Se il football ha raggiunto nel corso degli anni l’immensa popolarità di cui gode, una parte del merito è dovuta alla diffusione televisiva del prodotto calcio con buona pace di chi, legittimamente, rimpiange i tempi in cui le partite si ascoltavano alla radio o attendeva la domenica sera per apprezzarne qualche spezzone.
Ad oggi l’evento televisivo a cui hanno assistito più persone nella storia del nostro paese è la finale del campionato mondiale del 1982. Nell’occasione furono 36.700.000 gli italiani sintonizzati davanti al televisore per godere di un evento trasmesso in un’epoca in cui non esisteva l’offerta pluralista dei giorni nostri.
Rapportando il numero di cui sopra all’ulteriore dato, secondo cui quarantacinque dei cinquanta programmi più visti di sempre in Italia riguardano partite della nazionale, è agevole comprendere quanto l’aspetto televisivo abbia contribuito alla diffusione del calcio.
Per la verità, anche nell’era antecedente alla scorpacciata di match trasmessi in TV, non mancavano esempi di diretta calcistica. Quello più importante, e per certi versi rituale, era per l’appunto la trasmissione della partita della nazionale, rigorosamente ad appannaggio dell’emittente di stato che nel 1954 avrebbe inaugurato i propri programmi
Prima ancora che la Rai desse il via ufficiale alle proprie trasmissioni, due esperimenti di diretta televisiva avevano già avuto luogo, seppur per la sola zona limitrofa alla sede dell’incontro. Si tratta degli incontri Juventus-Milan 1-7 (Torino, 5 febbraio 1950) e Italia-Cecoslovacchia 3-0 (Genova 13 dicembre 1953, quest’ultimo per il solo secondo tempo).
L’intuizione dei responsabili dell’emittente di stato è quella di comprendere da subito l’interesse popolare sotteso al football e di conferire massima importanza alla trasmissione delle partite se è vero, come è vero, che per l’edizione del campionato del mondo del 1954 vengono inviati in Svizzera quattro telecronisti di autorevole e comprovata fama; Giuseppe Albertini, Nicolò Carosio, Vittorio Veltroni e Carlo Bacarelli, con gli ultimi due chiamati a commentare le gare della nostra nazionale.
Il primo dei quattro, su cui torneremo più avanti, tende a recensire la partita in maniera “redazionale” come la stesse raccontando su carta stampata, con l’attenzione incentrata agli aspetti propri della cronaca. Veltroni e Bacarelli, dal canto loro, portano in video alcune prerogative della narrazione del tempo, basata su uno stile istituzionale che tende a disegnare il contorno dell’evento.
Ciò premesso, la voce che diventerà familiare all’orecchio degli italiani è la quarta, quella di Nicolò Carosio.
NICOLÒ CAROSIO
La sua telecronaca è frutto di una formazione perfezionata nell’era fascista e, per l’effetto, caratterizzatada una dialettica intrisa di aggettivi qualificativi. Diverso è il tono, più austero rispetto ai dettami della comunicazione del ventennio e conformato all’idea di servizio pubblico, che, in quanto tale, non risulta mai inquinato da gusti personali. Nativo di Palermo, Carosio diventerà il telecronista per eccellenza sino alla seconda metà degli anni 60 quando commenterà, non sempre in diretta, anche le partite di coppa. Con lui la telecronaca è un autentico resoconto, in cui si limita a menzionare il calciatore in possesso della sfera e a certificare l’esito dell’azione. Non rari, e nemmeno brevi, i lassi di tempo privi della voce del commentatore.
Memorabili, viceversa, alcune espressioni tra cui spicca il famoso “e ora andiamo a berci un whiskaccio” proferito all’esito dell’epica battaglia di Glasgow del marzo 1969, quando i rossoneri passarono al Celtic Park grazie ad una rete del compianto Piero Prati ed alle prodezze tra i pali di Fabio Cudicini.
Il suo sarà un autentico monopolio delle telecronache sino a quando, a metà degli anni sessanta, un’altra voce si alternerà con lui al commento degli incontri della nazionale.
Nando Martellini, è il naturale successore di Carosio. Abruzzese con la tipica voce del centro Italia, approccerà gli ascoltatori in maniera diversa quasi dialogasse con loro. “Gentili telespettatori” è la formula vocativa con cui introduce i suoi commenti.
