Non era la prima intervista che gli facevo e neppure l’ultima, ma certamente fu la più bella. Era l’autunno del 1989, Oscar Orefici aveva organizzato per Sport Mediaset uno speciale sui Mondiali di “Italia 90” in cui avremmo dovuto occuparci di alcuni dei possibili protagonisti azzurri. A me toccarono il C.T. Azeglio Vicini, Walter Zenga, Franco Baresi, Roberto Donadoni e Carlo Ancelotti.
Mi ricevette nella sua casa di Castellanza, pochi chilometri da Milanello: giravano per casa la moglie Luisa, donna di una simpatia e una vitalità uniche, e la piccola Katia, mentre per tutta la durata dell’intervista Carlo tenne in braccio il secondogenito Davide che aveva pochi mesi.
Benché fosse ancora uno dei più forti centrocampisti italiani, emergeva forte la sua idea del futuro: la volontà di allenare grazie alla predisposizione naturale che Arrigo Sacchi gli riconosceva già da giocatore. Storico lo scambio di battute il giorno in cui, a Milanello, Sacchi indicò ad Ancelotti la famosa “gabbia” e gli chiese: “Carletto, quando allenerai farai costruire anche tu una gabbia?” Lui rise e rispose: “E perché dovrei? C’è già…”. Un giorno sarebbe stato lì, al suo posto, ad allenare il Milan.
Pensare che nel suo destino in panchina, Carletto ha sfiorato l’Inter: di recente, in un post successivo alla vittoria del Real Madrid sul Barcellona nella Supercoppa spagnola, l’ex direttore generale del Milan, Paolo Taveggia, ha postato un retroscena che avevo dimenticato: “Carlo Ancelotti aveva accettato” l’offerta di Massimo Moratti per allenare l’Inter, avrebbe sostituito Ottavio Bianchi. Moratti dopo avergli chiesto di firmare per l’Inter e dopo che Ancelotti aveva accettato, non si é fatto più sentire e quindi Carlo ha fatto la sua meravigliosa carriera senza passare dai cugini. Moratti ha poi cambiato un ‘treno’ di allenatori prima di vincere, mentre Ancelotti ha vinto in ogni posto dove é andato. Chissà se Moratti davanti allo specchio ha ammesso mai l’errore? Penso di no!”
Vero. Carlo ha vinto a Milano, Londra, Parigi, Monaco di Baviera, ma certamente a Madrid ha scritto e sta scrivendo le pagine che gli stanno più a cuore, dopo il Milan naturalmente. Con quella vittoria a Riyadh contro i blaugrana, lo scorso 14 gennaio ha eguagliato i trofei vinti da Zidane (11) alla guida del Real. Insieme, lui e Zinedine hanno conquistato da tecnici ben 5 delle 14 Coppe dei Campioni dei blancos.
Che fosse un predestinato me lo ricordava alla vigilia di ogni partita più importante, quando mi chiedeva con la sua cadenza romanesca che adora: “Che ‘famo’ domenica, che tattica usiamo?” Dovevo scegliere fra 3 metodi di sua invenzione: rullatamburo, tritacarne e ‘sfasciarozze’, con una erre alla maniera romana appunto. Il suo senso dell’umorismo, la sua predisposizione alla battuta, il suo amore per le barzellette sono uno degli aspetti più affascinanti del carattere mite, eppure capace della durezza campagnola per le origini emiliane mai dimenticate, mai rinnegate.
Il giorno dopo un 2-2 molto discusso tra l’Italia e la Svizzera a Cagliari, prima partita di qualificazione mondiale nell’ottobre del 1992, arrivammo all’aeroporto insieme e scambiammo un paio di battute: Sacchi era il C.T. azzurro e Carlo il suo più stretto collaboratore. Mentre camminavamo, ci avvicinammo a un drappello di giornalisti che stavano criticando la partita della sera prima: erano tutti suoi amici da anni, conoscevano i suoi modi. Per questo nessuno si offese quando Carlo li sorprese alle spalle e scoppiò in una fragorosa risata: “Beati voi, che non capite un cacchio di calcio…!”
