CONCETTI E PRINCIPI TATTICI DEL BOLOGNA DI THIAGO MOTTA.

Thiago Motta, senza possibilità di smentita alcuna da noi più volte elogiato in tempi non sospetti (allorquando le sue esposizioni calcistiche avrebbero ancora dovuto essere supportate dal raggiungimento di determinati risultati), è l’architetto di un complesso che sciorina calcio armoniosamente ed elasticamente, attraverso princìpi concettualmente confacenti ad una proposta altamente qualitativa e diversificata: la capacità di innalzare il livello individuale all’interno del collettivo, individuando caratteristiche precise alle quali affidare mansioni e compiti, in zone di campo differenti e mutando l’interpretazione degli attori protagonisti, è la principale peculiarità del tecnico italo-brasiliano che, pur scavalcato dalla Fiorentina in campionato e dalla stessa formazione viola probabilmente ingiustamente eliminato dalla Coppa Italia, continua a sorprendere il nostro movimento e, va da sé, gli appassionati perentoriamente più attenti ai dettagli di natura squisitamente tattica.

Una precedente dettagliata analisi, volta per l’appunto a rimarcare la diversificazione dell’interpretazione di ruoli e dei compiti da affidare ai singoli giocatori, Aebischer e Ferguson su tutti, aveva suggerito quanto Thiago Motta potesse essere già pronto lo scorso anno per il salto in una compagine dagli obiettivi, strutturali e storici, superiori: siamo di fronte all’esempio di quanto vacue e senza senso siano alcune teorie secondo le quali il “dovere” di proporre un gioco di qualità sia da confinare alla necessità di avere elementi di spessore assoluto, una sciocchezza concettuale fra le più invereconde dell’intero sistema planetario del football, quasi che tenuta mentale, voglia di imporsi, spessore caratteriale, trasmissione di adeguata cattiveria agonistica e quanto meno dignitosa intelaiatura tecnico-tattica siano prerogative facoltative, non appartenenti ai doveri di qualsivoglia guida tecnica, il cui compito indispensabile è cercare di fare esprimere (e nella migliore delle ipotesi elevare) la propria squadra ai livelli più alti potenzialmente raggiungibili da uno specifico gruppo.

Il Bologna esprime un calcio evoluto, all’avanguardia, notevolmente innovativo (ammirare i centrali difensivi sistemarsi a piede invertito è meritevole di un encomio solenne già solo per l’infinito ventaglio di diramazioni di effetti e possibilità che questa sublime idea comporta, dalla fase di impostazione alle chiusure, con il piede “forte” all’interno e non all’esterno del terreno di gioco), rigorosamente contestuale pur nella libertà d’espressione individuale nelle circostanze che maggiormente richiedono l’esposizione del talento e della genialità di alcune visioni, preliminarmente consapevole nella preparazione tattica al cospetto dell’avversario di turno, mutevole negli elementi a cui assegnare il compito più pertinente.

I felsinei costruiscono partendo da una retroguardia composta sempre da quattro elementi (il principale sistema di gioco prevede un 1-4-2-3-1, alternativamente, spesso ultimamente, variabile in un 1-4-3-3 o in un 1-4-1-4-1)  con i terzini che rimangono tendenzialmente bassi e stretti (tant’è vero che in alcune circostanze lo stesso Lucumì, per caratteristiche chiaramente un centrale, è schierato sul fronte mancino: allorquando è invece un elemento rispondente alle caratteristiche di Lykogiannis ad acquisire la titolarità del ruolo, o per meglio dire della posizione nel linguaggio appartenente al calcio di Thiago Motta, è ovviamente più consueto che il calciatore in questione propenda per  inclinazione ad accompagnare più frequentemente la spinta sulla corsia) mentre i centrali (ed in tal senso il compito svolto da Calafiori assurge ad iconografia suprema della realizzazione delle idee di Thiago Motta, con l’ulteriore, estrema, dimostrazione di quanto il valore espresso da un giocatore possa mutare in base alla bravura dello staff tecnico) sono chiamati ad andare in conduzione attaccando lo spazio magistralmente creato dai movimenti del vertice basso del centrocampo e dunque agendo da mediani davanti al triangolo difensivo, con le mezzali che suggeriscono una linea di passaggio immediata attraverso movimenti che, in base allo sviluppo dell’azione e alla pressione avversaria, possono parimenti esprimersi sia in ampiezza che a sostegno; gli esterni offensivi si posizionano generalmente larghissimi, pronti ad “entrare” col piede forte verso la porta.