NANDO MARTELLINI
Il suo intento è quello di “offrire” la partita in dote, tipico di chi svolge un servizio con classe ed eleganza, con giudizi sui singoli espressi solo se positivi. “Buona la gara di Tizio” oppure “Ecco inquadrato Caio, autore oggi di un’ottima prestazione”.
In caso di errori evidenti, non eccede in catastrofismi. Alla parola “papera” preferisce il termine “infortunio” quasi a rispettare il momento di difficoltà o di dramma sportivo che i protagonisti in negativo stanno vivendo. La dialettica, pur se ancora non specifica, appare più tecnica ed intrisa di riferimenti ai movimenti sul campo. E’ assoluto maestro nel declarare i nomi dei calciatori scandendone l’accento sulla sillaba di riferimento oltre che attentissimo a pronunciare correttamente i loro cognomi. (Burgnich viene pronunciato da Martellini esattamente come si scrive e non Burgnic come solita fare, sbagliando, la maggioranza dei suoi colleghi).
L’attenzione al singolo calciatore comincia a farsi strada, agevolata dai replay che vengono proposti con maggior frequenza rispetto ai tempi del predecessore. In occasione delle partite della nazionale riuscirà a mantenere il giusto equilibrio tra il ruolo istituzionale e il tifoso che è in lui.
Il suo altissimo senso di professionalità sarà ripagato dagli Dei dell’etere che gli consentiranno di commentare tre momenti chiave della storia della nazionale quali la ripetizione della finale dell’Europeo 1968, la semifinale dei campionati del mondo del 1970 (Italia-Germania Ovest 4-3), e la finalissima del Mundial 1982.
In queste occasioni si lancerà in espressioni che lo vedranno parlare a nome di tutta la nazione, non per arroganza o presunzione, ma per condividere il sentimento collettivo. “Non finiremo mai di ringraziare i nostri giocatori per le emozioni che ci stanno regalando” afferma dopo il 4-3 di Rivera alla Germania Ovest, poco prima di concludere stremato la cronaca più faticosa della sua vita.“Esultiamo con Pertini” è invece la frase con cui celebra il trionfo al Bernabeu, sublimando un momento calcistico che rappresenta l’orgoglio di un intero paese.
Se Carosio fa della telecronaca un rendiconto staccato dalla partita, Martellini la lega agli eventi di campo riuscendo nel connubio tra educazione ed emotività, tra aspetto istituzionale e passione popolare. Sarà lui il telecronista “principe” della Rai sino al mondiale del 1986 quando un malore dovuto all’altura messicana lo costringerà al passaggio di testimone.
Testimone che rimarrà sino ai primi anni del nuovo millennio nelle salde mani di Bruno Pizzul, già calciatore professionista, che esordisce negli anni 70 in Rai ricoprendo anche il compito di conduttore. Prima del suo approdo a commentatore della nazionale, avrà modo di distinguersi per un modo diverso di approcciare la materia. Il passato da calciatore, unito all’essere un giornalista ad ampio raggio, gli consente di intrattenere rapporti personali con numerosi protagonisti del calcio italiano. Nel momento in cui prende il timone del commento degli azzurri ha già al suo attivo centinaia di telecronache tra partite di coppa e competizioni per nazionali oltre a numerose conduzioni televisive tra cui l’iconica “Domenica Sprint”.
BRUNO PIZZUL
Sarà il telecronista dei trionfi europei di Milan (finale Coppa Coppe 73), Sampdoria (finale Coppa Coppe 1990), Inter (finale Coppa Uefa 1998), Lazio (finale Coppa Coppe 1999), Parma (finale Coppa Uefa 1999), oltre che di innumerevoli sfide di prestigio, agevolato dal periodo intercorrente tra la fine degli anni 80 e gli anni 90 durante il quale le compagini italiane dominano nelle competizioni calcistiche europee.
Accompagnerà il Milan sul tetto d’Europa per due anni di fila, commentando la finale di Barcellona in precarie condizioni di lavoro a causa di uno sciopero della televisione spagnola. Ciò non gli impedirà di esaltare il dominio dei ragazzi di Sacchi con una telecronaca farcita di entusiasmo e sincera ammirazione.
