Analisi delle 8 squadre qualificate ai quarti di Champions League.
BENFICA
La presenza sempre maggiore di squadre portoghesi ai massimi livelli del calcio europeo è una lampante testimonianza di un movimento calcistico, quello lusitano, in netta crescita e promettente entusiasmo, mostrando come suo ultimo esponente di rilievo il Benfica.
Rispetto al consueto “triumvirato” che da anni detta legge nella massima serie portoghese, ossia Porto, Sporting Lisbona e Benfica, quest’ultimi sembrano aver raggiunto sotto la gestione di Roger Schmidt, approdato alla guida del club di Lisbona ad inizio stagione, delle vette difficilmente eguagliabili per i rivali sotto il profilo della proposta offensiva, evoluzione dei concetti di gioco e soprattutto encomiabile lavoro di progettazione dirigenziale.
Per quest’ultimo capitolo, riguardante il mercato, non si possono non citare le cessioni a peso d’oro inanellate nel corso di questi anni come Joao Felix, Darwin Nunez ed Enzo Fernandez, da soli valsi circa 350 milioni di euro, utili a rinverdire il bilancio ma non di certo a depauperare l’organico dei calciatori, che anzi non è sembrato risentire delle partenze dei suoi talenti, essendo coinvolto in un processo di rinnovamento costante.
Grazie all’approdo di Schmidt sulla panchina le “Aquile” hanno saputo riproporsi veementemente nella lotta per il primato casalingo, dopo qualche anno di alternanza tra Porto e Sporting nell’Albo d’Oro, sapendo coniugare i principi di ferocia agonistica ed estenuante pressione verticale, marchio di fabbrica dell’allenatore tedesco, e il tipico possesso flemmatico alla portoghese, offrendo così un vasto compendio di soluzioni e interpretazioni che altro non fanno se non evidenziare ancora una volta la forza identitaria di un club offertosi come esempio virtuoso sia per l’approccio che per la continuità mantenuta.
È di fatti nel corso dei gironi di Champions che la bontà del progetto Benfica si è concretizzata:
A farne le spese proprio Juventus e Paris Saint Germain, la prima eliminata e la seconda costretta ad un secondo posto nel girone per differenza reti e ad un sorteggio ostico a tal punto da causarne la successiva eliminazione.
Dopo il passaggio agli ottavi si è evidenziata ancora di più la differenza abissale con un’altra outsider come il Brugge, schiantato nelle due partite con un risultato complessivo di 7-1.
Una propulsione dinamitarda che non sembra destinata ad arrestarsi quella degli uomini di Schmidt, tra i quali spiccano Gonçalo Ramos, bomber in rampa di lancio, erede del posto lasciato vacante da Nunez e dello scettro niente meno che di Cristiano Ronaldo nella Nazionale guidata da Fernando Santos, il talentuoso Rafa Silva, giunto agli anni più splendenti della sua carriera, Otamendi, leader maximo della difesa interpretando il ruolo come meglio, forse, non aveva mai fatto, Joao Mario, centrocampista totale e di brillante ingegno, trasformatosi dopo gli anni inconcludenti vissuti con la maglia dell’Inter; e poi ancora Neres, Grimaldo…
Insomma, pare non esserci una cosa che non funzioni per il Benfica, al quale ogni orizzonte non è precluso:
Se infatti non peccano di troppo estro, ma rimangono compatti e fedeli all’impronta datagli dal loro allenatore allora sarà dura per chiunque affrontarli.
CHELSEA
La Regina del mercato estivo e, soprattuto, invernale, ritrovatasi, nonostante le decine di spropositati esborsi, in uno dei momenti più difficili della sua storia recente.
I Blues della nuova presidenza americana, evidentemente non meno viziosa di quella di Abramovich, presentatisi trionfalmente ai nastri di partenza, dopo un avvio non convincente e l’esonero di Tuchel, sostituito da Potter, non vedendo risultati, hanno rincarato la dose spendendo cifre da capogiro nel mercato di gennaio e rivoluzionando ulteriormente il progetto che due anni fa li aveva portati sul tetto d’Europa.