 La costruzione dal basso avviene con pazienza, senza correre rischi, con una circolazione in alcuni frangenti addirittura compassata al fin di attirare il pressing avversario (alla stregua di quanto più volte abbiamo visto fare alle squadre di De Zerbi) in attesa della soluzione più corretta e fruttifera: testimonianza ne è il dato per il quale il Bologna è la squadra con più tocchi nel proprio terzo di campo.

La fluidità della manovra è oltremodo rimarcata dai continui scambi di posizione e da rotazioni definite:lo sviluppo dell’azione avviene principalmente sulle fasce, tramite le catene laterali, con i terzini che, come detto, attaccano raramente la profondità, mentre mezzali ed esterni alti danno luogo a rotazioni continue, con le prime che non stazionano centralmente ma si defilano per ricevere in ampiezza, con le ali che fanno il movimento opposto (allorquando non sono proprio loro a ricevere larghi il pallone).

Con palla a sinistra Ferguson ( o comunque il giocatore fra le linee alle spalle della prima punta, capace di occupare ottimamente lo spazio usufruendo di una lettura consapevole dei tempi di gioco e delle linee di passaggio) supporta il palleggio corto, aggiungendosi alle rotazioni della catena per muovere meglio la linea difensiva avversaria.

Zirkzee, autentica rivelazione del torneo, immensamente cresciuto praticamente sotto tutti i punti di vista ( anche in quello che sembrava rappresentare la pecca maggiore per un centravanti, vale a dire la capacità di garantire un cospicuo numero di gol al di là dell’attiva e sublime partecipazione ad una manovra addirittura dipendente dalle sue esecuzioni) ha molta libertà di movimento, abbassandosi frequentemente quale vertice sulla trequarti per ricevere ed associarsi con i compagni, altresì facendo perdere riferimenti agli avversari favorendo così la creazione di spazio per gli inserimenti delle mezzali e degli esterni alti.

Contro le mediane a due il Bologna cerca sovente di allargare le mezzali per lasciare spazio centralmente, ricercando poi la verticale sull’esterno una volta spostati gli avversari: l’esterno cerca di trovare poi l’altra mezzala che ha attaccato lo spazio creato ad inizio azione.

Il Bologna si concede anche l’opportunità di attaccare in transizione quando si difende in blocco ( i rossoblù sono secondi per contrasti vinti nella propria trequarti), attraverso lo smarcamento preventivo di uno degli esterni offensivi.

Un 1-4-2-3-1 or dunque mobile e malleabile, delizioso nel palleggio, nella conduzione e nei movimenti, attento alla copertura di ogni spazio, basato sul controllo della palla per attirare e ingannare la pressione che, dagli uomini di Thiago Motta, è sapientemente utilizzata, in una sorta di equilibrio che non li conduce fin dentro l’area avversaria per esercitarla, né suggerisce naturalmente di attendere i dirimpettai nella propria metà campo.

Piuttosto, Freuler e compagni, cercano di creare una o due linee di pressione nella zona che ritengono sia più utile neutralizzare, vale a dire il primo quarto di campo avversario, ove i centrocampisti possono ricevere e, qualora liberi, guardare in avanti facendo avanzare pallone e squadra.

Bloccare la ricezione dei centrocampisti diventa dunque un’arma duplice, sia per trarre i difensori nell’errore di forzare i passaggi, sia per isolare sempre i centrocampisti dalla manovra, togliendo risorse creative.

Il possesso palla della compagine appenninica si attesta attorno al 55%, fase in cui ognuno si muove assecondando i movimenti dei propri compagni e seguendo gli spazi liberi.

Un continuo fluttuare di uomini ed idee che rende la creatura plasmata da Thiago Motta quanto di più godibile possa esserci in un torneo sovente storicamente caratterizzato da espressioni maggiormente annoverabili all’interno dell’invisibile gabbia rappresentata dalla fossilizzazione della tradizione, dal minimalismo concettuale, dal pressapochismo espositivo, dalla scarna ricerca di soluzioni propositive differentemente imperativo categorico del calcio moderno.

Se, dunque, in molte circostanze, specie a livello dialettico, i timonieri nostrani non fanno altro che illudere ambiente, stampa e tifosi, Thiago Motta, differentemente, ci riconduce al significato etimologico del suddetto verbo: illudere è nella sua forma primordiale costituito dalla preposizione “in” più “ludere”, letteralmente “far entrare in gioco”, giocare, con qualcuno o qualcosa.

Ma dal gioco a prendersi gioco, dal “ludus” al “ludibrio”, il passo è breve.

BIO: ANDREA FIORE, con DIEGO DE ROSIS, gestisce la pagina INSTAGRAM @viaggionelcalcio.

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