incontrato erano davvero forti Platini e Zico.
      Tra gli italiani Matteoli era un giocatore non facile da marcare. Ti parlo di quei giocatori di cui Mister Liedholm mi chiedeva la marcatura a uomo a tutto campo. Per Zico, calcisticamente, ho sempre avuto un debole!

  3. Filippo probabilmente tu lo consideravi una punta ed era strutturato come tale, ma nei numeri 10 come mai non c’è Ruud? Massimo rispetto per Zvone e Dejan che in un sito come questo dove la capacità di integrarsi di fare squadra e’ fondamentale, loro così diversi in tutto ma con un unico comun denominatore, la classe purissima.
    Tra i grandi numeri 10: Ruud,Dejan,Zvone chi era il piu’ forte con cui hai giocato?

    1. Rispetto alla presenza di Gullit ti ha gia’ risposto Alessio. Non mi piace fare classifiche, tra l’altro tra giocatori cosi diversi. Sono legato a tutti e tre, quello che posso aggiungere, ma non e’ una novita’, e’ che avevano un carisma straordinario!

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