Un decimo posto in campionato che stride fastidiosamente con il valore esorbitante della rosa e le eliminazioni dalle coppe nazionali hanno portato il Chelsea e il suo tecnico ad un profondo esame di coscienza in vista di un ottavo di finale che poteva determinare un giudizio complessivo sulla propria stagione altro da quello del fallimento totale.
L’avversario, un Borussia Dortmund in forma ritrovata, impegnato nella sua decennale lotta interna contro il “Golia” Bayern Monaco, rischiava di dar vita ad uno degli accoppiamenti dal risultato più incerto in questa fase ad eliminazione diretta, e un passaggio del turno tutt’altro che scontato per i Blues. Dopo il risultato dell’andata il Chelsea si ritrovava nuovamente di fronte alle sue mancanze:
Inconcludenza, superficialità e scarsa efficienza tra i reparti, anche se non avevano torto a recriminare qualcosa anche alla malasorte, dati i legni colpiti e le occasioni sprecate.
Al ritorno, a Stamford Bridge, la squadra di Potter, con una ritrovata sicurezza, e, forse, alimentata dalla forza della disperazione, riesce a ribaltare il risultato nel secondo tempo con Sterling, uno degli uomini più deludenti di questa stagione, e il rigore di Kai Havertz, a seguito, comunque e nuovamente, di una esagerata mole di chance importanti fallite.
Il risultato complessivo sorride al Chelsea, che dopo la deriva in Premier League, non avendo altre speranze da inseguire, può rimanere attaccato al sogno della Champions League, con un arsenale rinnovato e un allenatore che farà di tutto per dimostrare di essere all’altezza della sfida a cui è stato chiamato, quella di sostituire un allenatore vincitore di una Coppa Campioni.
Il talento sicuramente è dalla parte loro, ora devono seguire soltanto i fatti.
BAYERN MONACO
Se non la prima allora la seconda della classe, ma poco cambia ai fini del discorso:
Il Bayern era e rimane durante tutto l’arco del decennio una delle migliori squadre in Europa per continuità di rendimento su tutti i piani, sportivo e dirigenziale.
Un ruolino di marcia che fa spavento essendo l’unica squadra che per due anni di fila riesce a fare bottino completo di vittorie nel girone di Champions e una ferocia implacabile dimostrata anche negli ottavi, lasciando soltanto le macerie del Paris Saint Germain.
I tedeschi guidati da Nagelsmann, dopo l’incidente con il Villareal della scorsa stagione, sono determinati a mettere sul campo tutta la loro potenza di fuoco per suggellare il settimo successo della loro storia nella massima competizione europea.
Qualche punto di troppo lasciato in campionato era l’unico aspetto imputabile a Nagelsmann, situazione che ora invischia i bavaresi in una lotta scudetto che da anni non si era fatta così accesa in questo punto dell’anno e che rischia di causare un eccessivo dispendio di energie, per una squadra costretta ad un ritmo forsennato, estremo, a volte, persino per se stessa.
La squadra, con un età media decisamente bassa, trova nel suo organico un trasformato De Ligt, tornato ai livelli della sua ascesa all’Ajax, Musiala sempre più stabilizzato ad altissimi livelli a soli vent’anni, già pronto a regalarsi successi di alto calibro, e un Choupo-Moting in forma smagliante, ad offuscare un grande acquisto del mercato estivo come Sadio Manè e, quasi insperabilmente, a non far rimpiangere (per ora) la partenza di Lewandowski.
Oltre a ciò il mercato invernale, complici i dissidi in casa Manchester City, ha portato in dote Joao Cancelo, il quale offre ora a Nagelsmann una soluzione di maggiore equilibrio e qualità tecnica sull’out di destra, diventando a tutti gli effetti un’ala, aggiuntasi al già ricco parco esterni.
Per il resto rimane confermato il blocco consueto, quello che portò nel 2020 la squadra al tempo guidata da Hansi Flick a conquistare il Triplete, comprendente i soliti Kimmich, Goretzka, Mueller, Coman e altri considerabili a tutti gli effetti come i senatori del gruppo.
Se la marcia dei bavaresi in maglia rossa continua il ritmo a cui ci ha abituato, nessun argine sembra possibile frapporre al suo incedere; come nella sfida di un anno fa contro il Villareal, essi corrono però il rischio di non concretizzare nel momento decisivo tutta l’energia di cui sono capaci, forse perché dissipatasi nel corso delle partite precedenti, lasciando il motore a corto di carburante prima del tempo, in un’esperienza che, comunque, sembra tutt’altro che destinata a ripetersi:
Saranno guai seri stavolta per chiunque dovrà imbattersi nel Bayern.
