Ha appena compiuto 80 anni, Ottavio Bianchi, nato nell’ottobre del 1943. Quand’ero bambino mi divenne simpatico dalla sua prima figurina Panini che ebbi tra le mani: erano i primi anni Settanta, Bianchi aveva quindi una trentina d’anni. Eppure senza capelli, un po’ sgraziato, con un’espressione truce anche nel sorriso di quell’immagine, ne dimostrava una decina in più.
Leggevo già “La Gazzetta” in tram la mattina presto, attraversando Milano per andare a scuola: la rosea costava 70 lire e l’edicolante mi trattava come suo figlio, commosso dal fatto che all’alba fossi ogni giorno tra i primi clienti. La settimana che precedeva la 3^ giornata di campionato 1972-73, che si sarebbe giocata domenica 15 ottobre, era in programma Milan-Atalanta e un articolo riportava le difficoltà della squadra bergamasca: si sarebbe presentata a San Siro priva dei suoi due uomini migliori, l’attaccante Pellizzaro e il regista di centrocampo Bianchi. Quella partita avrebbe stabilito il record (tuttora imbattuto) di gol in serie A: 12. Finì 9-3 per i rossoneri e non potrò mai dimenticare l’espressione corrucciata – ma sincera – di Nereo Rocco, arrabbiato “per aver preso 3 gol in casa dall’Atalanta”, che a fine anno sarebbe retrocessa per un solo gol in differenza reti…Ottavio Bianchi però non retrocesse: l’estate successiva infatti fu acquistato proprio dal Milan.
Vedendolo giocare ogni domenica, la mia simpatia crebbe ancora di più perché sembrava davvero più vecchio di tutti gli altri, era ruvido nei contrasti ma con buona tecnica (circa 200 gare in serie A e una quarantina di reti), realizzò solo 2 gol in rossonero: una doppietta all’Olimpico in una partita che i rossoneri vinsero contro la Roma.
Poco tempo dopo iniziò la sua carriera di allenatore. Una lunga gavetta: Spal, Siena, Mantova, Triestina, poi l’Atalanta con cui vinse il primo campionato della sua carriera portando i bergamaschi dalla serie C alla serie B.
Nel 1985 il grande salto: al Napoli, dove da giocatore aveva disputato 5 campionati con 109 presenze e 14 gol. Lo vuole ad ogni costo il presidente Corrado Ferlaino per affidargli la squadra costruita intorno a Diego Maradona: Bianchi vince il primo scudetto della storia partenopea nel 1987 conquistando anche la Coppa Italia. Un trionfo.
Il suo carattere rispecchia fedelmente quello che era in campo, acuto e spigoloso, distinto ma feroce, e un po’ anche i suoi tratti fisici: basso, con le gambe a X, non molto elegante nei movimenti eppure carismatico, concreto.
Un lombardo fatto e finito, nato a Brescia e consacrato a Bergamo, approdando nell’olimpo una volta sceso al Sud. A Napoli vince anche il primo trofeo internazionale del club, la Coppa Uefa nel 1989, dopo un burrascoso finale di campionato nella stagione precedente. Nel 1987-88 infatti i campani restano in vetta alla classifica per 27 giornate, perdendo però in casa 2-3 lo scontro diretto con il Milan di Sacchi e altre 3 delle ultime 5 partite di campionato. Lo scudetto va ai rossoneri.
Logorato dai rapporti con alcuni senatori (Garella, Ferrario, Bagni, Giordano), perde la pazienza e diventa famoso il suo rientro negli spogliatoi prima del fischio finale, abbandonando la panchina in una partita che il Napoli sta perdendo (e perderà) ad Ascoli. Bianchi passa alla Roma nel 1990, rivince la Coppa Italia ma perde la finale di Coppa Uefa, torna al Napoli subentrando a Ranieri in zona retrocessione e riporta la squadra a ridosso di un piazzamento europeo.
La sua ultima stagione da allenatore è emblematica: primo tecnico interista dell’era Moratti, si dimette dopo sole 4 giornate di campionato proprio dopo una sconfitta a Napoli. Rimane fermo qualche anno, rientra nei ranghi come responsabile tecnico della Fiorentina (2001), in ottobre gli chiedono di andare in panchina, nell’aprile 2002 viene nominato presidente del club viola per sostituire il fuggitivo Ugo Poggi, nell’estate del 2002 la Fiorentina fallisce.
Da giornalista ho intervistato diverse volte Ottavio Bianchi. I miei colleghi non lo amavano: era scostante, sarcastico, freddo, imperturbabile nelle vittorie come nelle sconfitte. Il più delle volte fendeva i cronisti in attesa: “Non parlo, non parlo”. A me non si è mai negato: mi affascinava la sua personalità, il suo modo di parlare compassato e sempre in equilibrio sull’ironia, la sua cultura.
Una volta a Roma lo intervistai di sabato per “Italia 1” alla vigilia di una partita dei giallorossi: non ricordo per quale motivo, l’operatore si accorse che il “girato” non era venuto. A mezzogiorno di domenica sarebbe andato in onda “Guida al campionato”, ero nel dramma così la sera telefonai disperato a Trigoria, gli parlai, non esitò un istante: “Vieni qui domattina presto, andiamo nel parcheggio dove siamo nascosti così non ci vedono”.
Un’intervista 4 ore prima della partita nel ritiro di Trigoria fu un evento eccezionale che posso rivelare solo 30 anni dopo…Conservo gelosamente altri due ricordi. Il primo nel ritiro estivo dell’Inter a Cavalese, complice l’allora addetto stampa nerazzurro Guido Susini che per me era un fratello.
Stavamo realizzando gli speciali pre-campionato per “Tele+2” e Guido rimase lì per tutta la durata del mio incontro con Ottavio Bianchi davanti alle telecamere. Alla fine dell’intervista, Guido irruppe sul “set” (il prato a bordocampo), prese il microfono e chiese al tecnico: “Adesso mi deve dire cosa le ha detto Serafini, è riuscito a farla ridere due volte”.
L’altro ricordo è quello di un’intervista in un bar di Bergamo Alta, dove si era definitivamente stabilito, in inverno dopo che si era ritirato. Stavolta avevo solo penna e taccuino, l’articolo sarebbe uscito su “Il Giornale” di Vittorio Feltri. Una chiacchierata lunghissima a cuore aperto, una delle più belle della mia carriera. Grazie a lui.
Ci siamo rincontrati qualche tempo fa negli studi di “Sportitalia”, ricordando qualche episodio: io mi sono sentito più giovane, lui no. Eppure a me ancora oggi è simpatico e provo per lui affetto e stima.
BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.
2 risposte
Grande tecnico, costruì il Napoli molto bene, dopo lo scudetto spostò Ferrara a destra con l’arrivo di Francini, adattandolo più a un ruolo da stopper che da fluidificante, anche lo scudetto del 1990 è opera interamente sua, Bigon trovò tutto gia fatto. Alla Roma fece benissimo, il primo anno due finali dovendo rinunciare a Carnevale che era al picco della forma e aveva fatto sei gol nelle prime sei gare.
Descrizione perfetta di un uomo davvero particolare ,ruvido me sensibile. Ho un ricordo in televisore. Dopo la vittoria in Coppa Uefa del Napoli ,non festeggio’ , usci dal campo che era imbufalito, Non ricordo il motivo ,cercarono di trattenerlo ,ma non riuscirono. Un personaggio unico ne suo genere. Come sempre Luca grazie per avermelo fatto rivivere