TRAIETTORIE DI CARRIERA E UNA PROSPETTIVA PER UMANIZZARE IL CALCIO. 4^ E ULTIMA PARTE.

Caterina Gozzoli, Chiara D’Angelo ed Edgardo Zanoli, docenti a diverso titolo presso l’Alta scuola di Psicologia Agostino Gemelli-Università Cattolica di Milano, hanno partecipato alla stesura del libro in copertina “HUMANIZAR EL FÚTBOL – Deporte y Trasformacion Social”, scrivendo un capitolo che presentiamo in questo blog suddiviso in quattro parti. Il libro non è ancora stato tradotto in lingua italiana.

UNA RICERCA SUL FINE CARRIERA.

Un’altra ricerca che ci sembra interessante richiamare in questa sede aveva l’obiettivo di comprendere meglio che cosa rappresenti e cosa significhi, per atleti professionisti, concludere la propria carriera sportiva. (cfr. D’Angelo C., Reverberi E., Gazzaroli D., Gozzoli, C. 2017).
Abbiamo selezionato a tale scopo 14 ex calciatori, che hanno giocato al livello più alto del campionato italiano; si è indagato come hanno vissuto le transizioni e la conclusione del loro percorso da professionisti, a partire dall’ipotesi che l’interruzione della carriera sportiva sia un momento denso e rivelativo, fondamentale per indagare il processo di umanizzazione. Utilizzando un approccio fenomenologico-interpretativo, abbiamo sviluppato un’intervista semi-strutturata per indagare il momento del ritiro dei calciatori.

Questo tipo di approccio è stato scelto in virtù della capacità di valorizzare l’esperienza soggettiva dei partecipanti, considerati esperti dei loro mondi. Inoltre, tale approccio consente di dare ampio spazio alla dimensione emotiva, alle rappresentazioni simboliche dei partecipanti, creando con il ricercatore una narrazione libera e personale.

Tuttavia, la traccia utilizzata includeva domande specifiche, finalizzate a cogliere gli elementi caratterizzanti il processo di ritiro della carriera. I risultati emergenti dall’analisi indicano che la maggior parte degli ex calciatori presi in esame ha riferito di non pensare e non parlare del proprio fine carriera, rivelando di non essere riusciti a pianificarne la conclusione.

Non ne parlavano nemmeno tra loro, con il proprio allenatore o con nessun’altro, perché il ritiro dall’attività è vissuto nel segno della conclusione, come un simbolo di morte: la fine della carriera coincide con la perdita di un’identità atletica totalizzante. Questi calciatori, infatti, si sono dimostrati completamente identificati nella propria professione, per tale ragione non era possibile per loro pensare alla conclusione di questa, che corrisponde simbolicamente alla conclusione di sé.

Le transizioni che gli atleti attraversano nel corso della propria carriera sono molteplici, alcune più studiate in letteratura (per esempio l’evoluzione di carriera da junior a senior, l’infortunio…) altre meno approfondite (come il cambio dell’allenatore, i trasferimenti, le transizioni di tipo familiare…). Esistono inoltre delle differenze significative tra un ritiro volontario e uno involontario: gli ex giocatori che hanno avuto un ritiro involontario riferiscono principalmente emozioni negative, come nostalgia, depressione, tristezza e confusione sul loro ruolo. Coloro che hanno interrotto la loro carriera con un ritiro volontario sperimentano invece conforto, liberazione e descrivono il passaggio come qualcosa di naturale e graduale.

Infine, il sostegno sociale, da parte di colleghi atleti e non, sembra mitigare le emozioni negative correlate al ritiro. In particolare, la famiglia riveste un ruolo di sostegno fondamentale in queste delicate transizioni, si riscontra invece una mancanza totale di supporto sociale da parte dei club. Anche questa ricerca ci consente di mettere in evidenza fattori protettivi nel processo di fine carriera dei calciatori, fattori di umanizzazione su cui è importante impostare progetti e percorsi di accompagnamento psicologico per gli atleti.

