ALLENARE LE FRAGILITÀ.
“Due strade per combattere il lato cieco“.
Nel football americano quando si parla di blind side, ovvero di lato cieco, si parla di una zona oscura da cui potenzialmente potrebbero arrivare dei pericoli per il quarterback, che potrebbe subire un blitz, ossia un attacco fulmineo da parte dei linebaker, i difensori avversari che stanno sulla linea di Scrimmage.
Nella vita comune tutti noi nasciamo con un blind side, un lato meno forte che naturalmente tendiamo a proteggere o a utilizzare di meno.
Tutto ciò avviene da quando il nostro cervello decide di smettere di essere così democratico e avvantaggia una sua zona rispetto ad un’altra rendendoci più propensi verso un lato del nostro corpo rispetto ad un altro.
Da quel momento in poi conviviamo con la certificazione di avere un punto forte e una fragilità, “se voglio fare goal devo tirare con il mio infallibile sinistro” oppure “se la colpisco col destro sono sicuro che spedirò il pallone tra le nuvole!”.
La storia del calcio ci ha spesso raccontato di giocatori naturalmente portati ad usare di più un piede che, con il tempo, sono riusciti a riequilibrare questa asimmetria arrivando a sviluppare grandi capacità anche con l’altro piede.
Andreas Brehme, terzino tedesco dell’Inter dei record, e Paolo Maldini, componente della difesa imbattibile del Milan dominatore in Italia e nel mondo, hanno rappresentato perfettamente questo movimento contro natura in cui un atleta, con il duro lavoro e grazie al suo talento, è riuscito a riequilibrare ciò che madre natura aveva dato in maniera sbilanciata.
Il destino ha aggiunto ulteriori elementi che potessero accentuare le similitudini e le simmetrie tra questi due grandi campioni, perché entrambi giocarono a Milano ma schierandosi sui versanti calcistici opposti della città occupando, invece, la stessa posizione in campo, cosa che li metteva sui lati opposti dell’altro durante i derby.
I percorsi che li portarono ad occupare l’amatissima fascia sinistra furono però opposti, Paolo Maldini nacque destro ma il suo Milan aveva bisogno di un terzino sinistro e lui lavorò sul suo lato debole affinché potesse diventare quello forte, mentre Brehme fu agevolato dalla natura nascendo mancino e, perciò, dovette ringraziare lo scrupolo di suo padre che lo stimolò a lavorare sul suo piede destro dal padre al motto di “un piede solo non basta”.
Questo determinismo genetico, che ci costringe a convivere con l’etichetta di avere una parte forte e una più debole, sembra poi anche offrirci la libertà di decidere come gestire questa asimmetria.
Possiamo avallare questa decisione della natura e, magari, accentuarla disinvestendo sulla parte carente e credendo solo alla possibilità d’implementare il talento naturale, oppure ribellarci e riequilibrare con la dedizione al lavoro una distribuzione casuale, e perciò ingiusta, del talento.
Le carriere di Paolo Maldini e Andreas Brehme hanno avuto una sorprendente analogia anche nel modo in cui hanno brillato per titoli, etica, stile, non è mancato nulla.
In due momenti importanti della loro carriera, però, questa specularità dei loro percorsi troverà nuovamente degli incroci antitetici, in questo caso solamente causa degli esiti.
Durante gli europei tenutesi in Belgio e Olanda nel 2000 la nazionale italiana si trovò a giocare un incredibile semifinale con i padroni di casa dell’Olanda, che riuscì a superare aggrappandosi a tutto l’arsenale della nostra tradizione calcistica, dalla sofferenza al sacrificio, passando per la strategia per arrivare al successo.
La partita si concluse ai rigori e Maldini, capitano di quella squadra, non esitò nell’offrirsi per tirarne uno, salvo poi interrogarsi su qualcosa che tutti gli altri giocatori davano per scontato…con quale piede calciarlo!
In quei pochi minuti dovette decidere se fidarsi dell’innato o del costruito, del talento o del lavoro, della fatica o della naturalezza.
Paolo arrivò sul dischetto, prese in mano il pallone giochicchiandoci e poi si posizionò sul suo lato destro, favorendo il calcio del suo piede sinistro…si fidò del suo lavoro, di ciò che aveva costruito in tutti quegli anni di sacrificio.
Calciò incrociando il tiro e Van Der Saar lo parò a mezza altezza, uscendo così da un sortilegio in cui lo aveva cacciato il “cucchiaio” subito poco prima da Francesco Totti.
Per Maldini i giorni dell’oratorio in cui controllava, passava, calciava il pallone solo col destro probabilmente in quell’istante apparvero troppo lontani, meno concreti e affidabili del lavoro quotidiano sul campo che lo avevano portato ad abbattere qualsiasi limite e che lo porteranno anche a cambiare di ruolo in un finale di carriera che avrà del mitologico.
