Andai a intervistarlo in un bar del centro, poche settimane dopo il suo arrivo al Milan nel 2001.
Kakhaber Kaladze parlava già un poco di italiano, ma ce la cavammo in inglese. Finita la chiacchierata mi chiese: “Ceniamo insieme?”.
Sorprendente per un giornalista e un calciatore appena conosciuti: non ricordo mi fosse mai capitato prima né sarebbe accaduto in seguito. Così iniziò un’amicizia lunga e profonda, le prime volte a cena con la sua ex compagna la quale aveva un figlio di pochi anni: stavano molto in silenzio, dovevo animare io la conversazione. Prese confidenza rapidamente con la nostra lingua, dopo di che Kala parlava di tutto: di calcio, di politica, di progetti soprattutto.
Era diventato arguto e ironico, prendeva in giro sé stesso e gli interlocutori, ancora oggi usa spesso metafore e doppi sensi sempre con mirata dialettica. Meglio di un italiano puro. Mi coinvolse quando fondò l’associazione benefica “Kala Foundation” in Italia e mi invitò a Tbilisi quando aprì la Fondazione anche nella sua terra, la Georgia. Mi invitò altre 2 volte nella capitale della sua Nazione: l’11 ottobre del 2006 per Georgia-Italia, qualificazioni europee, e il 31 maggio del 2013 per la sua partita di addio. Ogni volta che atterravo a Tbilisi, una volta con il collega Alessandro Alciato e sempre accompagnati dal fido Lorenzo Cipriani che lavorava per Kaladze, venivano regolarmente a prendermi sulla pista dell’aeroporto di Tbilisi due guardie del corpo, sottobordo con un SUV dai vetri oscurati che partiva a tutta velocità e sfrecciava per la capitale fino in albergo.
La prima volta, una delle guardie mi seguì alla reception e poi fino alla porta della camera. Aveva il calcio di una grossa pistola che sbucava dalla cintura dei calzoni. Non parlava inglese e non ci capivamo. Lo guardai: “E adesso che facciamo?” Lui capì e mi fece segno con la mano che sarebbe entrato in camera con me. “Luko”, mi chiamava. “No, amico, non se ne parla”, scossi la testa. Brontolò e mi fece intendere che mi avrebbe atteso alla reception. Erano le due guardie del corpo che, abitualmente, sorvegliavano l’abitazione dei genitori di Kala dopo il rapimento del fratello Levan, avvenuto nel 2001.
Ero con lui e con Lorenzo Cipriani in un bar di Milano, nel 2006, quando lo chiamò un funzionario dell’Interpol dicendo che avevano arrestato i rapitori di suo fratello. Si scoprì che Levan, avendo riconosciuto uno di loro subito dopo essere stato fatto prigioniero, fu ucciso già pochi giorni dopo il rapimento, ma il suo corpo fu ritrovato solo 5 anni dopo. Non c’erano motivazioni politiche, si scoprì, ma solo economiche: Kala aveva dovuto pagare diversi informatori fasulli, nel frattempo, ma non ebbe alcun risultato fino a che si era arreso. Aveva imposto a sua mamma e a suo papà, da allora, di avere sempre una sorveglianza e una scorta.
Aveva sempre manifestato il suo amore per la Patria, per la sua terra, dove aveva iniziato anche un’attività imprenditoriale (un hotel sul Mar Nero, a Batumi, un altro hotel a Kiev, un ristorante a Milano, un’area edificabile a Tbilisi).
Lasciò il calcio un anno prima della scadenza contrattuale con il Genoa, nel 2012, lasciando sul piatto più di un milione di euro pur di intraprendere la carriera politica in Georgia: vince le elezioni con il partito “Sogno georgiano” fondato dal miliardario Bidzina Ivanishvili, che diventa premier nominando vice Kaladze, al quale affida anche il Ministero dell’energia e delle risorse naturali.
Nel 2017 viene eletto sindaco di Tbilisi, carica che ricopre ancora. In Georgia sono tutti convinti che un giorno sarà lui il Presidente. Ricorderò per sempre quella mattina ai primi di agosto 2008.
Eravamo partiti da Malpensa all’alba con un charter del Milan che andava a giocare – la sera stessa – un’amichevole a Manchester contro il City, per rientrare la notte dopo il match. Arrivammo nell’hotel inglese prestissimo. Mentre sistemavo il bagaglio in camera, accesi la tv sul canale della CNN che annunciava lo scoppio della guerra in Georgia. Chiamai la concierge e mi feci passare Kaladze (la squadra alloggiava nello stesso albergo): “Lo so, lo so”, mi disse agitato. “E’ stata una follia: il nostro piccolo Stato è assediato da tempo dai russi, ai quali Nato e Onu hanno intimato di non entrare, ma a sparare il primo colpo siamo stati noi! E’ una follia… Una follia. Ma durerà pochissimo: le forze sono del tutto impari”.
Fu buon analista: dopo qualche giorno fu ordinato il cessate il fuoco e già a fine mese vennero stabiliti degli accordi (a seguito dei quali peraltro la Georgia interruppe i rapporti diplomatici con la Russia).
Nel frattempo Kaladze aveva vissuto ancora giorni di angoscia e di terrore, per i genitori, i parenti e i moltissimi amici che aveva sotto le bombe e i proiettili. Avendo uno spiccato senso della famiglia, ne ha creata una bellissima con la splendida moglie Anuki dalla quale ha avuto 3 figli. Non dimenticherò mai che, da fidanzati, decisero di festeggiare insieme il Capodanno in Liguria ed essendo lui affezionato a mia mamma e mia sorella, che vivevano a Levanto, le invitò e trascorsero la serata insieme.
Uomo apparentemente ruvido e invece dolcissimo come la conformazione della sua terra, Kala è una persona dai sentimenti e dagli affetti spontanei, sinceri, duraturi, a patto di non tradirne mai la fiducia. Roman Abramovich e Shevchenko stavano per convincerlo ad andare al Chelsea, nel 2006, ma Ancelotti lo trattenne consentendogli di vincere ancora in rossonero. Giocatore mancino potente e duttile, prima terzino sinistro poi difensore centrale (ruolo in cui peraltro aveva iniziato la carriera), Kakha ha vinto tutto in carriera: scudetti a Tbilisi, Kiev (dove era diventato amico fraterno del compagno di squadra Andry Shevchenko) e Milano, dove conquistò anche 2 Champions, una Supercoppa europea, un Mondiale per Club e una Coppa Italia.
Ci siamo rivisti in straordinaria diretta Instagram nel 2020 durante il lockdown, mentre in tuta gialla accompagnava i mezzi di sanificazione per le vie di Tbilisi, e poi dal vivo lo scorso anno in una cena a Milano con Paolo Maldini e Marco Borriello. Orgogliosi di non chiamarlo più Kala, ma presidente, sapendo che un giorno, non lontano, lo diventerà.
BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.
2 risposte
Grazie Luca per il bellissimo articolo. Che ricordi !!
Bellissimo articolo Luca di un Uomo con U maiuscola . La bellezzza del calcio fa conoscere ancora di piu’ non solo ottimi gioacatori ma uomini che dietro loro si nascondono grandi doti umane.
Grazie ancora Luca !