POSSIBILITA’ PLURALI: PROGRAMMI DUAL CAREER

Un’ulteriore riflessione, connessa al tema del ritiro e dell’identità atletica, riguarda il concetto di dual- career, ossia la possibilità di conciliare un percorso sportivo di alto livello con il perseguimento di obiettivi formativi e lavorativi. Per tutelare questa possibilità e legittimarne sviluppi ed iniziative ad essa correlate si è assistito nel contesto italiano ad un impegno normativo, atto a riconoscere lo status dello studente-atleta.
Nel triennio 2015-2018, con il Decreto n. 935 del Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (dicembre 2015), sono state sperimentate soluzioni didattiche ad hoc finalizzate ad individuare azioni mirate a fornire supporti didattici alle istituzioni scolastiche che vedono, tra i propri iscritti, studenti impegnati in attività sportive di natura agonistica, aprendo così nuove traiettorie di collaborazione e sinergia tra agenzie formative.

Il Ministero dell’Istruzione ha promosso alcuni progetti finalizzati ad agevolare e promuovere la possibilità di sviluppare una doppia carriera, soprattutto per i calciatori, lasciando ai singoli istituti pubblici la gestione autonoma degli studenti- atleti.

Alcuni club privati hanno invece istituito una scuola paritaria adiacente ai campi di allenamento e agli alloggi dei calciatori, così da facilitare da un punto di vista logistico gli atleti, stabilendo orari di lezione ed allenamento su misura per le loro esigenze.

Altri studenti-atleti invece, usufruiscono di convenzioni con scuole pubbliche che si avvalgono di tutor di doppia carriera che lavorano in maniera integrata con gli allenatori, aiutandoli così a conciliare i due percorsi.

Questa opzione garantisce la possibilità di avere un percorso di studio personalizzato e di avviare nuove relazioni amicali, diverse da quelle che si possiedono nel mondo dello sport. Ogni progetto educativo di un atleta con una scuola diventa occasione di contaminazione tra il mondo dello sport e dell’istruzione, crea una nuova cultura della cooperazione, attivando percorsi di incontro e sinergia che trovano unità nel profilo dell’atleta- studente.

Le società sportive dovrebbero disporsi autenticamente a costruire opportunità di apprendimento, aspirando alla formazione globale della persona e incoraggiando gli atleti a trasferire ed accrescere le competenze acquisite attraverso lo sport in altri contesti.

La pratica agonistica dell’attività sportiva richiede dedizione costante, concentrazione, alto coinvolgimento fisico, emotivo, cognitivo, influenzando lo sviluppo identitario e relazionale dell’atleta, che rischia di coltivare la propria dimensione sportiva come unica dimensione di sé.

Tale unidimensionalità rappresenta un rischio, considerando l’imprevedibilità e l’incertezza che caratterizzano la carriera dell’atleta professionista. Si pensi all’interruzione della carriera a causa di infortuni, scelte imposte dai club, limiti di età.

È evidente che se la dimensione atletica rappresenta l’unica dimensione coltivata, sarà difficile, se non traumatico, ritracciare un’idea di sé soddisfacente e coerente alle proprie aspirazioni. Il processo di ricostruzione identitaria dopo il fine carriera si rende possibile solo se, accanto alla dimensione atletica, lo sportivo ha avuto modo di dedicarsi anche ad altre dimensioni di sé, di vestire altri ruoli, autentici e non solo riparativi in caso di fallimento, abilità ed esperienze spendibili in contesti molteplici, così da facilitare processi di riqualificazione della propria identità.

In questo processo protettivo giocano un ruolo fondamentale le famiglie, gli istituti scolastici, i club sportivi, che devono operare con responsabilità, perseguendo l’interesse dell’atleta.

Si rivelano utili a questo scopo le figure di sostegno e coordinamento di queste diverse parti della vita dell’atleta, per esempio il tutor di dual-career. Questo ruolo concerne l’armonizzare le relazioni fra le parti, equilibrandone l’apporto a seconda del profilo dello studente-atleta, mediando per esempio sui tempi di frequenza scolastica, monitorando i rendimenti scolastici, avviando relazioni di valore con i docenti. Questa figura è particolarmente utile se lo studente-atleta si avvale di convenzioni scolastiche o nel caso in cui sport e istruzione sono fisicamente distanti fra loro.