Ad un anno di distanza, contro il Benfica al Prater di Vienna, offrirà un racconto cerebrale, più sofferto e meno irruento, attento al profilo tattico della gara in ossequio alla tendenza a raccontare esattamente ciò che accade, senza dipingere forzatamente lo spettacolo migliore di quel che è. Esaltante la sua performance in Milan-Barcellona 4-0 durante la quale trova modo di apprezzare uno ad uno tutti i protagonisti della notte di Atene.
Vivrà da cronista la delusione sportiva della Sampdoria, sconfitta in finale di Champions League all’ultimo minuto dei supplementari, condividendo la sconforto della tifoseria blucerchiata ma eviterà, anche in occasione degli esiti più sfortunati, di far sembrare drammi le sconfitte, limitando i riferimenti alla “dura legge dello sport” ed al senso di frustrazione.
La prova per lui più ardua è rappresentata dalla telecronaca di Liverpool- Juventus, finale di Coppa dei Campioni del 1985, giocata a Bruxelles. In quell’occasione Bruno Pizzul dimostrerà la sua grandezza, riuscendo, in seno ad una drammaticità in continuo divenire, a gestire un prepartita infinito con notizie, ufficiali ed ufficiose, da filtrare contestualmente al commento di ciò che si palesa ai suoi occhi che mai avrebbe voluto vedere. Dovrà, in quella tragica serata, convivere con le pressioni e gli appelli delle persone che passano davanti alla sua postazione che, a loro volta, si accavallano con le notizie degli spacci di agenzia. Riuscirà, in coppia con un altro gigante che lo supporta dagli studi di Roma e risponde al nome di Gianfranco De Laurentis, a portare a termine il compito con assoluta professionalità, condita da una sensibilità che lo rende ad oggi uno dei telecronisti più amati dagli italiani.
Lo stile di Pizzul è inconfondibile, frutto di una proprietà di linguaggio plasmata dagli studi in giurisprudenza e arricchita di tecnicismi grazie al passato da calciatore. Il tono di voce si accende e si abbassa di pari passo con l’evolversi del gioco. E’ il primo telecronista a riempire con considerazioni personali i “tempi morti” della cronaca.
“Signori all’ascolto Buonasera” è il suo immancabile saluto prima di dar vita ad un racconto in cui abbondano gli avverbi di modo oltre ai verbi coniugati al condizionale (“si vociferava di un pareggio che avrebbe accontentato tutti, da queste prime battute non parrebbe”).
Tipicamente proprie risulteranno alcune espressioni quali“azioni ficcanti di contropiede” o “centromediano metodista” in ossequio ai concetti propri del suo passato di calciatore.
L’evoluzione principale, rispetto agli illustri predecessori, risiede nell’attitudine a commentare i movimenti sul campo contestualmente al loro accadimento.
Carosio e Martellini certificavano l’accaduto. Pizzul commenta ciò che sta accadendo, come in occasione del goal di Marco Van Basten nella finale di Euro 1988 che dipinge in concomitanza all’esecuzione del campione olandese: “Attenzione a Van Basten che si coordina e lascia partire uno stupendo tiro che batte Dassaev (…)”. Con la parola coordina scandita volutamente in modo lento (coooooooordiiina) ad accompagnare la parabola del traversone ed il gesto del calciatore.
Il telecronista friulano è il primo a spostare l’attenzione su dettagli quali lo stile, l’aspetto psicologico e il tempo della giocata. Con il passare degli anni aggiungerà qualche confidenza dialettica senza mai superare i confini dell’educazione. Non disdegnerà l’ironia quando, in occasione di alcuni match degli azzurri, si prenderà la licenza di pizzicare l’operato arbitrale (Italia- Nigeria 1994, Corea del Sud-Italia 2002).
Poco fortunato, rispetto a Martellini, il suo rapporto con la nazionale che vedrà uscire per tre volte dalla competizione mondiale ai calci di rigore (1990, 1994, 1998) oltre che soccombere al golden goal in una finale del campionato europeo (2000) e nell’ottavo del mondiale nippocoreano.
Martellini e Pizzul rappresentano le punte di diamante di una generazione di telecronisti che a partire dagli anni 70 allieteranno i telespettatori Rai per decenni e che rispondono al nome di Giorgio Martino, Ennio Vitanza, Claudio Icardi e Carlo Nesti.
Giorgio Martino, grazie all’esperienza nel ciclismo, nel nuoto e nella pallanuoto, predilige un racconto attento alle peculiarità dei personaggi, non disdegna critiche e polemiche nei confronti di protagonisti e direttori di gara.
