Parte 1: Dal Mineirao alla Copa Centenario.
28 Giugno 2014, Belo Horizonte, stadio Mineirao.
Brasile e Cile si stanno affrontando in un match valevole per il passaggio ai quarti di finale del mondiale di Brasile 2014. Al minuto 119, sul risultato ancora fermo sull’ 1-1, con la qualificazione ancora in bilico, a 60 secondi dal termine dei tempi supplementari, il Cile attacca quando all’improvviso il pallone arriva sul piede destro di Alexis Sanchez.
Il cileno, senza pensarci troppo, passa la palla a Mauricio Pinilla che tenendo a distanza il suo diretto marcatore con l’aiuto del suo tatuato braccio sinistro, prima controlla il pallone, poi prende la mira, non con lo sguardo ma con il cuore ed infine scaglia verso la porta dei brasiliani un tiro potente, teso. Un tiro talmente veloce che in una piccola frazione di secondo il pallone percorre alcuni metri, sorpassa l’insuperabile portiere verdeoro Julio Cesar e prosegue il suo viaggio verso la porta ormai vuota. Sembra fatta. Attimi, istanti, frazioni di secondo. Il mondo del calcio rimane con il fiato sospeso. La palla viaggia, la porta è vuota: SBAM!
La palla colpisce la traversa ed è tanta la potenza impressa a quel tiro da tornare quasi a metà campo dopo l’impatto della sfera sul legno. La traversa trema. Continua a tremare, “tembla” come direbbero in spagnolo. In quel momento un popolo intero, quello cileno, abituato storicamente ai tremiti della terra, rimane in silenzio. Un’altra frazione di secondo. Un altro po’ di silenzio, prima di esprimere il proprio disappunto al mondo intero.
Il Brasile è salvo, il Cile ha dato il massimo. Il Cile ha raggiunto in quel preciso istante l’apice della sua generazione d’oro.
Un minuto dopo, l’arbitro, fischierà la fine dei tempi supplementari, le squadre andranno ai calci di rigore dove il Brasile vincerà per 3-2 accedendo ai quarti di finale del mondiale. I due CT, Jorge Sampaoli e Felipe Scolari, si stringeranno la mano, sapendo che è finita, sapendo che è stata scritta una pagina di storia del calcio mondiale.
Il Brasile, però, non vincerà quel mondiale casalingo e anzi uscirà malamente in semifinale, contro la Germania di Joachim Loew (futura vincitrice del titolo), con un clamoroso 7-1 per i tedeschi, perdendo successivamente anche la finalina valida per il terzo posto contro l’Olanda per 3-0.
Eppure in tanti, compreso il sottoscritto, sono fermamente convinti che se quel pallone fosse entrato alle spalle di Julio Cesar e Pinilla avesse segnato il gol dell’1-2, il Cile avrebbe poi vinto la Coppa del Mondo. Non ne avremo mai la controprova, è vero, ma mi piace continuare a pensarla così.
Ma come si è arrivati a quel giorno?
Parte 2: Marcelo Bielsa: la base per il successo.
Quel giorno c’era in ballo qualcosa di più rispetto al “solo” passaggio del turno. Quella partita era una rivincita, una “vendetta sportiva” che aspettava di essere assaporata dal mondiale precedente, il mondiale del 2010 in Sud Africa.
Fu proprio durante quel mondiale che il Cile iniziò a mostrare al mondo intero la sua “golden generation”. Una squadra stracolma di giovani talenti (Sanchez, Vidal, Isla, Beausejour, Claudio Bravo) affamati di gloria e nel pieno delle proprie forze. Nonché l’espressione massima del “Bielsismo” se così possiamo chiamarlo.
Già. “Bielsismo”, la dottrina di Bielsa.
Proprio Bielsa fu una delle intuizioni migliori della federazione calcistica cilena. L’ingrediente segreto per una miscela esplosiva. Aver avuto il coraggio e la forza di mettere alla guida di quel gruppo di talenti un fuoriclasse della panchina come Marcelo Bielsa (per gli amici “El Loco”) fu l’arma vincente di quella nazionale. In una storia tutta particolare, una delle peculiarità fu proprio che venne messo un argentino alla guida del Cile: un fatto che può sembrare normalissimo, ma che normale non è, perché tra argentini e cileni non scorre buon sangue.
Eppure fu proprio grazie all’argentino Bielsa che in quel periodo storico vennero poste le basi per raggiungere i successi futuri, i primi storici trofei per la “Roja”, così come viene chiamata la nazionale cilena.
Bielsismo: la dottrina di Bielsa. A Bielsa non interessano i ruoli. A Bielsa interessa soltanto come i suoi ragazzi occupano il campo, interessano gli spazi in relazione alla posizione del pallone e in relazione alla posizione degli altri giocatori.
Spazi pieni, spazi vuoti, riempire gli spazi e svuotare gli spazi. Un concetto dinamico e adattivo del football. Filosofia che non prevede moduli, non prevede numeri. Concetti in movimento e mai una preparazione statica, a tavolino, della partita.
