IL CALCIO RACCONTATO DALLE DONNE.

L’esplosione del calcio femminie giocato, la passione per la sua nazionale impegnata ai mondiali, l’aumento massiccio, registrato dalle indagini demoscopiche, delle italiane che seguono attivamente il football allo stadio e in TV,  non potevano non generare un significativo contributo portato dalla donna alla letteratura su questo gioco.

Di una tale nuova linea letteraria è stata una rappresentante originale Donatella Evangelista, autrice di Tifosa e basta. C’era una volta (Sedizioni, 2008). Anzi, una milanista e basta. Una bambina, una ragazza e infine una giovane madre, incapace di pensarsi e crescere senza Milan.

Quell’ideologia “rossa e nera” del “dì di festa”, ma replicabile per ogni colore del pallone, che solo dei triti luoghi comuni hanno continuato a ritenere un recinto sacro unicamente maschile. Una residua koinè del maschio e della sua civiltà tribale. Eccone una prova a contrario citando la nostra, carissima Donatella:

Aridateme il mio Milan. Già che ci siamo, aridateme anche la nebbia. Vuoi vedere che continuerò ad andare allo stadio COMUNQUE? Per non trasformarmi nel mostro del rettilineo, nel mostro della nazionale, per non diventare la tifosa davanti alla TV sul divano. Per l’abitudine che non voglio abbandonare. “Abitudine” non è una parolaccia. Per la bandiera che nacque con me. Non può morire, quella bandiera. La bandiera non si adegua ai tempi. La bandiera è una sola. La bandiera, c’è. Perché il tempo, come sempre e ovunque aiuta, lenisce gli strappi. Perché non riesco a farne a meno. Perché a Dodo piace andare allo stadio a prescindere. Perché a Berto, Ali, Dodo piace vedere gli amici allo stadio. Perché è triste stare a casa quando c’è la partita a San Siro. Perché non riesco ad abolire il Milan.

E’ qualcosa di cui non riesco a fare a meno? Teniamoci quel che rimane, barcameniamoci stancamente tra età, altre priorità, ombre, incertezze e storie come quella della Fossa… Come rispondo a chi chiede? Non è più la stessa cosa. Rispondo così. Tranci di Milan sopravvivono, impennandosi nelle grandi occasioni e vegetando nella continuità. E il tempo racconterà il futuro.

Come dimostrato dalla Evangelista quei pregiudizi sulle donne lontane, refrattarie al calcio sono falsi e ormai datati. Esiste, e si fa sentire da tempo, una passione e una scrittura calcistica sempre più femminile come testimoniano anche Cristina Grober, Giuliana Olivero, Mariella Caporale, Emanuela Audisio, Elisa Davoglio, Deborah Brizzi, Melania Mazzucco, Federica Seneghini. Per menzionare qui solo le più note.

Nei confronti della Grober si è debitori di Cuore a 90° (Campanotto, 1995): la prima opera sul tifo – ancor prima dell’Evangelista – uscita da una penna femminile. Gavino, il protagonista, è giornalista e nel contempo un poeta che insegue il tempo perduto, i suoi sogni, sugli spalti, immergendosi nell’effervescenza collettiva delle folle domenicali. Il tutto sembrerebbe allontanarci dal tema, senonchè  la Grober dedica espressamente una ventina di interessanti pagine all’essere donna e “ultrà”. Al suo abbattere i “tabù” anche nel calcio.

Passando all’Olivero, suo è l’intenso Il calcio di Grazia (Baldini Castoldi Dalai editore, 2004). Un’analisi critica che mette a nudo la mediocrità umana del cosiddetto star system calcistico. Ovvero il tifo per il campione che diventa totale e patologica identificazione. Amore cieco che idoleggia e si lascia usare, senza nulla di buono e reale in cambio.

Il volo del portiere (Limina, 2004) della Caporale, affronta lo spaesamento di chi, per inseguire le chimere del pallone, è sradicato dalla propria realtà e viene a contatto con luoghi e stili di vita che gli sono totalmente sconosciuti e difficili da metabolizzare senza uscirne cambiati o corrotti. Racconta di giovani alla ricerca spasmodica del successo con la sensibilità d’una donna capace di calarsi in un mondo, quello del calcio, spesso profondamente machista.

Emanuela Audisio, firma superiore per competenza e cifra stilistica a molti suoi colleghi maschi, è un marchio di garanzia che non abbisogna di particolari presentazioni. Tant’è, la nostra miglior giornalista sportiva con Bambini infiniti. Storie di campioni che hanno giocato con la vita (Mondadori, 2003) e Il ventre di Maradona. Storie di campioni che hanno prestato il corpo allo sport (Mondadori, 2006) conferma in qual misura un semplice articolo di giornale possa elevarsi – alla Gianni Brera o alla Gianni Mura – ad alta letteratura.

Nel primo dei due volumi vi ritrae Diego Armando Maradona, Roberto Baggio, Makar Goncharenko, Socrates, il Ronaldo del’Inter, Christian Vieri; nel secondo George Best, David Beckam, Gianfranco Zigoni, Cristiano Lucarelli, Renato Cesarini, Pelè, Kakà, Zlatan Ibrahimovic, Lilian Thuram, Francesco Totti e nuovamente el pibe de oro Maradona. Un cast eccezionale e tanti splendidi primi piani come questo aperto con un incipit scintillante:Yesterday.

