I medici dello staff rossonero mi sorpresero, 35 anni fa, una mattina a Milanello. Ginko Monti mi avvicinò con il suo sorriso beffardo e mi chiese: “Secondo te qual è il giocatore rossonero che ha una struttura ossea e muscolare parallela a quella di Ruud Gullit?”, cioè una statua olandese alto quasi 1 metro e 90 con la forza di un uragano. Ho fallito i tentativi a disposizione e Ginko, amplificando il suo sorriso famelico, mi disse: “Chicco Evani”, cioè un trottolino di 174 centimetri. Oddio, trottolino: una tromba d’aria, in campo… Eppure Monti mi dimostrò che i due erano la copia l’uno dell’altro quanto a struttura, seppure inglobata in due stature differenti.
C’era la spiegazione di tanta forza da parte di Chicco, un sinistro geometrico e una vivacità frizzante, dribbling stretto, scatti fulminanti. Uno che sulle prime Sacchi non voleva nemmeno vedere (forse perché Evani era un pupillo di Liedholm) e che poi invece consacrò quasi come inamovibile, se non che era chiuso da una prima linea così esplosiva che sarebbe stato difficile per chiunque ritagliarsi quegli spazi che invece ebbe eccome.
Evani è stato un giocatore duttile, moderno, passato da terzino ad ala sinistra, uno che avrebbe potuto tranquillamente attraversare ogni epoca calcistica per le sue doti funamboliche, per la completezza del suo repertorio nonostante avesse solo il piede sinistro. Ma che piede! Chirurgico, elegante, geometrico disegnava le traiettorie come con un goniometro incorporato. Nel giro di pochi giorni eroe, con due punizioni da cecchino, di una Supercoppa europea e della prima Intercontinentale di Sacchi nel 1989 che gli valse il soprannome di “Chicco-san” con definizione alla nipponica.
Silenzioso, umile, schivo, innamorato del suo mestiere, della sua famiglia, della sua riservatezza, ha compiuto un’operazione rivoluzionaria scrivendo un libro in cui si è messo sorprendentemente a nudo e che, a 2 anni dalla pubblicazione, gira ancora a presentare lungo tutta l’Italia.
Al proposito vorrei riproporre su questo sito un posti che pubblicai subito dopo la sua rinuncia a seguire Roberto Mancini nell’avventura araba: Evani infatti faceva parte dello staff azzurro dal giorni dell’insediamento del Mancio, del quale era il vice. Questo post credo inquadri bene il Chicco privato, quello che mai avrei pensato un giorno avrebbe deciso di portare in piazza, nel vero senso della parola.
“Non gli è mai piaciuto quel soprannome, Bubu come il piccolo inseparabile amico dell’orso Yoghi dei cartoni animati. Ha persino intitolato così la sua autobiografia, ‘Non chiamatemi Bubu’, per inciso. Che si senta un po’ orso, Alberigo “Chicco” Evani, lo confessa in ogni occasione, anche ad Albiano (in Lunigiana) dove un anno fa presentò per l’ennesima volta il suo libro, chiedendo al sottoscritto di conversare con lui sul palcoscenico. Sono molte le cose strane, già in queste poche righe. Ci conosciamo dagli anni Ottanta, purtroppo o per fortuna, e a me Chicco non è mai parso orso: battute sagaci e sterzanti, sarcasmo e ironia toscanaccia su qualsiasi argomento, con lui divido anche amicizie di veri e propri artisti dell’allegria e del buonumore.
Confessa da sempre, però, un’anaffettività cronica che gli impedisce di abbracciare, accarezzare i suoi cari, magari anche baciare (in quest’ultimo caso solo moglie e parenti). Rivela i suoi silenzi, il suo starsene in disparte. In realtà il suo libro è un’apertura così solare da trovarci poco di come lui si descrive. L’intimo esposto in piazza sembra invero non pesargli più di tanto, adesso. Vero che, dopo il trionfo agli Europei di calcio quale vice Mancini (ruolo che ha ricoperto per tutta la durata del mandato dell’ex C.T.), è stato uno dei pochi dello staff a non dire una parola, affidando i suoi sentimenti a fotografie e post sui social che riempie soprattutto con immagini di tramonti, mare, nipotini/e, amici.
Una vita calcistica tra Milan e Sampdoria, incontrò il Mancio e Vialli in maglia blucerchiata e da allora nacque un legame a doppia cordata. In rossonero quasi 300 partite, 14 gol di cui 2 hanno scritto la storia, a distanza di soli 10 giorno uno dall’altro nel 1989: 1-0 in finale di Supercoppa europea al Barcellona nel novembre ma, soprattutto, 1-0 a Tokio al Medellín per riportare il Milan campione del mondo. Adesso, però, non sale sulla carovana diretta negli Emirati: ‘Ho vissuto questa avventura azzurra per amicizia e per prestigio’, ha detto in una serata sulla piazza comunale di Aulla, ricevendo il Premio intitolato a Scarabello, uno degli olimpionici italiani del 1936.
Nelle ultime settimane è successo tutto così in fretta, c’è stato poco tempo per riflettere, ma comunque ha scelto rapidamente. Involontario protagonista prima dei malumori del C.T., al quale la Federcalcio non aveva confermato lo staff di collaboratori (compreso lo stesso Evani), poi nella rinuncia a seguirlo negli Emirati.
Vuole una panchina tutta sua, adesso, tornare ad allenare, possibilmente i giovani. Quel progetto, quell’avventura, forse anche quei soldi, non lo hanno affascinato: proprio ora che c’è da recuperare un po’ del tempo perduto con gli affetti, con la famiglia (“Mi sono perso comunioni e cresime dei miei figli, loro hanno capito e perdonato per primi”), proprio ora che c’è da riprendere in mano un progetto in prima persona, quel mondo fatato è troppo lontano dal suo. Ha deciso in un lampo, come quando batté quelle sue punizioni al Barcellona e al Medellín sorprendendo i portieri. Adesso che ha sorpreso noi, l’orso sembra allegro e felice. Come allora.
Qui dentro c’è tutto Chicco Evani, com’era e com’è, con un’aurea carismatica naturale, con un talento che – dopo averlo reso uno dei più grandi tra i piccoli campioni della storia rossonera – lo hanno finalmente presentato come uomo, scoprendo che (come il giocatore) è vero, pulito, sincero.
BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi
2 risposte
La mia prima a San Siro fu Milan Sampdoria 1983-84 e li vidi per la prima volta Chicco Evani come terzino sinistro, sulla destra c’era Eric Gerets (per dire), Chicco mi impressionò per il tocco di palla e la rapidità, grande intuizione del Barone (se non ricordo male) quella di portarlo in mediana, grande equilibratore di qualità a centrocampo.
L’analisi di Luca è come sempre lucida e rende il giusto merito all’uomo che esiste dietro l’immagine di un grande calciatore
Ciao Alessandro, grazie per la condivisione di questo bellissimo ricordo.