MILAN
Un ritorno a casa per i rossoneri, ai quali da tempo mancava un accesso a questa fase della competizione, arrivato nell’anno successivo alla conquista del tricolore in Serie A.
Eppure la squadra di Stefano Pioli, a cavallo con la doppia sfida degli ottavi contro il Tottenham, era incappata nel suo peggior momento da quando, due anni e mezzo fa, proprio l’allenatore parmigiano, era subentrato in panchina.
Le difficoltà palesatesi erano quelle di un Milan sofferente in particolare nella retroguardia, la quale sembrava mancare della stessa compattezza per la quale si era distinta nella parte finale del campionato precedente.
La speranza, di fatto avveratasi, era quella di incontrare un avversario non irresistibile, avendo così la possibilità di limare i difetti evidenziati in corso d’opera. Per l’appunto, il Tottenham di Conte, non navigava di certo in buone acque, lasciando intravedere diversi malumori e dando l’impressione di poter essere contenuto dai rossoneri, nonostante l’organico superiore dei londinesi.
L’accoppiamento era dunque, sulla carta, uno dei più equilibrati.
Il doppio confronto ha visto passare brillantemente il Milan, bravo nel saper sfruttare i difetti avversari e facendo leva su una coesione ritrovata da parte dei suoi interpreti.
In più, la mano di Pioli si è vista nel cambio dell’assetto tattico, con il passaggio ad un sistema con tre difensori, complice la crescita quasi improvvisa di Malick Thiaw, nome nuovo nei radar della Serie A, aggiuntosi al duo Kalulu-Tomori, non sfigurando di fronte agli altri due per tenacia e robustezza.
Il nuovo sistema di gioco è stato sicuramente un innovazione importante, dalla quale i rossoneri hanno saputo trarre beneficio, lasciando poco da intendere nelle due sfide contro gli Spurs:
La gara d’andata a San Siro, terminata 1-0, aveva addirittura lasciato il rammarico per qualche occasione non sfruttata di troppo.
Il vantaggio in ogni caso è risultato sufficiente a strappare un pass per i quarti di finale, complice un Tottenham che nella gara di ritorno ha confermato la propria sterilità offensiva e la poca pericolosità anche per i suddetti meriti dei rossoneri.
Al Milan è concesso quindi sperare ulteriormente, con una qualificazione alla prossima Champions League ancora da conquistare, il passo successivo sarà quello non solo di mantenere la stabilità ritrovata grazie alla difesa, ma anche di promuovere una nuova efficacia offensiva, coinvolgendo soprattutto un Leao troppo spento per risultare incisivo in gare più ostiche.
Ciò che è certo è che la burrasca sembra essere passata e che ora il Milan abbia un nuovo orizzonte a cui tendere, quel rendimento che ormai era divenuto uno standard nei decenni passati nella massima competizione europea.
INTER
I nerazzurri di Simone Inzaghi continuano a indulgono nella loro spirale folle di risultati:
I troppi punti di distanza con il Napoli capolista lasciavano intendere non pochi malumori all’interno del club meneghino, a fronte soprattutto dello scontro diretto vinto nella prima gara di gennaio, seguito poi dal pareggio all’ultimo secondo con il Monza, le sconfitte con Empoli e Bologna e lo 0-0 contro la Sampdoria ultima in classifica, gare che hanno contribuito ad alimentare un distacco già abissale con i partenopei.
Le vittorie in Supercoppa e nel Derby non avevano contribuito a sedare le polemiche, visto il rendimento troppo altalenante da parte dell’Inter, che già si era fatta sfuggire lo scudetto nell’anno passato a fronte degli insuccessi con compagini appartenenti al zone meno nobili della classifica.
La solida colonna a cui i nerazzurri si sono aggrappati in questa stagione, lasciando stare per il momento la coppa Italia, è stata proprio la Champions, data la sorprendente qualificazione agli ottavi a spese del Barcellona di Xavi e un sorteggio promettente, che li vedeva accoppiati con il Porto.