Capelli lunghi, basette folte, sguardo penetrante. I pugni stretti intorno ai polsini della maglia rossa portata fuori dai calzoncini, il gesto di chi non vuole lasciare scappare l’infanzia. Diventare grandi, ma senza crescere. Con gli occhi azzurri da bambino. Era un’ala, sempre. Fuori e dentro il campo, George Best, L’uomo che scambiò gli avversari per fili d’erba. Dribbling, fantasia, divertimento, imprevedibilità. Un brasiliano travestito da irlandese. Faccia da Carnaby Street, vestiti da Swinging London. Il successo a 22 anni, l’inizio della fine. La rivoluzione che va in campo, col sorriso sulle labbra, la voglia di prendersi in giro e buttarla dentro. Al you need is love. Il primo ad aprire la boutique e a vendere il suo stile. Dalla sua aveva ogni cosa, dal nome al tempo. Pallone d’oro nel 1968, il suo anno migliore, quello che cambiò i costumi del secolo. Lui vinse la Coppa dei Campioni con il Manchester United e fu nominato miglior calciatore europeo. Dicevano fosse il quinto Beatles, oggi potrebbe essere il quinto Oasis senza problemi. Una popstar, la prima del calcio. Fama, gloria, fan. The Best, appunto: il migliore. Poi, l’alcol, il carcere, le squadre del Nordamerica, il declino. The Beast, alla fine: l’animale.

Un poeta-calciatore maledetto, che solo l’Audisio, in pochi tocchi, poteva rendere con questa bellezza. Dunque, è assodato, le donne vanno allo stadio, con i loro corpi e con l’immaginazione, seguono, si appassionano e raccontano il football non più unicamente per compiacere fidanzati o mariti.

Di una simile comunità di sorelle che hanno ripudiato Rita Pavone, è una componente viva Elisa Davolio. La quale, col suo punto di vista femminile e femminista, porta un importante arricchimento alla comprensione delle curve del calcio. Aiuta a capirne meglio tutta l’irrazionalità, che supera i diaframmi del genere. Con Onore ai diffidati (Mondadori, 2008) s’incunea nella Sud del Milan, fra la leggendaria “Fossa dei Leoni”, e coglie letterariamente la funzione che questi luoghi d’una socialità border line hanno acquisito nel conferire un minimo di identità a quanti sono rimasti orfani di qualsivoglia valore, credenza, ideologia. Una scrittrice di vaglia, la Davolio, che per tematiche e ambientazioni è apparentabile alla prima Silvia Avallone di Acciaio.

Non distante dall’universo turbolento delle curve agisce pure Norma Gigli, poliziotta tifosa sfegatata dell’Inter, amante del jazz e sostanzialmente anarchica: la protagonista di Ancora notte (Rizzoli, 2014). A darle forma Deborah Brizzi, che confeziona un efficace thriller con i materiali tratti dalla sua vita quotidiana, dal suo lavoro di agente delle volanti. Eccellente è anche il contributo, ospitato nell’antologia curata da Tommaso Pellizzari 11 scrittori italiani raccontano il mito della nazionale (Rizzoli, 2006) di Melania Mazzucco. Certamente uno dei brani più felici, e cioè la storia toccante di una nipote che, solo alla sua morte, scopre quanto la nonna amasse il calcio:

La filippina – scrive la Mazzucco – raccontò di nuovo della loro ultima sera  quando era scesa a comprare la pizza e le birre, e avevano visto la partita. Erano venuti anche i bambini, che di solito vivevano da una sua sorella. Ma qualche volta, confidò Charito, restavano qui. La signora B. gli era affezionata. Davvero? Chiese la studentessa, stupita. E cosa facevano? Guardavano insieme la televisione. La nipote sentì un amaro morso di gelosia al pensiero che la signora B. aveva trascorso gli ultimi anni a guardare la televisione coi figli della signora filippina, mentre non le aveva mai chiesto di vedere la televisione con lei. Ma forse queste cose non si chiedono, si fanno e basta. Una storia delicata e struggente, di vecchiaia, solitudine e lotta alla solitudine, di integrazione riletta alla luce del calcio.

Infine buon’ultima Federica Seneghini col suo Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il duce (Solferino, 2020). Il maggior merito della Seneghini, col suo volume che coniuga efficacemente verve narrativa e scrupolo storico, è quello di aver impedito che la damnatio memoriae cancellasse il primo, pionieristico esperimento di calcio femminile in Italia.

La vicenda di quelle ragazze milanesi che nella primavera del 1933 sfidando inveterati stereotipi maschilisti, il comune senso del pudore, la morale corrente cercarono d’affermare la loro voglia di fare calcio. Giocare come i maschi al pallone. Sulla stampa d’allora si poteva leggere: <<Se c’è uno sport che la donna non dovrebbe praticare, esso è proprio il giuoco del calcio>>.

Un altolà a cui le “giovinette” riscoperte dalla Seneghini intesero ribellarsi col coraggio e la determinazione che in ogni campo, non solo quelli verdi del football, è tipico di quella che una volta si definiva “l’altra metà del cielo”.              

BIO: Sergio Giuntini, vice-presidente della Società Italiana di Storia dello sport, ha insegnato presso le Università di Verona, Milano Statale e Cattolica, Roma Tor Vergata. Tra i suoi più recenti saggi: “Storia critica del Milan 1899-2019” (Sedizioni, 2021); “Vincenzo Torriani e l’Italia del Giro” (Prospero Editore, 2021); “Storia dello sport femminile in Italia 1945-2020” (Aracne Editrice, 2021); “Lo sport imbroglione. Storia del doping da Dorando Pietri ad Alex Schwarzer” (Ediciclo, 2022). 

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