Si tratta di mettere in pratica, istante per istante, quello che il cervello del giocatore ha assimilato durante gli allenamenti. Non esistono istruzioni, non esiste un manuale d’uso per giocare bene al calcio. Esistono solo concetti da apprendere e assimilare. Gli stessi concetti vanno poi abbinati alla prestazione atletica, al gesto tecnico e soprattutto al talento.
Già il talento: la cosa più rara e preziosa nel mondo calcio. Le tre basi per la vita sulla terra sono aria per respirare, acqua per vivere e talento per giocare a calcio.
La cosa più bella di tutto questo modo di pensare il futbàl è soprattutto quella che i concetti vanno applicati in base al momento. L’idea giusta proposta nella situazione corretta e dopo il resto viene da sé. Questo ultimo punto è il fulcro del “bielsismo”.
Bielsa non ti guida con il joystick, Bielsa non ti dice dove andare durante la partita, lui ti forma prima, ti addestra e ti prepara alle situazioni: sta poi al giocatore adattarsi a seconda dello spazio e del tempo di gioco ed è quello il talento.
Così il Cile, con Bielsa prima e con uno dei suoi discepoli Sampaoli poi (altro argentino), si struttura, si trasforma e diventa una nazionale di primo livello. Sintetizzabile nel perfetto mix tra il talento dei brasiliani e il pragmatismo degli argentini.
Quello cileno diventerà un gruppo che dopo le delusioni del 2010 e del 2014 riuscirà finalmente a sollevare non una, ma ben due ‘Copa America’ (l’equivalente del nostro europeo per nazioni di cui la nazionale italiana è campione in carica ad Euro20 nel 2021) completando un ciclo importante e forse raramente replicabile.
La ‘Copa America’ del 2015, giocata proprio in Cile, sotto la guida tecnica dell’argentino Jorge Sampaoli, era facile aspettarsela proprio perché si trattava di un trofeo organizzato in patria, mentre la ‘Copa America’ dell’anno successivo (edizione speciale ‘Centenario’ giocata negli USA) del 2016, sotto la guida dello spagnolo Juan Antonio Pizzi, è stata una lieta sorpresa e di fatto una riconferma della bontà del lavoro svolto dalla selezione cilena negli ultimi anni e della qualità quella rosa di calciatori.
Il fatto curioso è stato che in entrambe le edizioni la finalista da battere sia stata proprio l’Argentina, quella di Messi, quell’eternamente incompiuta, almeno fino alla Copa America del 2021 (vinta in finale contro il Brasile) e soprattutto fino al controverso Mondiale del 2022 in Qatar.
L’Argentina del giocatore più forte di sempre: Leo Messi. In entrambe le occasioni, sia nel 2015 che nel 2016, la finale è stata vinta ai rigori dopo un combattuto pareggio protrattosi fino ai tempi supplementari, durissimo dal punto di vista agonistico, quasi ai limiti del regolamento.
Risultato finale, 4-1 nel 2015 (unico marcatore per la albi-celeste è stato Messi) e 2-4 nel 2016 (quando Messi ha sbagliato il primo rigore della serie).
Cosa chiedere di più? Veder tornare Bielsa su una panchina, ecco cosa chiedere.
Parte 3: Argentina, Cile e …Uruguay.
E Marcelo oggi è pronto a tornare. Di nuovo su una panchina. Di nuovo su una panchina di una Nazionale. Dopo averci fatto sognare alla guida dell’Athletic Bilbao nel biennio 2011-2013 (leggere a proposito l’articolo del bravissimo Remo Gandolfi – MARCELO BIELSA E L’ATHLETIC CLUB: UNA (BREVE) MERAVIGLIOSA STORIA D’AMORE) e dopo l’ultima esperienza in terra d’Albione alla guida del Leeds United del presidente Radrizzani, dove è riuscito nell’impresa di riportare il club dello Yorkshire in Premier League dopo 16 anni di assenza, regalandoci anche due brevi esperienze in Francia all’OM e al Lille, El Loco fa il suo ritorno raccogliendo per l’ennesima volta una sfida importante e per nulla banale.
El Loco non a caso. Lui sostiene che venga chiamato “el Loco” solo perché attua soluzioni non convenzionali a problemi che solitamente vengono risolti con azioni “abituali”.
Una spiegazione magnifica, in piena linea con il personaggio. Qui stiamo parlando di un visionario. Di una persona che all’inizio della sua vita lavorativa, in attesa di svolgere il lavoro dei suoi sogni, decide di gestire un’edicola a Rosario (la città del calcio come la definisce Federico Buffa) per potersi permettere di leggere tutte le riviste ed i libri che trattavano di calcio senza doverli acquistare.
Una persona che all’inizio della sua carriera da allenatore intraprende viaggi chilometrici a bordo della sua FIAT 147 in giro per il paese (l’Argentina) “solo” per scovare i migliori talenti da portare al “suo” Newell’s Old Boys.