La squadra di Conceiçao nascondeva non poche insidie e, negli anni passati, si era confermata come la mattatrice delle italiane.
L’inter però, ha saputo confermare il proprio rendimento positivo nelle grandi sfide, un trend ribaltato rispetto a quello di inizio stagione dove i punti persi arrivavano spesso negli scontri diretti.
Nella gara d’andata si era riscontrata una discreta superiorità dei nerazzurri, che lasciavano San Siro sul risultato di 1-0, che in ogni caso non rappresentava una garanzia sufficiente in vista del ritorno al Do Dragao.
Come c’era da aspettarsi infatti, nella gara casalinga il Porto si presenta più arrembante, avendo saldo nelle mani il pallino del gioco, sospinto dai 50.000 tifosi, provando a colpire l’Inter lì dove fa più male, ovvero nelle situazioni in cui non riesce ad essere sempre padrona del gioco, come evidenziato dall’andamento preoccupante nelle gare in trasferta.
L’inter, ricacciata nella propria metà campo, sarà costretta a 90 minuti interi di difesa arcigna e di grande pathos agonistico per difendere la propria rete di vantaggio, riuscendo alla fine a terminare il match a reti bianche:
Non di certo il più spettacolare degli incontri, con i nerazzurri insolitamente brutti da vedere, ma efficaci nel porre ostacolo alle avanzate dei portoghesi.
Da sottolineare le prestazioni in particolare di Darmian, spada e scudo del reparto difensivo, stabilizzato ormai sia come esterno a tutta fascia che come terzo centrale di destra, sopperendo alla mancanza di Skriniar, e del duo di centrocampo Cahlanoglu-Mkhitaryan, il primo divenuto perno centrale, essenziale in entrambe le fasi di gioco e il secondo, redivivo nel ruolo di mezz’ala, a garantire corsa, tecnica e intelligenza sopraffina.
Non ultimo Onana, miracoloso sia all’andata che al ritorno in un paio di situazioni, durante le fasi di massimo assedio dei Dragoes.
Dunque non senza fortuna, ma con grande determinazione, i nerazzurri approdano tra le migliori otto d’Europa, con l’obbiettivo di non avere rimpianti;
E chissà che qualcuno di loro non stia già sognando il Derby…
MANCHESTER CITY
Sono sempre loro i favoriti ma non vincono mai.
Negli ultimi anni il club allenato da Pep Guardiola si è conquistato di diritto lo status di assoluto grande nome del calcio europeo, a testimoniarlo sono i successi roboanti nel campionato casalingo, le grandi spese messe a referto (non sempre giustificate) ed una proposta calcistica senza eguali nel mondo del pallone, la quale però non è mai risultata sufficiente alla conquista della coppa dalla grandi orecchie.
E dunque a pesare sulle spalle dell’allenatore catalano sono soprattuto gli insuccessi in campo internazionale costantemente rimarcati, come la rimonta subita negli ultimi minuti nell’annata precedente contro il Real Madrid, la sconfitta in finale contro il Chelsea e ancora più indietro le eliminazioni contro Tottenham e Lione.
Quest’anno la litania sembra la medesima e le probabilità che una debacle potesse arrivare già agli ottavi contro un’outsider come il Lipsia non erano da escludere dopo la gara d’andata in Germania.
Ci hanno messo poco i Citizens a spazzare via ipotesi del genere, rifilando sette reti agli avversari, con un risultato complessivo di 8-1 che lascia poco spazio ai dubbi. Il nome da copertina, e non solo oggi, è quello di Haaland, autore di cinque gol; un uragano abbattutosi sulla difesa dei tedeschi che hanno potuto soltanto guardare i palloni terminare in rete a ripetizione.
Il dato curioso è che nessuno dei 5 gol del norvegese sia arrivato su assist diretto, ma, escluso il calcio di rigore, tutti a seguito di deviazioni o palloni vaganti lasciati scoperti in area di rigore; per una squadra che fa delle geometrie perfette la sua firma, quindi quasi un controsenso che i gol del suo centravanti siano arrivati tutti su situazioni “sporche”; proprio ciò che veniva imputato al City negli anni precedenti era la ricerca spasmodica del gioco e secondo alcuni l’arrivo del più grande goleador doveva servire sopratutto a sanare le incertezze derivanti dal voler sempre “entrare in porta con la palla”.
