800 MQ, LA CASA DEL FUTSAL: “IL COME, IL DOVE, IL QUANDO, SI APPRENDONO SOLO GIOCANDO”.

La casa del Futsal 40×20 ha 800mq, non abbastanza grande perchè la Cristoforetti possa pensare di fotografarla dalla spazio, ma possiede un’atmosfera elettrizzante che sposta il fuoco dell’attenzione da un lato all’altro del campo, portando con sé mille possibilità di meta, di segnatura, di rete, di goal.

La casa del Futsal ha due porte, se entri basta portare un paio di scarpini, la palla già c’è e l’allegria che ti dona giocare a Futsal ti garantirà un soggiorno indimenticabile.

La cosa importante è riuscire a capire la lingua che si parla in questo luogo, dove ogni vizio di forma può portare solo le mani, a bagnare la suola delle scarpe, per provocare quel tipico stridio sul parquet!

Con la suola si conduce, si porta la palla verso un porto sicuro, verso la porta avversaria, verso un compagno in posizione di sicurezza, in posizione per far gol, la suola del piede è la Regina, con la suola si riceve la palla e si passa anche! Ma potrebbe anche essere una puntata a risolvere tutto, un tiro con la punta del piede per prendere in controtempo il portiere. Così come la punta è la parte finale del piede, diviene l’ultimo strumento di una conclusione del processo metabolico del goal.

Il Futsal esiste nella distanza che va da una mente veloce ad un piede educato. Ecco, il piede che è la parte più laica del corpo, quella più distante da Dio, rappresenta realmente lo strumento che mostra al mondo la tecnica del giocatore di Futsal, le skills, le abilità.

Uno dei più grandi punti di disaccordo fra l’approccio tradizionale e quello ecologico all’acquisizione delle abilità, è quello che costituisce un fondamentale, un pezzo che si può allenare.

Immaginate quando il livello di espressione delle abilità si eleva all’ennesima potenza in un campo di 40×20, dove il tempo diventa un attimo e i momenti di esistenza del pensiero si annullano, dove i giocatori non hanno il tempo di maturare un’idea che andrebbe subito in decomposizione e devono lasciare che le loro skills emergano quasi istintivamente.

La metodologia di allenamento tradizionale e la psicologia cognitiva che gli da forma, considerano le abilità qualcosa che gli individui possiedono; l’azione.

Esse vivono nella memoria per essere recuperate e distribuite secondo necessità. Questa convinzione struttura e dà forma a come dovrebbe essere l’allenamento delle abilità: bisognerebbe provare l’azione, ripetere l’azione, per rendere l’azione una solida traccia di memoria a cui poter accedere in modo affidabile e rapido. Le azioni e le abilità quindi, vengono dall’interno.

Dal punto di vista ecologico, un’abilità non è semplicemente qualcosa che un individuo possiede. L’abilità è una relazione tra le capacità di una persona e le esigenze del compito. L’abilità quindi imposta non solo l’azione, ma l’intero ciclo percezione-azione.

Questo da forma a quello che pensiamo essere un buon allenamento delle skills. Ogni azione che facciamo è sempre parte di un ciclo percezione-azione, ed è quindi il ciclo che deve essere allenato. Quindi l’approccio ecologico mira ad una ripetizione del ciclo, non dell’azione singola.

Ci dicevamo che entrare in un 40×20 assomigliava ad entrare in un negozio cinese dove il bello è uscire con una camicia, un pacco di tortellini e un trapano, tutti nella stessa busta: un contromovimento, un tocco di suola, un controllo orientato, un goal su giocata d’angolo e un altro su manovra di squadra, un 1vs1 laterale, una carretilha, un giro da pivot, un goal su tiro del portiere.

Tutto nella stessa busta. Minuscola. Pensate a quanto significativo possa essere l’utilizzo di un “drill” (esercizio) isolato, senza che questo rientri, secondo l’analisi ecologica, in un ciclo percezione-azione.

Personalmente cerco sempre di far sapere che sono un fervente difensore del rinforzare la comunicazione e l’orientamento del giocatore provocando il suo INCOSCIENTE, fomentando forme diverse di relazione tra i giocatori, affinché cresca la consapevolezza che l’espressione delle abilità si incontra solo nell’intuizione del giocatore.

Partendo da una nitida capacità di accettazione dei limiti attuali del nostro funzionamento cerebrale cosciente, seguire le parole di Ruben Rossi, mi sembra l’unica soluzione efficace: “Il dove, il come e il quando, si apprendono solo giocando”.

BIO: Massimiliano Bellarte

Nato a Ruvo di Puglia il 30 novembre 1977, ha assunto la guida della Nazionale il 15 settembre 2020 dopo un’esperienza ventennale da tecnico sulle panchine di Ruvo, Modugno, Acqua e Sapone, con cui nel 2014 ha vinto una Coppa Italia e una Supercoppa italiana, e Real Rieti.

Nel 2017 ha guidato i belgi dell’Halle-Gooik, conquistando scudetto, Supercoppa di Belgio e Coppa del Benelux e venendo eletto dalla federazione belga miglior allenatore dell’anno. Per lui anche un’esperienza nel futsal femminile con il Salinis, suggellata dallo scudetto vinto nella stagione 2018/2019.

È anche il tecnico della Nazionale azzurra di futsal Under 19.

Massimiliano ha studiato lingue e parla inglese, portoghese, spagnolo e francese. Ha frequentato Sociologia all’ Universita’ La Sapienza di Roma.

8 risposte

  1. Articolo top. Originale e profondo…letto tutto d’un fiato mentre emergeva dallo spazio angusto del mio device. Complimenti

  2. Ho conosciuto Max il giorno prima dell’incontro della Nazionale con la Macedonia del Nord, a Catania. Io e alcuni allenatori siciliani abbiamo assistito all’allenamento e poi abbiamo avuto la fortuna di incontrare a tu per tu il Mister e il suo staff. Per noi allenatori dilettanti è stata un’occasione di crescita che, per fortuna, non ci siamo lasciati scappare. In quella sede Max consigliò di leggere un paio di libri, fra cui consiglio Auto-Organizzazioni (De Toni – Comello – Ioan). Io paragono Massimiliano Bellarte a Velasco, uomini di sport che potrebbero avere successo in tutti i campi.
    Gerino Sanfilippo (Palermo)

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