Siamo stati insieme la notte successiva alla partita di addio al calcio di Pirlo, a Milano: il giorno dopo sarebbe andato a Napoli per incontrare De Laurentiis, una parentesi amara e mai del tutto digerita della sua carriera. A Napoli è stato bene, amando la città e la gente, come a Liverpool dove all’Everton ha comunque contribuito a un salto di un club che galleggia in un limbo mediocre da molti anni.
A Napoli mi fece la grande sorpresa di venire alla presentazione di un mio libro, in compagnia della nuova moglie, poi andammo a cena con i figli e il genero, Mino Fulco, che reclutò al Chelsea quando lo scoprì nutrizionista dei blues (e nacque l’idillio con Katia). Anche la nuova consorte, la bellissima Mariann Barrena McClay, è nutrizionista “e m’ha risolto un problema non da poco”: innamorato della buona tavola e di un buon bicchiere, ha scoperto di poter mangiare molto e di qualità mantenendo una forma invidiabile. Dalla prima moglie, Luisa Gibellini conosciuta giovanissima quando giocava nella Roma, si era separato nel 2010 dopo un matrimonio di 25 anni. Luisa è mancata il 24 maggio 2021, all’età di 63 anni.
Il culto per la famiglia è uno dei segreti di Carlo, che oggi è l’uomo più felice del mondo avendo il figlio Davide come vice e la figlia Katia perennemente al seguito, essendo appunto la moglie di Mino. Nepotismo? Difficile discutere uno staff con cui non smette di vincere, difficile discutere figure che hanno con la squadra e con la società un rapporto di altissimo livello professionale. Credo fermamente che l’uomo Carlo sia migliore persino dell’allenatore Ancelotti e che questo sia il suo vero segreto.
Mi ha sempre detto Billy Costacurta: “Ho diviso in due categorie i tecnici che ho avuto in carriera, gli insegnanti e i gestori. In entrambi i casi bisogna avere capacità e caratteristiche fuori dal comune. Carlo è stato il migliore dal punto di vista umano”. Con Billy nel 2015 trascorremmo un paio di giorni a Valdebebas, il centro sportivo dove si allena il Real a pochissimi chilometri dall’aeroporto. Vedemmo Cristiano Ronaldo e Di Maria fermarsi sul campo, sotto un diluvio torrenziale, per oltre un’ora al termine dell’allenamento: battevano una punizione dietro l’altra, in porta c’era Casillas. Andammo anche a vedere una gara di Champions al Santiago Bermabeu contro lo Schalke: all’andata il Real aveva vinto 0-2, ma quella sera andò sotto di brutto e rischiò l’eliminazione clamorosa, finì 3-4 per la squadra di Gelsenkirchen. Billy si arrabbiò in tribuna quando alcuni spettatori estrassero i fazzoletti bianchi per la “panolada” di protesta, ma Huntelaar allo scadere prese la traversa graziando i blancos (con il 3-5 sarebbe passata la squadra tedesca). Quando ci raggiunse a cena, Carlo senza neanche salutare venne dritto in fondo alla tavola, guardò me e Billy e si mise a ridere: “Se Huntelaar faceva gol, domattina prendevo l’aereo per Milano con voi due”.
Andrò a trovarlo in Spagna in primavera, è troppo tempo che non ci abbracciamo e mi manca. Mi manca molto Carlo.
BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.
2 risposte
racconti di calcio e di uomini di calcio VERI…che nostalgia
Ciò che ci ha fatto vivere al Milan con quel gruppo di Campioni è qualcosa di incredibile.
Uomo, prima che allenatore.
La dote più bella a mio parere è la sinergia che è riuscito a creare con chiunque abbia allenato.
Per sempre nel cuore Re Carlo
❤️🖤