Se invece lo studente-atleta frequenta un club privato, che oltre all’attività sportiva si occupa anche della sua istruzione, è importante che vi sia un referente che tuteli il diritto dell’atleta alla partecipazione ad un’istruzione di qualità. Il referente può quindi individuare il percorso scolastico più adeguato all’atleta, monitorare il suo rendimento ed offrire supporto nello studio e nella programmazione della carriera di studente, specie nei momenti critici.

I risultati delle ricerche sulla formazione degli atleti nelle università hanno dimostrato l’importanza dell’orientamento e del tutoraggio come elementi decisivi per la possibilità di intraprendere una doppia carriera, equilibrando istruzione, sport, sviluppo identitario, relazionale e sociale.

Anche ne passaggio agli studi universitari il percorso di dual career è altrettanto importante. L’Università Cattolica nel 2018 ha avviato un servizio di dual-career per tutti gli studenti-atleti (che praticano più di 22 sport diversi), creando un servizio di tutoring gestito da due psicologi dello sport, che offrono supporto nella pianificazione degli esami e facilitano la comunicazione con i professori. Il servizio di tutoring comprende quattro colloqui personali durante l’anno accademico, che si svolgono all’inizio del programma con funzione conoscitivo-esplorativa e in concomitanza delle sessioni d’esame con funzione di tracciamento e organizzazione accademica e sportiva.

Oltre a questa tipologia di incontro formale con gli studenti sono previsti anche altri momenti dedicati a necessità personali, colloqui straordinari per esigenze specifiche, informazioni su bandi dedicati ai loro profili.

La maggior parte degli studenti-atleti che svolgono il primo colloquio spesso ammettono di non sapere quale facoltà vorranno frequentare e faticano a impegnarsi nella progettazione a lungo termine, poiché gli impegni sportivi non sono calendarizzati con ampio anticipo, possono essere imprevisti e prevedere trasferte. La gestione del tempo è infatti un tema centrale, abbiamo assistito a casi in cui un allenatore non ha permesso ad un atleta di sostenere la prova di accesso all’università.

La riflessione in proposito si focalizza sulla difficoltà nell’organizzare una vita gestita ampiamente da allenatori e dirigenti, che considerano l’impegno accademico subordinato a quello sportivo, da perseguire in momenti non dedicati allenamento. Questo processo è riconducibile alla disumanizzazione, perché impedisce ai giovani sportivi di esprimere e coltivare pienamente i loro desideri personali, per esempio la volontà di condurre un percorso di vita in cui è possibile dedicarsi sia allo sport sia alla propria istruzione, parallelamente.

In Italia, non è sempre facile trovare una cultura che possa ammettere questa duplicità e che la consideri un valore aggiunto per tutte le parti in gioco. L’impegno che dedichiamo all’umanizzazione passa attraverso ciò che facciamo con gli atleti di giorno in giorno. È fondamentale un lavoro integrato, finalizzato a creare momenti di valutazione strutturati e dedicato all’ascolto dei desideri degli atleti. Allo stato dell’arte emerge con forza la necessità di figure che sostengano e che lavorino in sinergia con lo staff tecnico, mosse dal desiderio di conciliazione, valorizzazione ed umanizzazione dei percorsi di vita degli studenti-atleti.

La figura dello psicologo dello sport si colloca in questo scenario come promotore di una prospettiva di benessere psicologico, un facilitatore dello scambio informativo e di competenze tra le parti in gioco, stimolando la generazione di una cultura integrata, non escludente, in una logica che si emancipa dal discorso aut-aut, per approdare a una logica win- win tra le diverse agenzie formative. Questo significa per noi tutelare e prenderci cura dei processi umani nel mondo dello sport.

Infine …
Il calcio riproduce al suo interno talvolta amplificando dinamiche e fenomeni osservabili anche nel più esteso campo sociale, ma è allo stesso tempo un “osservato speciale”… sa catalizzare una fortissima attenzione sociale.

Per questo provare ad umanizzarlo è anche una buona occasione per contribuire alla società in cui viviamo.

BIO: Caterina Gozzoli

Coordinatrice del Dottorato internazionale in scienze dell’esercizio fisico

e dello sport.

Direttrice del Master sport e intervento sociale.

Professoressa Facolta’ di Psicologia Universita’ Cattolica.

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