Dagli anni Ottanta dicembre è diventato il mese della Coppa Intercontinentale, che continuiamo a chiamare così anche dopo i vari cambi di formula subiti nel tempo e di cui ho raccontato nell’ultimo articolo.
Quest’anno è finita nelle mani del City che ha travolto a Gedda (4-0) i brasiliani del Fluminense.
Il Milan torna a disputare la competizione, concentrata in una partita unica a Tokyo, nel 1989 quale detentore della Coppa dei Campioni. La sfida sarà all’Atletico Nacional di Medellin, prima squadra colombiana della storia a vincere la Libertadores.
Sono anni duri in quel Paese, il più nordico del Sudamerica: imperversano i criminali della droga e il club calcistico viene indicato molto vicino al famigerato “Cartello di Medellin”, un’organizzazione di narcotrafficanti tra le più potenti e violente.
Il governo della Colombia smentisce la commistione tra droga e pallone, la partita ha il via libera delle federazioni e il benestare degli sponsor.Arrigo Sacchi non smette di incensare il suo avversario, indicando nell’allenatore Francisco Maturana un grande esempio di filosofia sportiva e calcistica, avendo la stessa strategia basata su pressing, gioco corto e fuorigioco: il tecnico rossonero mette tutti in guarda sul fatto che, nonostante i nettissimi favori del pronostico per la sua squadra, sarà un’impresa complicata superare il Nacional.
Partiamo da Milano lunedì mattina presto da Linate, destinazione Parigi per poi proseguire verso la capitale giapponese. Atterraggio a destinazione alla mezzanotte italiana (mezzogiorno del martedì a Tokyo). Subito al campo di allenamento, perché dall’aeroporto Narita sono quasi 2 ore di pullman in un traffico snervante.
Quando la squadra arriva finalmente all’Okura Hotel verso sera, la maggior parte della comitiva (staff, giocatori, giornalisti) va a dormire sfinita: un errore tattico madornale, perché poi in piena notte si svegliano tutti e non riusciranno più a riprendere il “giro” del sonno fino a domenica 17 dicembre, quando il fischio d’inizio sarà a mezzogiorno.
L’Hotel Okura nel quartiere di Minato ha poco più di 400 camere divise su quattro “ali”, il suo direttore ha praticamente una vita simile a quella del sindaco di una cittadina di periferia italiana…
Per trovarsi la mattina e andare al campo bisogna alzarsi un’ora prima della colazione.
Il giovedì io e il fotografo ufficiale del Milan e del mensile “Forza Milan!”, Gianni Buzzi, andiamo a seguire l’allenamento del Medellin fuori Tokyo: 4 ore di taxi, 2 ore al campo, 4 ore per rientrare! Dalle 9 del mattino, rientriamo all’Okura alle 7 di sera. Con il direttore generale del Milan, Paolo Taveggia, e il responsabile della comunicazione, l’indimenticato Guido Susini, decidiamo di prendere un hamburger e una Coca Cola in hotel per poi andare a dormire, tutti stravolti dai ritmi e dalla tensione. Il conto: circa 80 dollari a testa.
Raccontiamo a Paolo e Guido di come ci abbia impressionato il portiere colombiano René Higuita, un capellone saltimbanco che durante l’allenamento ha giocato terzino, battuto le punizioni e i rigori, trasmettendo carica e allegria a tutto il gruppo.
Taveggia e Susini confermano che il Milan non sta bene: anche per i rossoneri andare all’allenamento è una via Crucis, un’ora e mezza per andare, un’ora e mezza per tornare, mentre il fuso non dà tregua a nessuno. Sono tutti spossati e fuori condizione, ma al Medellin abbiamo saputo dai colleghi che le cose non sono migliori e anche loro stanno soffrendo moltissimo.
Durante i 5 giorni di avvicinamento alla gara, nell’unico pomeriggio libero concesso da Sacchi (mercoledì, se ricordo bene) approfittiamo per fare qualche scatto originale per “Forza Milan!”. Tutti si prestano e si divertono a indossare la bandana bianca con il sole nascente sulla fronte, il kimono nero, impugnano la katana come improbabili Samurai: il team manager Silvano Ramaccioni, Maldini, Evani, Baresi, Massaro, Costacurta, gli olandesi… anche se Gullit è corrucciato perché non giocherà a causa di un infortunio. Arriva il giorno della partita. Ci sono qualche centinaia di tifosi giunti dall’Italia e dalla Colombia, ma lo stadio è strapieno di giapponesi che suonano ininterrottamente le loro trombette: guardando le finali da casa, ascoltare dalla televisione quell’acuto stridulo e continuo risultava insopportabile, ma in campo non ci si fa più caso già dopo pochi minuti.
Gianni Buzzi mi ha chiesto di accompagnarlo tra i fotografi, rinunciando alla tribuna stampa: è carico di teleobiettivi, macchine fotografiche, un paio di valigette, è da solo, la partita finirà alle 14 giapponesi quando in Italia saranno le 6 del mattino, sicché avrò tutto il tempo di scrivere in hotel. Quindi mi piazzo alla destra della porta di Higuita, seduto al fianco di Gianni insieme con gli altri fotografi.Il Milan non riesce a imporsi, la gara è appiccicosa e pochissimo emozionante.
Sacchi ha schierato Galli, Tassotti, Maldini, Fuser, Costacurta, Baresi, Donadoni, Rijkaard, Van Basten, Ancelotti e Massaro. Si procede sullo 0-0 anche nella ripresa, quando entrano Simone al posto di Massaro e Evani al posto di Fuser. Premono di più i rossoneri, tra i colombiani l’ingresso di Usuriaga ha creato qualche fastidio, ma Baresi e Costacurta non hanno sbavature. Si arriva ai supplementari. Lo spartito non cambia, la musica è la stessa solfa del 90′ regolamentari fino a quando arrivano a mancare solo 60 secondi al termine, insomma ancora un minuto e si andrà ai rigori. Van Basten accelera, viene messo giù al limite dell’area, punizione leggermente più a destra rispetto allo spigolo della porta.
Sul punto di battuta confabulano Chicco Evani e Donadoni: è il primo a calciare a sorpresa, all’improvviso, con il suo sinistro chirurgico. La palla aggira la barriera colombiana all’altezza dei calzettoni dei giocatori e s’infila alla destra di Higuita, che nemmeno si tuffa: può solo guardare esterrefatto. Poche battute ancora e arriva il fischio finale: il Milan torna sul tetto del mondo esattamente 20 anni dopo la leggendaria doppia sfida all’Estudiantes nel 1969, mentre “Chiccosan” Evani viene premiato quale miglior giocatore. Un trionfo sudato, sofferto, ormai inatteso.
Se andate a rivedere il filmato, noterete che alle spalle della porta di Higuita (nel momento in cui il pallone entra in rete) una persona tra i fotografi si alza braccia al cielo, ma torna immediatamente a sedersi: sono io.
LUCA SERAFINI ESULTA AL GOAL DI EVANI (Grazie a Fabio di Ribera-AG, per le immagini)
LUCA SERAFINI DIETRO A HIGUITA
BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.