TONY ADAMS: ALL’INFERNO E RITORNO.

«Essere considerato il più grande bevitore di Guinness del mio pub era diventato per me più importante di vincere trofei come capitano dell’Arsenal».

Questa è solo una delle tante frasi “forti” raccontate da Tony Adams nella sua coraggiosa e onesta autobiografia.

Una carriera ai vertici del calcio nazionale e internazionale e trofei in serie vinti con i “Gunners” londinesi.

La fascia di capitano a sancire in modo inequivocabile le sue riconosciute doti di leader.

Un calciatore esemplare per coraggio, determinazione e applicazione.

Il posto garantito al centro della difesa dei Bianchi d’Inghilterra.

Insomma, un simbolo per professionalità e rendimento.

Fuori dal campo però, la vita di Tony Adams è stata, per tanto tempo, un disastro assoluto.

Un matrimonio con una donna dipendente da crack ed eroina non fa che accentuare la sua personale smodata passione per gli alcolici.

Quello che all’inizio sembra un gioco e un modo per farsi accettare dal famoso “Booze Club” dell’Arsenal di metà anni ’80 nel giro di pochi anni diventa per “Tone” un inferno.

La sua vita si divide in due: il calcio e le bevute.

Quando non è su un campo di calcio Tony Adams è al pub.

In questi anni ne combinerà di tutti i colori.

Distruggerà automobili, andrà in carcere, sarà coinvolto in risse e scazzottate, rischierà di rompersi la testa cadendo dalle scale di un pub.

Perfino i suoi adorati figli in quel periodo diventano un impedimento a questa sempre crescente necessità di bere.

Più volte si dimenticherà di loro, “parcheggiandoli” da parenti, amici o varie baby sitter di turno prima di lanciarsi in “bender” alcoliche capaci di durare anche tutto un week end.

Il calcio è l’unica cosa che gli impedisce di sprofondare completamente.

E’ solo nel 1996, dopo un estate di eccessi e senza più il minimo autocontrollo, che Tony Adams decide di rendere pubblica la sua dipendenza.

Lo fa in una toccante conferenza stampa che spiazza non solo gli addetti ai lavori ma anche e soprattutto dirigenti, staff e compagni di squadra dell’Arsenal e della Nazionale, sorpresi e increduli dalle dimensioni del problema del loro capitano.

Ci vuole coraggio per un gesto del genere.

E a Tony il coraggio non manca di certo.

Non è mai mancato.

Fin da quando George Graham, neo allenatore dei Gunners, decide già alla sua prima stagione da manager dei biancorossi londinesi, di lanciare stabilmente il ventenne difensore centrale in prima squadra.

Con lui ci sono altri giovanotti di belle speranze come Niall Quinn, Paul Merson, Martin Hayes e il compianto David Rocastle.

Tony si sistema al centro della difesa a fianco di David O’Leary, il veterano irlandese che gli farà da guida in quella prima stagione da titolare.

I risultati sono immediati.

L’Arsenal, dopo tanti anni senza trofei, alzerà al cielo nell’aprile del 1987 la Coppa di Lega inglese battendo in finale nientemeno che il Liverpool di Rush e Dalglish.

Tony Adams al termine di quella stagione verrà eletto come “Miglior giovane della First Division”.

Il suo impatto è enorme.

E’ già un leader, lo è sempre stato.

Bastano poche partite e Tony diventa l’uomo che guida i movimenti della difesa, che richiama all’attenzione i compagni, che li guida nel pressing, li sprona e indica loro dove posizionarsi.

«E’ sempre stato così. In campo mi trasformo. Sono capace di parlare più nei 90 minuti di partita che nel resto della settimana» ammetterà Tony in più di un’occasione.

Bobby Robson, che di calciatori se ne intende, lo convoca nella Nazionale maggiore inglese per una prestigiosa amichevole contro la Spagna.

Si gioca al Santiago Bernabeu e Tony è in campo dall’inizio a fianco di Terry Butcher e dei suoi compagni dell’Arsenal Viv Anderson e Kenny Sansom.

Sarà una delle più brillanti e convincenti prestazioni della storia recente della Nazionale inglese.

Un quattro a due finale e anche se i protagonisti assoluti sono Gary Lineker (autore di tutti e quattro i gol inglesi) e Glenn Hoddle, sontuoso in cabina di regia, a nessuno è sfuggita l’autoritaria prestazione del ventenne Adams al centro della difesa dei Bianchi d’Inghilterra.

Ci saranno anche momenti difficili per il prestante difensore dei Gunners.

Nell’estate del 1988 agli europei di Germania s’imbatterà nel più forte centravanti del periodo, un certo Marco Van Basten, che ne metterà a nudo l’inesperienza a certi livelli.