Tutte attività sempre svolte in modo metodico, scientifico, al limite della pazzia, dell’ossessione. Nell’arco della sua carriera, Bielsa, è stato modellatore di giocatori immensi come Abel Balbo, Gabriel Omar Batistuta e Nestor Sensini ed è anche stato a sua volta modello ispiratore di grandi manager come Pep Guardiola, Jorge Sampaoli e Marcelo Gallardo (a mio avviso uno dei migliori in assoluto ancora in attesa di esplodere sul vecchio continente).
Dopo aver vinto tra il 1990 e il 1992 due campionati argentini e raggiunto una finale di Copa Libertadores, si è visto intitolare lo stadio della sua squadra a Rosario (il Newell’s per l’appunto) perché già simbolo di un’intera tifoseria.
Essere “Bielsa” ancora prima di diventare “Bielsa”. Parliamo di un personaggio che trasferitosi in Inghilterra riusciva a stupire tutti recandosi serenamente a fare la spesa al mini-market del paese vestito rigorosamente in tuta e dispensando autografi, foto e sorrisi a chi incredulo lo riconosceva, ma con la massima semplicità ed umiltà.
Nel periodo marsigliese ha arricchito la sua immagine “non convenzionale” utilizzando un frigobar come panchina, solo perché la panchina vera e propria distava troppo dalla linea di bordo campo. Problem solving. Un uomo davvero leggendario.
Adesso avremo la possibilità di rivederlo all’opera sulla panchina di una delle nazionali di calcio più importanti al mondo: quella dell’Uruguay. Una Nazione che pur contando solo 3,5 milioni di abitanti produce costantemente squadre di enorme talento tant’è vero che la Celeste, così come viene chiamata la selezione uruguaiana, vanta nella propria bacheca ben 19 trofei di primissimo livello, tra cui 2 Coppe del Mondo, 2 Ori olimpici e 15 Copa America.
Il movimento calcistico uruguaiano è soprattutto fucina di goleador implacabili e talenti irripetibili. Cavani, Suarez, Forlan, Recoba, Scarone (di origini liguri) e Petrone (di origini lucane), Schiaffino, Ghiggia, ma anche Francescoli, Fonseca, Aguilera ed il “recentissimo” Fede Valverde del Real Madrid.
Bielsa succede al C.T. Marcelo Broli che a sua volta ha raccolto il testimone da Diego Alonso che nel 2021 è stato scelto dalla federazione come erede del leggendario Oscar Washington Tabarez in carica dal 2006 al 2021. Tabarez record-man di presenze sulla panchina della Celeste combatte dal 2016 contro una neuropatia degenerativa (sindrome di Guillain-Barrè) che lo ha costretto ad abdicare al suo trono.
CONCLUSIONE
Viene lecito chiedersi cosa potremo aspettarci. Leggendo delle esperienze passate di Marcelo Bielsa, prima di tutto, ci aspettiamo come primo step la creazione di un’identità e lo sviluppo di un senso di appartenenza nel cuore e nella mente dei suoi giocatori.
Lavoro psicologico e morale. Conoscendo gli uruguaiani penso che questo non sarà un obiettivo difficile da raggiungere. Tatticamente parlando invece con El Loco in panchina si è soliti ad assistere a difese alte, terzini che spingono sulle fasce ad altezze fuori dal normale, pressing asfissiante, trame offensive caratterizzate da “maglie larghe” e “movimento palla” rapido e preciso, perché “fino a che la palla ce l’abbiamo noi, gli altri non possono farci gol” e più veloce facciamo muovere il pallone, più l’avversario rischierà di perdere l’equilibrio tattico.
Poi magari ci si potrebbe aspettare il tradizionale (almeno per Bielsa) 1-3-3-1-3 con il quale iniziò la sua avventura con la nazionale cilena. Sicuramente ci saranno preparazioni e studi maniacali dei giocatori, delle partite, degli avversari, tutte cose che avrà già messo in atto da tempo, ancora prima di accettare l’incarico. Ricordiamoci che la sua è una vita dedicata allo studio del calcio che porta attraverso al sacrificio una serie di risultati irraggiungibili per la maggior parte dei tecnici. Tuttavia, penso che Marcelo Bielsa stupirà ancora tutti e ci farà scoprire un’altra volta qualcosa di nuovo a cui non avevamo pensato o che pensavamo non potesse funzionare.
Noi siamo con te Marcelo!
BIO: Matteo Cigna è nato a Genova, città nella quale ancora oggi vive, occupandosi quotidianamente di spedizioni marittime.
Le sue più grandi passioni sono il calcio e la scrittura, due mondi che lo portano a leggere e documentarsi costantemente su questo meraviglioso sport e sui personaggi che lo popolano. Tra il 2020 e il 2021 con grande umiltà ed entusiasmo ha fondato, con l’aiuto di un paio di amici, il blog e la relativa pagina Instagram ‘Sport-stories’, ma il progetto è poi “naufragato”.
Da buon marinaio non si è dato per vinto e dopo mesi di riflessioni e attese ha deciso di rimettersi in viaggio nell’immenso oceano del football.
“Scrivere per ‘La complessità del calcio’ sarà un piacere e un onore” [cit. Matteo Cigna]