GIORGIO MARTINO
La sua telecronaca tende a risultare incalzante per l’attitudine a scavare in profondità rispetto a ciò che commenta, descrivendo curiosità e particolari, non solo di gioco, che riguardano squadre e calciatori. In occasione degli incontri internazionali non disdegna critiche e polemiche in riferimento agli atteggiamenti ed ai comportamenti di protagonisti e direttori di gara.
Rari sono i momenti di silenzio durante le sue telecronache.
Sarà il telecronista Rai del quarto di finale mondiale tra Inghilterra ed Argentina, giocato a Città del Messico il 22 giugno 1986. Nell’occasione, toccherà a lui commentare sia il goal realizzato con la mano che il raddoppio rimasto negli annali di Diego Maradona, di cui commenterà le prodezze anche nella semifinale contro il Belgio, telecronaca durante la quale criticherà pesantemente l’operato di un segnalinee reo di aver fermato i diavoli rossi lanciati verso la porta con una serie di off side inesistenti.
Concluderà la carriera da direttore di “Roma Channel” il che, stante la faziosità sottesa al ruolo, gli toglierà un po’ di autorevolezza agli occhi di chi negli anni precedenti ne aveva apprezzato schiettezza e capacità di racconto.
Di stile opposto, la telecronaca di Ennio Vitanza, rappresenta l’emblema del commento “decantato”, quasi parafrasato rispetto all’evento in sé. Originario di Postumia ed al pari di Pizzul conduttore per anni di “Domenica Sprint”, dispone di ottima sintesi, consolidata negli anni da “inviato” in cui prepara i servizi per le trasmissioni sportive. Rappresentante vecchio stampo del servizio pubblico, è l’esempio del conduttore affidabile e raramente divisivo.
ENNIO VITANZA
Spesso impegnato in trasferta durante le gare di coppa, mantiene uno stile senza sussulti salvo cambiare tono al momento della segnatura in cui la voce risuona squillante. Degne di nota alcune telecronache negli anni 80 in Germania, in Francia e nei paesi dell’Est Europa tra cui spicca un Dinamo Kiev-Fiorentina durante il quale esalta le giocate di un giovane Roberto Baggio a pochi giorni dalla caduta del muro di Berlino.
Per Claudio Icardi la carriera di telecronista rappresenta solo un passaggio in seno ad un percorso di più ampia portata, teso più al racconto storico che alla narrazione del gesto agonistico. Nel suo caso più che di preparazione sportiva è doveroso parlare di cultura dello sport tant’è che, dismessi i microfoni del calcio (ma non dell’ippica di cui continuerà ad essere il commentatore per eccellenza), diventerà magnifico narratore delle cerimonie inaugurali di svariate edizioni dei giochi olimpici intrattenendo gli ascoltatori con competenza e preparazione.
CLAUDIO ICARDI
Con Carlo Nesti, invece, siamo in presenza del primo esempio di commentatore moderno. L’enciclopedica proprietà di linguaggio è forgiata dall’attività di redattore, di radiocronista e di paroliere musicale. Che si tratti di un servizio per la Domenica Sportiva, di un articolo di spessore per le testate vaticane per le quali affronta temi di fede e spiritualità o di un testo di una canzone di musica leggera, la capacità descrittiva è inimitabile.
CARLO NESTI
L’eleganza formale e l’attenzione allo stile fa sembrare la telecronaca di Nesti fredda e/o asettica. In realtà, se lo si ascolta con attenzione, si nota una predisposizione all’aspetto umano condita da particolari che non annoiano mai il telespettatore. Come tutti coloro che commentano anche alla radio tende a parlare molto, quasi volesse conversare con l’ascoltatore a cui sembra suggerire le chiavi di lettura della gara.
La sua preparazione in ambito calcistico gli consente di fungere indistintamente da prima o da seconda voce.
Mai eccessivo nei toni e nelle critiche, riuscirà nell’intento di far coesistere le nozioni (che possiede in quantità industriale) con le proprie riflessioni frutto di un pensiero, non solo calcistico, superiore alla media. FINE PRIMA PARTE, CONTINUA…
BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.
Una risposta
Bell’articolo che va oltre la carrellata amarcord, gli usi e costumi del tempo hanno impattato anche sul modo di commentare gli incontri di calcio.