Intanto l’Arsenal in patria inizia a vincere trofei in serie e questo provoca, come a tutte le latitudini, le antipatie dei tifosi avversari.

Tony, che in campo non si nasconde mai, diventa un facile bersaglio per i supporters avversari.

Verrà soprannominato “the donkey”, l’asino, per quel suo modo particolare di correre.

Il tutto corroborato dai “ragli” incessanti delle tifoserie avversarie.

«Devo ringraziare quei tifosi. Le provocazioni mi hanno sempre stimolato e hanno aggiunto quel pizzico di grinta in più e di voglia di dimostrare il mio valore in campo».

Diventa il bastione su cui l’Arsenal costruisce una difesa praticamente insuperabile.

Continuano a piovere trofei. Campionati, FA CUP e anche un trionfo in Coppa delle Coppe contro il Parma dove Adams e i suoi compagni metteranno la museruola ad attaccanti del calibro di Zola, Asprilla e Brolin.

Fuori dal campo però la vita è sempre più fuori controllo.

E Tony non è certo aiutato dal nuovo “Club” di grandi bevitori che si è creato all’interno della squadra.

Merson, Bould e Parlour sono compagni affidabili in campo e sempre presenti “fuori”, quando per “fuori” si intendono i pub di Islington e dintorni.

Tony Adams è ormai in un vicolo senza uscita e al termine degli Europei giocati in Inghilterra e chiusi dagli inglesi senza il trionfo atteso, l’unica maniera che conosce per leccarsi le ferite, personali e professionali, è quella di bere fino all’oblio.

Nell’agosto di quel 1996 tocca il fondo. Dopo una serie infinita di giornate passate completamente ubriaco si accorge che il suo corpo non è più in grado di ingerire cibo solido.

«Non riuscivo a mangiare nemmeno un fish & chips. Il mio corpo sapeva assorbire solo alcol».

Di lì a poche settimane arriva la dichiarazione pubblica, definitiva, coraggiosa ma che al tempo stesso è una disperata richiesta di aiuto.

«Il mio nome è Tony Adams e sono un alcolista».

Da quel momento inizia piano piano a risalire la china.

Nell’ottobre di quell’anno, con l’arrivo di Arsene Wenger sulla panchina dei Gunners, il cambio è radicale. Cambia il modo di allenarsi e cambia il modo di alimentarsi, di curare il proprio fisico e la qualità dello stile di vita imposto ai calciatori.

Adams ritrova se stesso.

In campo, che da sempre è il suo habitat naturale, ma soprattutto fuori.

I figli tornano al centro della sua vita e arrivano nuovi interessi come la lettura o la musica … e soprattutto il grande bisogno di aiutare chi, come lui, ha grattato il fondo, cercando quasi di scavare prima di cominciare a risalire.

Sono passati quasi più di venticinque anni da allora.

Tony Adams non è più un alcolista, ha una vita piena e completa, dove il calcio ha ancora una parte importante … ma non è più, come allora, «la metà della mia vita … con la bottiglia che era l’altra metà».

Le parole più belle sono quelle del suo amico e per anni compagno di bevute, Paul Merson.

«Non ho mai visto un UOMO cambiare così radicalmente come ha fatto Tony. Per farlo devi essere speciale. E Tony Adams E’ un uomo speciale».

ANEDDOTI E CURIOSITA’

Tony Adams adolescente era quanto di più introverso e disadattato si potesse trovare. A disagio per quel fisico imponente e disarmonico, un naso “importante” e due grosse orecchie a sventola. E un difetto nel pronunciare la “R” che lo inibisce oltre misura. A disagio in ogni situazione sociale, con i coetanei e soprattutto con le ragazze. In quegli anni, afferma ancora oggi Adams, «l’unico luogo dove mi trovavo a mio agio era un campo di calcio».

I suoi esordi all’Arsenal sono ricordati ancora oggi con tanta simpatia da molti dei suoi compagni di allora.

E’ Paul Merson che racconta che «Tony entrò in una difesa che comprendeva due nazionali inglesi, Anderson e Sansom, e il difensore centrale dell’Eire, capitano dell’Arsenal e uno dei più forti difensori dell’epoca, David O’Leary.

… dopo 3 partite da titolare era Tony che “guidava” la difesa, dando indicazioni a tutti e richiamandoli per ogni errore commesso … se non è carisma questo!»

E’ il 6 maggio del 1990. L’Arsenal ha appena chiuso una stagione deludente, con un 4° posto non all’altezza delle aspettative. I calciatori sono attesi all’aeroporto di Heathrow per il classico tour di fine stagione che li porterà nel Sud Est Asiatico.