Vedremo se Guardiola riuscirà a trovare il connubio ideale tra la sua idea di gioco e le abilità aliene di finalizzazione di un giocatore come Haaland; ciò che è certo è che per il City soltanto una cosa non è ritrattabile:
La sua indiscutibile superiorità, dalla quale devono saper scindere i dubbi e le eventuali paure di essere troppo per riuscire poi a combinare troppo poco.
REAL MADRID
L’unica vera e costante certezza all’interno del torneo:
Le Merengues ci sono e ci saranno sempre e molto probabilmente staranno lottando per arrivare fino in fondo.
La camicetta Blanca altro non simboleggia se non la loro capacità, rimasta immacolata negli anni, di non saper perdere.
Dall’infallibilità nelle finali alla sicurezza con la quale affrontano qualsiasi partita in qualsiasi condizione di risultato, il Madrid non dà mai l’impressione di poter uscire sconfitto.
Sono I campioni in carica e il doppio incontro con il Liverpool testimonia come siano pronti a riconfermarsi, anche se sottotono, anche se con gravi difficoltà, le partite sono sempre dalla parte loro, o grazie ad una giocata individuale o grazie ad un episodio fortuito; il dogma sembra essere “o li fai fuori subito o perdi” e più o meno si è sempre verificato così.
Se il Real è indifferente al calibro degli avversari, qualsiasi essi siano, siamo sicuri che nessuno vorrebbe mai incontrare il Madrid sul proprio cammino; qualsiasi altro commento consterebbe in un pleonasmo.
NAPOLI
Il vero fiore all’occhiello di questa edizione e in generale la più lieta sorpresa del calcio europeo in quest’ultimo anno di calcio.
La squadra di Spalletti ha saputo raccogliere i frutti di un lavoro ineccepibile portato avanti dalla dirigenza nel corso degli anni, anche a costo di molteplici delusioni.
Oggi il Napoli, da almeno un quarantennio, è nel suo maggiore momento storico, grazie allo scudetto ormai assicurato, al girone di Champions passato trionfalmente e ad un gruppo che appare inscalfibile e inoppugnabile.
Dal duo Kvaratskhelia-Osimhen, punta di diamante dell’arsenale partenopeo, al timoniere Lobotka fino all’armatura di Kim, non sembra esserci una cosa che non funzioni in quel di Castel Volturno, in un esibizione costante che, sopratutto sotto gli occhi sognanti dei propri tifosi al Maradona, non smette di stupire.
Al di là di qualche fisiologica incertezza iniziale, nelle due partite contro l’Eintracht Francoforte, il Napoli ha entrambe le volte surclassato gli avversari, dimostrandosi di tutt’altra categoria e reclamando a gran voce un seggio tra le grandi squadre del Vecchio Continente.
Un ritmo tambureggiante e una solidità granitica sono ciò che ha inspessito ulteriormente il lavoro fatto nelle stagioni precedenti, nelle esperienze positive come quelle con Sarri dove il Napoli era sì bello, ma forse mai così concreto, denotato anche dal fatto che la squadra di Luciano Spalletti è seria candidata anche al record di punti in Serie A, in una sincronia di risultati e obbiettivi ancora da raggiungere che ha dell’irripetibile.
Ora però le 8 migliori squadre d’Europa richiedono un ulteriore tassello ad impreziosire questo mosaico, quello di una squadra che dovrà saper passare anche dall’umiltà e dall’assoluta compattezza, senza snaturarsi, dovendo incontrare probabilmente un avversario più forte a livello di interpreti e più abituato a situazioni simili.
C’è la certezza in ogni caso, che gli azzurri, per capire se stessi, stiano ardentemente desiderando un confronto di altissimo rango, una squadra che possa realmente tirar fuori dagli uomini di Spalletti tutto quello che hanno da dare, riuscendo a guardarli viso a viso, perché per adesso, una squadra migliore del Napoli, non si è ancora vista.
Questo un breve commento per ciascuna delle 8 pretendenti al titolo di campione d’Europa, in attesa che il sorteggio di Nyon incroci il destino di queste squadre, dicendoci di più su chi potrà realmente ambire a uscire dalla finale di Istanbul con la coppa dalle grandi orecchie.