Andy Brehme nel 1990 giocherà invece una finale del campionato del mondo in Italia, allo stadio Olimpico di Roma, affrontando i campioni in carica dell’Argentina capitanata dal suo eroe Diego Armando Maradona.
In realtà “El pibe” in quella manifestazione aveva offerto solamente alcuni bagliori delle incredibili giocate espresse quattro anni prima al mondiale messicano e il vero eroe della Selecion era diventato il portiere di riserva, Goicoechea, divenuto titolare dopo l’infortunio alla prima partita del titolare Neri Pumpido.
Anni dopo “El Basco” avrebbe continuato a vivere del riverbero di quei rigori parati contro Jugosavia e Italia costruendo una vera e propria teoria infallibile per neutralizzare i penalty (sorprendentemente simile all’acqua calda e alla sua scoperta…) secondo cui solo quelli calciati rasoterra entro i 10 cm dal palo sarebbero imparabile mentre tutti gli altri no.
Quella notte Andreas Brehme sicuramente non aveva famigliarità con questa teoria ma conosceva benissimo la pratica con cui aveva rieducato il suo piede debole, quel destro che mandò il pallone entro i 10 cm dal palo alla destra del portiere che arrivò però vicinissimo…garantendosi così di poter avvalorare ad libitum il suo assioma.
Andy si ricordò dell’importanza degli insegnamenti paterni che, in quel preciso istante, perforarono anni di professionismo e di sicurezze costruite nel tempo per arrivare diritto ad un cuore che batteva più forte del suono dei pensieri.
Due campioni che sono riusciti a rendersi completi, che hanno potuto guardare la propria vita sportiva da ambo i lati, per i quali la linea laterale del campo non ha potuto rappresentare un limite ma una possibilità.
Il fatto che il loro destino in quelle due serate abbia avuto un esito sportivo opposto ha poca rilevanza, perché se Brehme avesse sbagliato il rigore nessuno avrebbe potuto dire nulla a chi si era sostituito al tiratore designato, entrato invece con sicurezza in un ruolo che sembrava naturalmente suo.
E pensiamo che qualcuno possa aver detto qualcosa a Maldini dopo quell’errore?
Siamo sicuri nel rispondere no perché immaginiamo che prima di criticarlo qualsiasi persona dovrebbe prendersi tantissimo tempo per ringraziarlo per come abbia dato splendore a questo sport.
BIO: Davide Bellini
- Sono nato a Sanremo nel 1973 e vivo a Ospedaletti con mia moglie Yerlandys e i nostri due figli, Filippo e Santiago.
- Dopo la maturità classica al Cassini di Sanremo, in mancanza di alternative significative, mi iscrivo alla statale di Milano, facoltà di lingue. Galleggio per un quadriennio (in realtà è stata piuttosto un’apnea!) mentre nel frattempo la mia passione per la musica spazza via tutto e mi porta e mettere su una band di glam rock (idea geniale da avere a metà anni 90 mentre il mondo è incantato dal Grunge!). Il tempo e il talento non dirompente (diciamola così per salvaguardare l’autostima…) mi hanno aiutato a capire che il sogno della rockstar sarebbe rimasto tale. In nome di quel sogno ho passato 8 mesi a Londra e in quel periodo ho recuperato l’amore per la lettura, in particolare per la psicologia e la filosofia. Dai sogni infranti rinasce la voglia di studiare e d’iscrivermi alla facoltà di psicologia a Pavia dove mi laureo con una tesi sulla delfino terapia applicata all’autismo. Inizio a lavorare nelle scuole all’interno degli sportelli di ascolto e in centri di aggregazione giovanile. In seguito, per 5 anni, ricopro il ruolo di vice direttore di una comunità educativa per minori. Col tempo mi specializzo in psicoterapia a orientamento sistemico-relazionale. Riesco a mescolare la mia passione per lo sport con la mia professione conseguendo un master in psicologia dello sport. Dal 2011 mi dedico esclusivamente all’attività privata di libero professionista come psicologo psicoterapeuta.
3 risposte
Bellissimo articolo, che ci fa ricordare due campioni indiscussi della fascia laterale sinistra.
Il passo in cui viene ricordato l’insegnamento paterno mi fa venire in mente il mio impegno e la mia costanza nel ripetere a mio figlio di 13 anni (mancino che gioca laterale sinistro) quanto sia importante allenare entrambi i piedi …
Grazie mille Andrea per i complimenti!
In effetti a noi genitori, spesso, spettano i compiti di “manovalanza educativa che, però, danno nel tempo soddisfazioni eterne!
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