Tony Adams, fra la sorpresa di molti osservatori, non è entrato nei 22 che Bobby Robson porterà con se ai Mondiali che si disputeranno da lì a poche settimane in Italia.

Per Adams è un boccone amarissimo da ingoiare.

Si accorge che c’è ancora un po’ di tempo a disposizione prima di presentarsi al ritrovo con i compagni e lo staff dei Gunners. Decide di fermarsi in un pub per bere “un paio” delle sua amate Guinness.

Alcuni avventori lo riconoscono e con qualche birra in corpo per Tony diventa assai più facile socializzare. Viene invitato da alcuni di loro ad un barbecue organizzato poco distante.

“Che male c’è ?” pensa Adams in quel momento.

Quella piccola festicciola in realtà si trasforma nella possibilità perfetta di dimenticare le delusioni professionali. Adams è l’invitato di lusso, il “re” della festa e lui non ama tradire le aspettative.

Inizia a bere in modo smodato.

Quando guarda l’orologio si accorge che manca meno di un’ora all’imbarco.

Da Billericay ad Heathrow il tempo non è sufficiente.

Sale sulla sua Ford  Sierra e si lancia in una corsa disperata ad oltre 100 miglia all’ora.

Perde il controllo della vettura e si va a schiantare contro un muro nei pressi di Rayleigh.

Quando arriva la polizia gli viene fatto il test alcolico: Tony Adams è quattro volte oltre i limiti consentiti.

«Quel giorno misi la cintura di sicurezza. All’epoca non la mettevo mai. Mi dissero che fu proprio la cintura di sicurezza a salvarmi la vita».

Per Tony arriva una condanna. Quattro mesi in carcere che Adams accetta senza opporsi e senza presentare appello.

«Ho sbagliato. E’ giusto che paghi» dirà Tony con grande dignità.

Potrebbe essere la svolta. Il segnale che occorre dare un taglio netto a certe abitudini.

Non sarà così.

Ci vorranno altri cinque anni d’inferno prima di trovare la forza di riemergere.

«Ho giocato diverse partite in cui ero ancora ubriaco o con i postumi di una forte sbronza. Una volta addirittura contro lo Sheffield United arrivai ancora sotto i fumi dell’alcol. Nello spogliatoio prima della partita continuavo a scherzare, a fare battute e a ridere io stesso come un idiota. Se ne accorsero tutti i miei compagni. Andai in campo, vincemmo la partita, segnai un gol di testa e fui eletto miglior giocatore del match. Questo a quei tempi mi confuse ancora di più. Pensavo davvero di potermi permettere TUTTO» ricorda di quel periodo Tony.

L’arrivo di Arsene Wenger e la decisione di Tony di smettere con l’alcol saranno due componenti fondamentali nella carriera di Tony che da quel momento in poi rivivrà una seconda giovinezza calcistica, che culminerà con il trionfo in campionato e in FA CUP nella stagione 2001-2002, quella che sarà l’ultima da calciatore professionista per Tony Adams, alias “MR. ARSENAL”.

Quello che però è probabilmente il più importante “trofeo” di Tony Adams è la creazione del suo “SPORTING CHANCE”, una clinica creata appositamente per aiutare atleti ed ex-atleti in difficoltà, soggetti ad ogni tipo di “dipendenza”. Sono in tanti quelli passati per quel centro, professionisti più o meno famosi che riconoscono a Tony Adams e allo staff dello Sporting Chance il merito di aver contribuito in maniera determinante per permettere loro di uscire da varie situazioni di disagio.

Questo oggi è Tony Adams, un uomo che, come ama dire lui stesso «Sa apprezzare la vita in tutti i suoi aspetti e che ha fatto in tempo a recuperare un po’ del tempo perduto in quegli anni di stupidità e di oblio».

BIO: Remo Gandolfi e’ nato e vive a Parma. Ha gia’ 9 libri all’attivo. Dopo “Matti miti e meteore del calcio dell’est” che aveva fatto seguito al precedente libro di gran successo intitolato “Matti, miti e meteore del futbol sudamericano”, Remo, in collaborazione con Cristiano Prati, figlio dell’indimenticato campione, ha scritto, pubblicato da Urbone Publishing: “PIERINO PRATI – Ero Pierino la Peste”, la biografia del bomber che ha indossato le maglie di Milan, Roma, Fiorentina, Salernitana e Savona.

  • Ha una rubrica fissa sul popolare Calciomercato.com (“Maledetti calciatori”) e con gli amici di sempre gestisce un blog www.ilnostrocalcio.it . Quanto all’amato pallone, e’ profondamente convinto che la “bellezza” e “il percorso” contino infinitamente di piu’ del risultato finale.

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